Gesù è uomo

Gesù è uomo!
La cristologia mi presenta Gesù sotto gli aspetti dogmatici, oggettivi: chi è Gesù e quale funzione svolge. Quindi da un lato Uomo-Dio e Verbo incarnato, e dall’altro il Salvatore e il Redentore, per diventare alla fine il giudice dei vivi e dei morti.
La base oggettiva della nostra fede la ripetiamo almeno ogni domenica, nella “recita del Credo”. Recita, che deve essere affermazione, ossia dichiarazione cordiale della nostra adesione a quel Gesù, che ha aderito a noi, come uomo.
Però visto da lontano, Gesù ci fa poco calore. Non noto quasi mai che noi parliamo con calore e con affetto del suo essere mio, nostro. Siamo sempre con un rimasuglio di distacco. Proprio come quelle persone che dicono: “Posso darti un bacio?”, mentre sono entusiasti per noi. Un Gesù vicino e lontano, nostro sì, ma un po’ in là.
Da parte sua, Gesù si avvicina a noi intensamente, fino a entrare in noi come cibo, o attraverso il cibo. Gesù non sopporta le distanze dall’uomo, e, per conseguenza rende l’uomo capace di Dio. Già all’inizio l’uomo era stampato di divinità: facciamo dell’uomo una completa riproduzione di Dio: immagine e somiglianza. Però quando Gesù “salva” l’uomo, ossia lo mantiene perché non si perda, Gesù fa emergere e trasparire dall’intimo dell’uomo, la formazione fontale, primigenia, quella che lui riconosce nel bambino e l’uomo redento deve ritornare ad essere bambino, quel bambino che la pretensiosa cultura umana vuol educare laicamente, ossia imponendo sull’uomo una maschera, che l’uomo chiama “civiltà” e che non si adatta all’uomo, rendendolo fuori di sé, e sempre ghermito dalla nevrosi esistenziale.
26.05.17

L’essere condizinato

L’essere condizionato
Il sole risolleva dalla tristezza, la primavera ci stimola a “rivivere”. Insomma siamo condizionati dall’atmosfera, schiavi inesorabilmente del “tempo”. Cioè: “Che tempo che fa?”.
Forse possiamo vedere e vivere sotto una diversa prospettiva. Noi siamo “parte” dell’universo, la sezione più nobile, ma non staccata. Viviamo in unità anche fisica con il tutto. Proprio questo essenziale contatto con il tutto e con tutti, ci può indicare quale è la nostra parte dinamica con il tutto. Non siamo capaci di staccarci dal tutto: così non possiamo più vivere, respirare, amare, se non in unione.
Paolo ci avverte: siamo, ci muoviamo, viviamo. In chi? Con che cosa? Paolo afferma chiaramente: “In ipso!” (in Lui).
Il nostro dipendere dall’atmosfera ci riporta a una dipendenza ancora più radicale: “In lui!”, Gesù, Dio. Senza di lui, non esisterebbe neppure la nostra comunione con gli elementi. Il nostro egoismo si stempera nell’unità. Il pretendere di essere totalmente autonomi, è staccarci dal cosmo, che influisce su di noi, come noi influiamo su di esso. Però un piccolo passo più avanti, svela una connessione più ampia, la connessione non solo con le influenze del mondo, ma con l’influenza di quell’Essere, che ci fa essere.
Si deve risalire a un principio (principiis obstat!). La gnosi, per esempio, ipotizza un principio ignoto. La fede si rifà a un principio noto: Dio. Fatalr scelta tra l’indefinito e l’Infinito.
Siamo condizionati dall’atmosfera che ci circonda? L’afa prostra, il tempo nuvoloso ci intristisce e riattizza il dolore reumatico, il sereno ridona il sorriso e la voglia di vivere, e poi arriva l’autunno. Ma è dolce sapere che siamo influiti proprio da Dio, il cui influsso è sempre amore infinito.
04.07.16

Discernumento

Discernimento
È proprio sempre esatto il dire che colui che “fa” la volontà dei superiori, “fa” la volontà di Dio? Evidentemente non sempre. L’esempio più chiaro è Gesù, il quale, se avesse eseguito la volontà dei superiori, non avrebbe compiuto la volontà di Dio.
E cominciò presto. A dodici anni non compie la volontà di Giuseppe e di Maria, per fare la volontà di Dio: “Non sapevate che io devo fare la volontà del Padre?”.
È vero che ci sono dei santi, che non facevano nulla senza il beneplacet del superiore. Ne ho conosciuto personalmente uno, che però non è stato ancora canonizzato. Però c’è stato un episodio nella sua vita. Per obbedire alla volontà dei superiori, che l’avevano trasferito, egli fisicamente e psichicamente deperiva, tanto che “i superiori” lo rispedirono al “suo posto”, dove condusse un’intensa e semplice vita di preghiera e di carità. Ritornato nel suo ambiente si ristabilì anche fisicamente e visse per lunghi anni.
Certamente l’obbedienza agli altri – uomini come tutti – non sveste le persone dalla virtù del discernimento. “Sapete interpretare la variazione dell’atmosfera, e non riuscite a vedere i segni che avete sotto il naso”.
Il discernimento è un dono dello Spirito Santo. “Prego che il vostro amore cresca ulteriormente in conoscenza e in ogni discernimento, affinché apprezziate le cose migliori, e così siate puri e irreprensibili per il giorno di Cristo” (Fil 1, 9-10).
Il discernimento si attua confrontandoci con il Vangelo.
13.10.16

Scovare la vendetta

Scovare la vendetta
La vendetta è in agguato. Se ricevo un’offesa, io tendo ad offendere. Se una persona mi denigra oppure ostacola il mio lavoro, io tendo a denigrarlo a mia volta, a criticare il suo lavoro.
Poi Gesù mi avverte: “Quello che volete sia fatto a voi, fatelo voi agli altri!”. E qui scopriamo la provvidenzialità degli sgarbi altrui. Infatti quando ricevo uno sgarbo, sotto sotto desidero che l’altro eviti di offendermi. Quindi ciò che desidero a mio favore, lo devo recuperare perché avvenga nell’altro. Desidero non essere stato offeso, quindi non posso offendere il mio offensore, perché se io voglio a mio favore la non offesa, non è bene che io invece offenda gli altri, soprattutto quando la mia vendetta vorrebbe offendere: è Vangelo!
È comportamento facile il mio? No: è difficilissimo, anzi “antinaturale”! Gesù va contro natura? Può darsi: almeno questo dicono molti critici per andare contro Gesù, e anche molti asceti per andare con lui.
Gesù mi indica di vedere i frutti delle mie azioni. Dentro di me arriva più pace, quando rendo pan per focaccia, oppure quando faccio agli altri ciò che desidero sia fatto a me? Il frutto è pace o è tensione per scoprire l’occasione della mia vendetta? E poi sono più consono a Gesù, se reagisco con la vendetta, oppure se reagisco “con il dono”?
Per compiere gli atteggiamenti che Gesù mi suggerisce, è necessario avere la forza di Gesù. Lui mi indica comportamenti da lui comprovati in se stesso. Se lui sì, è possibile anche a me? Sì, se io ho la stessa forza di Gesù. E qui si insinua quell’energia supplementare, però sempre a disposizione, che è lo Spirito santo.
18.02.16

La centesima parola

La centesima Parola
Gesù è la parola di Dio: sotto due aspetti: Dio ci parla, noi parliamo di Dio.
Sto riflettendo sul Corano. Sappiamo che nella dottrina del Corano, viene ricordato che Dio è solo parzialmente decifrabile con i nostri aggettivi. Il Corano, cioè gli islamici, enumerano novantanove nomi di Dio, lì tutto si ferma, perché il centesimo nome è un mistero.
Più mi soffermo su Dio, meglio mi spaventa il pensare filosofico (e teologico), che tenta di dare una risposta al “chi è Dio?”. Tutte le risposte che ho trovato, sono tutte espresse con i nostri termini. Ma Dio è oltre, molto oltre, è il “totalmente altro”! Quando percepiamo l’abisso enorme del “totalmente altro” si resta interdetti, e forse alquanto disperati.
Questa disperazione induce molti a desistere non solo dal cercare di definire Dio, ma perfino dal dubitare della sua esistenza. Sì perché Dio è un altro sistema di “esistenza”, diverso dal nostro. La filosofia, in particolare quella scolastica, afferma che l’”esistere” è universale, sia per la creatura che per il Creatore, ma la distanza delle due esistenze è incolmabile, sebbene noi ci illudiamo che dire “Dio esiste”, sia sufficiente per rassicurarci sulla reale esistenza di Dio.
Partita chiusa dunque? Dio resta indicibile dall’uomo? Ecco allora la necessità di conoscere la centesima parola. Essa non può esser trovata dentro il perimetro delle limitate possibilità umane. È una parola che Dio dice di sé. Essa da Dio è “tradotta” in un uomo, che è la semplificazione del Dio astratto della filosofia. Gesù, in qualche modo, è la dolce semplificazione di Dio.
15.06.16

Bisogno di dipendere

Bisogno di dipendere
Non poche persone ricorrono ad altre per evitare la solitudine. Senza che riflettano, esse strumentalizzano gli altri per tappare la solitudine.
Mentre ci rivolgiamo ad altri per rimediare alla nostra solitudine, noi ci sottomettiamo ad essi. Sottomessi, creiamo i padroni, spesso i tiranni.
L’esempio chiaro e tragico, è quello della giovane, che, per superare la solitudine, si affida al primo uomo, che, nella fantasia famelica della giovane, sembra possedere le qualità per diventare il riempitivo della vita.
I ragazzi seri (quanti sono?) non si lasciano accalappiare nel gioco. La maggior parte trovano comodo servirsi della donna succube, per giocare il ruolo del protettore o del despota.
Il despota si riempie della diabolica convinzione di disporre della vita e della morte della sottomessa, strisciante ai piedi del signore.
Così la giovane, nella schiavitù, paga lo scotto per il servizio di antisolitudine che il maschio le offre.
Altrettanto avviene dell’uomo che nella donna cerca il superamento della solitudine, causata dall’allontanamento della madre. Poi si vendica… ridicolizzando le pretese della padrona, della matrona.
Così avviene che i matrimoni, anziché essere l’unione di due esseri liberi, diventa la catena infernale di due che si odiano.
Noi oggi si fa gli scandalizzati per i femminicidi. In realtà essi sono l’estrema conseguenza della signoria dell’uomo strumentalizzato e tradito nel suo dominio.
Eppure Gesù è venuto a liberarci, affinché restassimo liberi.
23.06.15

Incontri

Incontri
Negli incontri umani, ciò che maggiormente si usa è il dialogo. La postura, gli occhi, l’accostarsi o l’allontanarsi, il dire, con sincerità o con finzione, il ridere o il piangere, e molto altro costituiscono il dialogo.
Nel lavoro degli psicologi ciò che veramente s’avvera tra due persone è il dialogo. Quando mi sento chiedere: “Lei a quale scuola appartiene, quale indirizzo segue?”, resto fermo e sorridente. La vera domanda sarebbe: “Come Lei dialoga con me, proprio con me!”. A chi mi sta davanti ed è interessato a rendersi felice, in realtà lui non vuole conoscere la tecnica, ma la persona che possa mettersi in contatto positivo, tanto da poter “fidarsi”. Perché ogni contatto è ricerca di sicurezza, di rispetto, di vero amore (non sentimento o connivenza).
Le etichette sul metodo seguito investono scarso senso. Lì si avvera un incontro tra due persone. Che una di esse si presenti bisognosa, è un dato, spesso celato sotto la curiosità, e la curiosità nasconde un bisogno di sicurezza.
Allora l’esser psicanalista, cognitivo comportamentale, umanistico, ecc. non sostituisce la necessità di un incontro tra due persone, sebbene una di essa conosce tecniche psicologiche. Alla fine ogni sincero psicologo usa quelle tecniche, se tecniche sono, che più si addicono alla propria persona e al “qui e ora” di un incontro.
Le scuole psicologiche sono semplicemente scuole. Nell’esperienza di tutti dalla scuola, dai corsi anche i più sofisticati e i più elementari, resta nello “studente” (di cinque o di ottanta anni) ciò che si attaglia alla sua personalità, il resto è più o meno esercizio di memoria.

01.05.17

Spogliazione e luce

Spogliazione e luce
Solo Dio è la mia salvezza; gli uomini sono tutti fallaci. L’accorgerci della pochezza di chi sta intorno è un dono di Dio, che ci aiuta a non fidarci dei potenti (autorità di ogni tipo, ricchi, sapienti di questo povero mondo), ma solo del Padre, che può sempre intervenire da chi muove da lui. Anche nell’Antico Testamento, i profeti vedevano nella persona di Ciro, la presenza operante di Dio.
Quando tutto attorno a noi cade, oppure ci è ostile, allora lo Spirito ci purifica grazie a questo “vuoto” e nel silenzio alimenta la nostra speranza. Solo in Dio si posa la nostra speranza, e la spogliazione di tutto (che poi lasceremo per sempre) acuisce il bisogno di Dio.
Allora si rende forte l’unione con tutti coloro, che, con noi, attendono solamente l’aiuto che viene dal Padre. La spogliazione è essa pure un dono di Dio.
E allora dentro di noi, dal nostro dolore, spicca il volo della confidenza sperante nel Padre.
Padre è, e provvede a sostenere il nostro cuore. Eccoci andare da Colui, che è “mite e umile di cuore”. Non cose grandi e pesanti, ma la leggerezza di chi si abbandona nelle braccia di Dio.
Ogni giorno che passa, ogni circostanza, tutto si illumina per condire di eternità i nostri momenti. Allora i salmi dell’invocazione e della speranza acquistano spessore intimo e consistenza. La preghiera, anche dolorosa, diventa più nostra. E la preghiera del misero, che brama la Gerusalemme ultima. E il desiderio di reincontrarci là, con le persone che amiamo, e anche quelle che perdoniamo si trasformerà in luce eterna.
09.12.16

Spiritualità e appartenenza

Spiritualità e appartenenza
In una società positivista, consumistica e immersa nel materialismo (non quello scientifico di santa memoria, ma quello reale, ammannito dalla civiltà occidentale), spesso si incontrano persone che cercano spazi di spiritualità.
È diffuso il desiderio di spiritualità. E sono già numerose le agenzie che offrono itinerari e tecniche di spiritualità.
Molte persone abbandonano l’appartenenza alla chiesa cattolica per immergersi in qualche corrente di spiritualità, preferibilmente orientale.
In queste correnti cercano anche la liberazione da un’appartenenza, che per loro è stretta e arida. Desiderano una spiritualità libera dall’appartenenza, una spiritualità sciolta.
Si presente allora il problema della spiritualità nel rapporto con l’appartenenza. O anche della spiritualità con la non appartenenza.
Persino tra i teisti, si incontrano persone che, piò o meno convintamente, affermano di relazionarsi da sole con Dio. (Ci si chiede: Dio accetta di relazionarsi con le persone, scartando il Gesù-Mediatore nella sua chiesa?).
Eppure la spiritualità esige l’appartenenza. È sintomatico il fatto di coloro che abbandonano la chiesa, e fatalmente si incontrano con un guru (o un gurino) che conduce o domina il gruppo degli aderenti. Perfino chi segue una corrente di spiritualità tramite un libro o un sito internet, mentalmente si unisce a coloro che seguono quel libro.
Chi è credente in Gesù, man mano che conosce maggiormente Gesù, e in lui si immerge sempre più profondamente, se tenta di trovare spiritualità alternative al cristianesimo, si trova ad aver incontrato pozzi che non contengono acqua.
19.08.15

Uomo cattolico

Uomo cattolico
Sono felice nel costatare che S. Francesco è un santo universale. Cattolici, Ortodossi, Riformati di qualunque tendenza, Islamici, Indù, ecc. nutrono simpatia e ammirazione per Francesco. Assisi è più universale di Roma, e quando si uniscono tutte le fedi per pregare assieme, lo fanno in Assisi e con lo spirito di Assisi.
In Francesco emergono, anche a uno sguardo superficiale, la povertà e lo stimolo alla Pace. Il Poverello d’Assisi, l’uomo della pace. Il vestito è la povertà, l’opera è la pace. Il santo che intravede in ogni uomo un fratello, e nella natura il volto di Dio.
Mi sembra però che sfugga una delle energie, che spinsero Francesco ad essere e a compiere ciò che lui fu e ciò che lui fece.
Nel ripercorrere, anche con amore, i suoi scritti, emerge un tratto per Francesco forte e irrinunciabile. E’ rilevante notare quanto tenesse ad essere “cattolico”, e quanto insistesse con i suoi frati di restare cattolici, ossia membri e fedeli a quella Chiesa, che sola coltivasse l’Eucarestia come cuore, e il Papa come emblema concreto e visibile della cattolicità.
Francesco è un santo universale, proprio perché è “cattolico”. Non tanto “dalla parte dei cattolici”, ma nel metodo e nella forza della cattolicità, ossia dell’universalità, come dice il vocabolo stesso.
Francesco non è un santo dei cattolici, ma un santo cattolico! Egli è universale, proprio perché è cattolico!
Io sono felice, perché da sempre ho sentito di esser dalla parte del Papa, anche quando ho udito le persone criticare il Papa. Ho sofferto per tali critiche. Ora capisco: il Padre mi ha donato un cuore francescano, ossia cattolico!
GCM 10.08.13