Sollevarci dalla polvere

Sollevarci dalla polvere
È vero che talora il disastro ci fa rinsavire. Quando tremano le nostre certezze, quando l’avanzare dell’età, quando l’ambiente ci opprime, allora – come dice il salmo – Dio ci deve aiutare a capire quanto è breve la nostra vita. Il figlio prodigo s’accorge del Padre, quando è precipitato nel brago. È lo scossone provvidenziale. L’ho costatato negli Alcolisti Anonimi, e nei carcerati.
Eppure anche piccole scosse, come errori e umiliazioni, hanno il potere di farci riflettere, se il riflettere è diventato il nostro divertimento più ricercato.
Ricavare il bene dal male, grande o piccolo che sia. È la saggezza dei santi o dei piccoli, la saggezza del filosofo o del matematico. Il male crea, necessariamente, dentro di noi un risvegliarsi di energie. Servircene per coltivare la prudenza è intelligenza. Partire dalle cose rimpicciolite, per arrivare all’essenza: è l’annuncio del Natale, là dove Dio si fa piccolo per mostrare la sua grandezza nell’amare.
Il ricavare il bene dal male è anche sorgente di serenità. Infatti non ci si abbatte per l’insuccesso, ma si eleva l’insuccesso al rango di avvertimento, e perciò di un amico. La differenza tra un amico e un nemico, che ci fanno notare i nostri sbagli è facilmente intuibile: l’amico ci consiglia, il nemico ci condanna.
Noi stessi, in occasione dei nostri errori, possiamo essere l’amico o il nemico di noi stessi. Tendiamo a mangiarci le dita all’avverarsi di un nostro errore, oppure sorridiamo su noi stessi, comprensivi per la nostra debolezza? A casa, a scuola, in seminario ci sono state indicate prospettive di eroismo. Anche le biografie di santi canonizzati sono degne più dell’Olimpo che del Paradiso, più dei muscoli di Ercole, che della mansuetudine di Cristo.
È una bella virtù, l’abitudine a sorridere sui nostri errori.
18.03.17