Quei politici

Quei politici
Ma noi li eleggiamo perché aiutino la comunità, da un settore e dall’altro, oppure perché ci diano lo spettacolo delle loro ridicole baruffe? C’è l’impressione che nemmeno loro lo sanno. E noi li paghiamo profumatamente, perché così vuole la “democrazia”. Nei sistemi assolutistici almeno sono più seri: non mostrano in pubblico la propensione alla baruffa in pubblico.
È esilarante udire qualcuno di loro, che sta facendo la sceneggiata e non si vergogna di dire: “Il popolo vuole!”. E se io non voglio cesso di essere popolo.
In realtà essi “rappresentano”. E qui sta la domanda feroce: “Mi rappresentano davvero? E se non mi rappresentano devo espatriare, perché io non sono “degno” di loro. Espatriare è ritrovare gli stessi nobili procedimenti. Devo chiudere gli occhi e le orecchie per vivere in pace? E il mio dovere di cittadino non resta che farlo come le tre scimmiette. Insomma disinteressarmi di loro? Però sono loro che si interessano di me al momento delle tasse e dei contributi.
Per mia consolazione devo ricordarmi che “il mio regno non è di quaggiù”? probabilmente sì. Ma intanto vivo di qua. Posso almeno sperare nella mia e nella loro conversione, perché hanno sempre ragione?
Certamente fino a quando sono in terra devo contemperare il Regno dei cieli con il regno della terra. Pregare nel Regno dei cieli, affinché intervenga nel regno della terra, almeno per coloro, che non sono pochi, i quali anche nella vita politica desiderano contribuire alla pace e alla prosperità di tutti noi.
02.08.16

Commedia e storia

Commedia e storia
La storia è una situazione comica. Nello studio della storia, impariamo molti fatti, ricordiamo molte persone. Ci interessiamo a loro. E intanto essi non si interessano più di ciò che dice “la storia” su di loro. Di qui si parla di loro, o con disprezzo o con esaltazione, mentre essi sono al di fuori di questo mondo, dove il ricordare sembra importantissimo.
È comico: i libri e le lezioni sono interessati a ciò che gli attori non sono più interessati.
Poi, per non mentire alla nostra curiosità su di essi, cominciamo a immaginarci un inferno, un purgatorio, un paradiso, dove collocarli. Addirittura ci illudiamo di sapere il tempo della permanenza in purgatorio, là dove tempo e spazio non sappiamo se esistano. Però affibbiamo un piccolo supplemento di storia per non sapere che cosa dire.
Nemmeno Gesù, che dopo essere stato nell’al di là, ci ha raccontato come andava. Egli ci aveva comunicato ciò che prima di essere tra di noi aveva vissuto, e ce lo narrò in modo parabolico.
Però chi ha superato il confine, ha una visione diversa (quale?) della realtà, mentre noi raccogliamo i suoi eventi di quando erano vivi tra di noi. Gesù stesso, quando pensava al suo “dopo” ci diceva semplicemente che “ritornava dal Padre”. I Vangeli ci narrano come “era”, ma non descrivono come lui è. La fede ci aiuta, la storia non dice come è Gesù.
Il Vangelo ci pone davanti al passato di Gesù, in vista del presente e del futuro, sapendo che Gesù è ancora vivo tra di noi. Non è un tragico ricordo di un passato oggi cancellato, ma è un passato che ci aiuta a indirizzare e a vivere un presente e un futuro non solo probabili, ma reali.
12.10.15

Tornare indietro 1

Tornare indietro 1
Leggendo, durante la Messa, il libro dell’Esodo, mi scappò un sorriso. Il brano che mi suscitò il sorriso era un brano dell’Esodo (12,14). Dio aveva deciso di sterminare gli Ebrei, poi il testo recita: “Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo”. Un Dio che si pente e “torna indietro”.
Il sorriso mi venne, perché il giorno prima, il capo del governo inglese aveva affermato pomposamente: “Indietro non si torna!”. Godetti perché il mio caro Dio non è inglese, e non è capo di un governo.
Subito dopo mi ritornò in mente un altro “Indietro non si torna”. È stato ripetuto sovente da un superiore di un ordine francescano. E fui contento che Dio non è frate, né è superiore. Le mani e il cuore di Dio hanno una dimensione spesso contrari a quelli di un superiore legittimamente eletto.
Dio è Dio, e non è stato eletto neppure da un plebiscito di angeli, ed ha un cuore grande come l’Infinito della Trinità. Perciò possiamo sorridere su tutti gli “indietro non si torna”. Da piccolo, quando ero balilla, qualche cosa di simile l’avevo udito dal capo di allora, tant’è vero che aveva stabilito un nuovo svolgersi della storia, facendo contare gli anni dall’inizio del fascio, istaurando l’”Era fascista” (EF lo si vede ancora scolpito nelle acquasantiere della chiesa di S. Lorenzo a Vicenza).
Indietro non poterono tornare Mussolini, Stalin, Hitler: sono andati avanti, nonostante tutto il contrario, e uno di loro è finito suicida, l’altro impiccato a testa in giù. Veramente non erano tornati indietro, incapaci di ripensare e di ravvedersi. Se fossero stati capaci di tornare indietro, avrebbero gustato qualche anno in più di vita, producendo meno guasti.
02.04.17

Posizione sublime

Posizione sublime
“Ci ha risuscitati e insediati nelle regioni celesti in Cristo Gesù, affinché indicasse nei tempi che sopraggiungeranno la incalcolabile ricchezza della sua grazia, secondo la bontà verso di noi in Cristo Gesù”.
Un passo oltre Paolo mostra. Non soltanto Gesù ci ha spinto nel passaggio dalla morte alla vita, ma la sua salvezza è stata sovrabbondante: non solo salvi, ma elevati. Si profila così quella mentalità, che farà esprimere quel “Agnosce, christiane, dignitatem tuam!”. Rendersi conto della nostra dignità di cristiani.
Nel Medio Evo la chiesa latina si era fermata sul peccato, e i cristiani osservanti erano definiti quali “penitenti”. Le manifestazioni, anche pubbliche, di flagellanti e di battuti erano eclatanti. Contemporaneamente la chiesa orientale esaltava la bellezza del Cristo e dei cristiani. Da una parte l’esaltazione del crocifisso, dall’altra l’esaltazione del Cristo Pantocrator, il dominatore dell’universo. Da un lato i penitenti, dall’altro il predominio dei lodanti. Fu così che lo zar di Russia, quando volle la cristianizzazione del suo popolo, preferì Costantinopoli a Roma.
Paolo non nega nessuno dei due momenti, ma li gerarchizza: sotto i penitenti e “nell’alto” i gloriosi. I penitenti sono perdonati, e i perdonati sono elevati a gloria.
Noi siamo già insediati con Gesù nei cieli, con lui già risorti; però per gioire e non per fermarci, perché un futuro di gloria ci attende ancora. La gloria di Gesù è definitiva, la nostra è crescente, però sempre sulla base dell’opera misericordiosa di Dio, che continua a perfezionare, nel tempo, quanto manca ancora a noi, per la completezza della passione e della gloria di Cristo nella chiesa.
29.08.15

Persecutori

Persecutori
Il mestiere del persecutore non è né facile né nobile.
La storia del cristianesimo, passato e attuale, recensisce persecutori a tutto spiano. Ci fu persino uno scrittore cristiano antico che si occupò di scrivere un’opera sulla “Morte dei persecutori”. Egli vide nelle tristi morti dei persecutori, una logica tragica conseguenza dei loro misfatti.
Purtroppo siamo abituati a tacciare da persecutori soltanto i carnefici dei martiri. Sappiamo che i persecutori dei credenti, perseguono lo scopo di far desistere il credente dalla propria fede. Diciamo: fargli perdere la fede in Dio e, per il cristianesimo, in Gesù.
Se tale è la persecuzione, allora lo stuolo dei persecutori si allarga a dismisura.
Persecutore è certamente colui che preme con la minaccia del patibolo, ma, in realtà i persecutori (coloro che decidono di impedire la fede in Dio e in Gesù) si annidano un po’ dovunque.
Persecuzioni in famiglia: genitori miscredenti che abituano i figli a disinteressarsi di Dio.
Persecuzioni nella Chiesa: quando sono imposte norme (norme, non verità!) che rendono odioso e difficile l’accostarsi a Dio.
Persecuzioni nella scuola perpetrate da insegnanti o da alunni: cancellazione di richiami alla fede, ostentazione di ateismo, canzonatura dei credenti, programmazioni ostili a Dio …
Persecuzioni attraverso stampa e spettacoli, che nascondendo pervicacemente il senso religioso della vita, ostentano immoralità, miscredenza … ossia gli scandali degli innocenti.
Persecuzioni in noi stessi, quando davanti alle difficoltà della fede, scegliamo di negarla, di dispensarci dalla fatica dell’approfondimento.
FCM 26.12.13

Annuncio prima di tutto

Annuncio prima di tutto
Gesù parla, deve parlare: per questo sono stato mandato. Spesso le persone sono colpite dal “miracolo”, e trascurano la parola, anche quando questa indica il senso della stessa parola e dello stesso miracolo.
Gesù il miracolo (ossia i fatti che destano meraviglia – mirari -) quasi sempre lo fa su richiesta: “Se vuoi, puoi guarirmi”, “Mia figlia è malata, vieni”. Altre volte il “segno” gli viene addirittura carpito, come fece la donna affetta da metrorragia. Sono quindi le persone che si rivolgono a lui. Però anche quando gli presentano un paralitico, Gesù comincia con la parola: “Ti sono rimessi i peccati”.
Eppure i “miracoli” Gesù li compie per caso e, quasi sempre, su richiesta. Mentre la professione di Gesù, non è quella del taumaturgo, ma quella dell’annunciatore: “Andiamo da un’altra parte a predicare, perché per questo sono stato mandato”.
La professione di Gesù è l’annuncio. Solo dopo egli si concede al miracolo. La moltiplicazione del pane, o la pesca miracolosa si attuano dopo la predicazione. Gesù ci tiene alla propria parola, fino a entusiasmarsi per quelli che l’ascoltano: “Ti lodo, Padre, perché ai piccoli riveli il regno dei cieli”.
Gesù alla stessa sua professione introduce anche i suoi: “Andate e annunciate”. Questa è la primaria missione della Chiesa. Anche la carità e l’amore verso il prossimo sono segnati da questa cifra: “Vedano le vostre opere buone e glorifichino il Padre!”.
Se poi noi ricordiamo che opera e parola, nel linguaggio proprio di Gesù, si servono dello stesso lemma, allora anche i fatti, i miracoli, rientrano nella categoria dell’annuncio. Anche la casualità del taumaturgo rientra nella professionalità dell’annunciatore.
15.02.14

Annunciatori

Annunciatori
Certamente la misericordia di Dio è immensa, anche nel comunicarci la sua parola. Durante la casa di Dio, formata, non da una costruzione, ma da un gruppo compatto nella fede comune, c’è anche un tempo dedicato alla cosiddetta “Liturgia della Parola”. Evidentemente non si tratta di un rito, ma di un ascolto della voce di Dio, trasmessa tramite una profezia declamata (se lo spazio è ampio), o comunque comunicata a voce.
A questo punto si rivela un lato della misericordia di Dio. Egli, pur di rivelarsi ulteriormente, si serve della voce e del cuore, di alcune povere creature come siamo noi. Pur di raggiungere gli uomini, si serve di uomini, per quanto peccatori. È enorme bontà.
Non so se tutti coloro che proclamano (non leggono!) l’annuncio di Dio hanno coscienza della propria umiltà e del dono di Dio. Certamente dire al prossimo ciò che Dio vuole, non è inezia!
Alcuni tremano durante la proclamazione per paura di non riuscirci, mentre dovrebbero tremare di gioia, sentendo la mano di Dio su di sé. Alcuni fanno una lettura fiapa (come dice Bacchelli): quegli stessi, che quando declamano l’Alfieri, o Ungaretti, si esaltano e immettono nella voce l’arte più significativa del dire.
Proclamano un Dio da cantina, e non sentono di indicare il Dio di gloria. Il profeta invitava a gridare, mentre qualcuno, mentre legge impreparato, tenta di capire il senso delle parole. Quanta misericordia di Dio sprecata! Non c’è coscienza di essere i corifei di Dio!
Evidentemente non occorre seguire lezioni di dizione, ma entrare nel credere nella bontà di Dio.
21.03.16

Natale, impegno gioioso

Natale, gioioso impegno
Quale relazione corre tra il panettone e il Natale? Il panettone e l’albero oggi in Italia sono diventati quasi universali. Invece il Natale pregato e il Presepio sembrano rincantucciati, talvolta nascosti all’ombra di un abete, quasi fossero stranieri, quasi frutto di una cultura inferiore e superata. È comprensibile il comportamento di molti italiani: l’albero è un simbolo neutro, non impegna ad assumere nessuna posizione nella vita; il Presepio è coinvolgente, impegna ad esprimere una fede.
Il panettone (e riti connessi, come vacanza, divertimenti, ecc.) sta subendo lo stesso destino dell’antico “risus paschalis” (il ridere a Pasqua). Infatti, prima delle riforme del Concilio di Trento del secolo XVI, in molte regioni europee in chiesa nel giorno di Pasqua era “obbligatorio” ridere, essere contenti per mostrare la felicità di persone redente. Perciò in alcune chiese, se la liturgia solita non riusciva a far sprigionare il riso dai fedeli, i preti ricorrevano a scherzi, lazzi, scene volgari … pur di costringere al riso. Con l’andar del tempo, ormai dimenticata la connessione tra la Pasqua e il ridere, rimasero vive soltanto le scene farsesche, più o meno edificanti.
Purtroppo il Natale cristiano gioioso, oggi per molti si è trasformato nel semplice … panettone (o altro?). Gesù nacque, secondo la volontà di Dio, per cambiare strutturalmente l’uomo e la convivenza umana. Egli portò tra gli uomini amore di Dio e pace. L’amore e la pace favorirono la gioia, che si manifestava anche attraverso il “cenone natalizio”. Poi la società – chissà come? – ha preteso di far rientrare Gesù nei ranghi del consumismo. Infine è rimasto il consumismo senza Gesù.
Invece Natale è Dio, che ci salva e libera. Sembra però che molte persone non abbisognino di essere salvate e liberate dalla tristezza e dalla vita insulsa. Altre addirittura, alla salvezza che ci viene da parte di Dio, preferiscono ricorrere a quella che viene dai diversivi, dalle droghe, dai suicidi (che si infittiscono proprio nel periodo natalizio), dall’eutanasia. Una salvezza questa che si riduce in una fuga, e non a un rifugiarsi in Dio.
I non salvati da Dio, anche nelle nostre strade, stringono sempre più il loro cerchio, per reprimere, per ridurre, e perfino per soffocare ogni segno di Dio e anche quelli che sono stati salvati da Gesù. Sull’altra sponda invece il Natale stimola noi salvati a rompere l’accerchiamento, per far tracimare la nostra gioia nel mondo. Rompere l’accerchiamento non con la violenza, la lotta, la crociata; ma con la preghiera, l’amore, la certezza chiara di essere ancor oggi il lievito. GCM

Origine di Gesù

Origine di Gesù 22
Terminiamo queste nostre modeste riflessioni sull’origine di Gesù. Con la nascita di lui, i Vangeli sembra che cambino registri. I Vangeli e tutta la successiva letteratura cristiana, canonica e non, partirà da quell’”apparuit” ricordato nella liturgia.
Il periodo dell’origine, si svolge quasi tacitamente, nei rapporti tra poche persone, prese davvero alla sprovvista. Dice la Scrittura: mi hai intessuto nelle profondità della terra. Qui i singoli angeli, dopo le schiere. Qui i dubbi inziali dei protagonisti. Poi invece pastori e magi. Qui silenzio e fede e dubbi, poi sicurezza e inni. Tanta sicurezza, che ne è consapevole anche Erode, che, come tutti i poteri, la vuole soffocare.
Gli ultimi passi di questo periodo pre-natale, il Vangelo di Matteo lo descrive, sia citando la Bibbia, sia ricordando la pratica adesione di Giuseppe al suo definitivo stato di marito e di padre.
L’evangelista Matteo trova che finalmente, in modo nuovo e definitivo, si avvera la profezia di Isaia: “Una vergine avrà nel ventre e partorirà figlio, e chiameranno il nome suo Emmanuele, tradotto: Dio con noi”.
E la conclusione: “Alzatosi allora Giuseppe dal sonno, fece come gli ordinò l’angelo del Signore e prese sua moglie. E non conobbe lei finché non partorì il figlio e chiamò il suo nome Gesù”.
Finalmente la calma dopo un movimentato periodo, che accompagnò l’origine di Gesù. Adesso nella pace il feto poteva svilupparsi sano e tranquillo.
04.01.2016

Origine di Gesù

Origine di Gesù 1
Poi così era l’origine di Gesù Cristo: questo troviamo scritto nel Vangelo di Matteo (1, 18). Già il non parlare di nascita, ma di origine, ci aiuta a salire oltre la nascita di Gesù. Il verbo greco all’imperfetto, depone per un passato non concluso, come sarebbe il verbo all’aoristo: ossia ci troviamo a considerare un “divenire”, non una situazione conclusa nel passato. Quel “poi” del testo (δε) è un collegamento con quanto era stato scritto prima, ossia con le generazioni ebree precedenti Giuseppe.
Subito dopo si parla di “Maria, già data moglie a Giuseppe” (1,18b). E questo possiamo vederlo meglio, perché il testo dice: “fu trovato nel suo ventre che aveva da Spirito Santo”.
Evidentemente questa frase suscita nel lettore la necessità di cercare come Maria, la moglie, si era trovata incinta non dal marito, Giuseppe, ma da uno “strano” Spirito Santo.
Ci viene in soccorso il Vangelo di Luca, che narra i precedenti storici del versetto Mt, 1 – 18a.
Luca riferisce chiaramente il precedente (cfr. Lc 1, 26-28). Il raffronto tra i due aiuta non solo a ricostruire i dati di una storia, ma anche due coniugi, Maria e Giuseppe, nelle situazioni del tutto inedite e impensate, nelle quali si sono trovati, anzi nelle quali Dio li aveva introdotti.
Troveremo così storie parallele. Intanto dal Vangelo di Matteo, possiamo desumere che era passato un po’ di tempo dal colloquio di Maria con Gabriele, perché i due si accorgessero di una gravidanza in atto. Perciò è opportuno rivolgerci a Luca (1, 26 ss.)

19.12.16