Beati i miti

Beati i miti
Alcuni codici antichi del Vangelo pongono la beatitudine sui miti, subito dopo quella sulla povertà. Forse la trasposizione è significativa. I miti sono i poveri che non subiscono la povertà (portato di ogni società dove il potere si arroga il dominio), ma sanno come destreggiarsi in essa. I poveri subiscono, i poveri diventati miti, agiscono. I miti non pretendono di non essere poveri, ma sanno trarre dalla stessa povertà i motivi per continuare a camminare.
Gesù vede questo camminare e presagisce la conquista della terra da parte degli stessi miti. Questi sono beati perché “erediteranno la terra”. E’ vero che nella tradizione scritturistica “la terra” è il tempio di Dio, l’ambito della sua presenza tattile, però è sempre una “eredità”.
L’Antico Testamento definisce Mosè un “mitissimo”, perché avanza senza pretendere, ma seguendo le indicazioni e perfino le controindicazioni di Dio.
Gesù è l’esempio del mite, che eredita la terra. Nel giorno del suo trionfo passeggero nell’entrare a Gerusalemme, l’evangelista nota: “Dite alla figlia di Sion: ecco il tuo re viene a te, mite, seduto su un’asina, e su un puledro, figlio di bestia da soma”.
Proprio perché mite è il povero che non si sfoga sbraitando, ma procede tenace per la propria strada, continuando modestamente a operare, il mite è un uomo forte. La povertà attiva, che utilizza intelligentemente i pochi mezzi a sua disposizione, è, alla fine, la povertà “riuscita”. Il povero che può sorridere, perché si troverà, forse a sua insaputa, a ereditare la terra, quella che Dio dona ai suoi.
GCM 08.11.14

Cattiveria e superficialità

Cattiveria e superficialità
Lungo la mia esistenza di frate, ho costatato spesso, talvolta anche sulla mia pelle, le grosse sofferenze causate o da frizioni tra confratelli o da comandi di superiori. Sono autentici calvari causati non dalla nostra debolezza (che già di calvari ci procura a bizzeffe), ma dalle ferite inferte da altri, confratelli o superiori.
La domanda: è tutta malizia quella che infligge sofferenze? A questa domanda si accosta il “precetto” di amare il prossimo e di pregare per i nemici.
E se invece di cattiveria fosse ignoranza, secondo quanto dice Gesù? Oppure, come ho costatato spesso, fosse o sia soltanto “superficialità”? È vero che la superficialità è degli ignoranti. Ma la superficialità è ignoranza che pretende di agire, senza prima studiare la situazione, nel suo complesso di cause e di effetti. L’ignoranza non vede, la superficialità, potrebbe vedere, ma “si butta a occhi chiusi”.
Ad ogni modo né ignoranza né superficialità sono capaci di riflettere, quella sui principi, questa sull’operatività concreta.
Comunque sia, viene causata sofferenza. E nei sofferenti non viene subito in mente che una sofferenza prodotta dalla cattiveria o dalla superficialità, può essere vissuta accanto alla croce di Gesù. Solitamente la prima reazione è quella di scagliarsi, almeno interiormente contro l’offensore. Si genera odio, che soltanto con “molta” grazia di Dio può sciogliersi in riflessione e sublimazione.
L’aggravamento sta che nella cattiveria ci può essere posto al rimorso, nella superficialità l’autoassoluzione facile.
15.03.17