Dio non si umilia

Dio non si umilia
Leggo anche oggi nell’esplicare il dovere di recitare il Breviario, una frase che mi lascia molto perplesso e anche un po’ addolorato. Essa fa notare l’umiliazione di Dio nel rendersi uomo in Gesù.
Chi ama si dona, donandosi non fa distinzione tra prestazioni nobili e prestazioni volgari, quando si dona all’amato. C’è una frase, un pochino strana, che ho udito nel Veneto, che però è anche di una verità lampante: “Chi che ama, anche le spusse xe odori!”. Tutto diventa bello nell’amato. Non degnazione, ma dono.
Il re, il magnate industriale, il professore famoso, si degnano, si sentono umiliati se si trovano alla pari con il suddito, con il dipendente, con il discepolo asino. Loro sono grandi, rivestiti di fulgore. Dio si rifugia in una stalla, o giù di lì, per incontrare l’uomo che egli ama. Dio è amore, e si trova a suo pieno agio, quando noi riconosciamo il suo amore e teniamo Dio vicino, caro, prezioso, perché è Padre.
La parola “Padre” ha squarciato i cieli, e ha diviso la storia, e il sentire religioso degli uomini. E se, tenendo presente che Lui è Onnipotente, si entra in commozione al pensiero che un “Onnipotente” ama davvero un poveraccio come me, pauroso, fallibile, pieno di pecche: proprio Lui mi ama, e ama proprio me.
E poi mi guardo attorno e scorgo volti luminosi, perché amati da Dio. Perché figli di Dio. E mi trafigge gioia per coloro, che, come me, sono sicuri del “Padre” che ama; e mi trafigge pena per tutti, anche cristiani, che credono l’amore di Dio Padre un particolare trascurabile. Questi non conoscono i fremiti che si provano, quando dichiariamo: “Padre nostro!”. Cuore colpito, non formula.
24.12.17

Trascurare le fonti

Trascurare le fonti
Proprio stamani parlavo con un signore, che si proclamava fedele, ma che conosceva quasi a memoria un libro di quasi-devozione, del quale ora mi sfugge il nome. Mi sovveniva impellente il ricordo dei fan degli scritti della Valtorta, come si erano diffusi, una quindicina di anni fa. Conoscenza famelica dei libri della Valtorta, dimenticanza e inedia del Vangelo. Una scelta dei “derivati”, e dimenticanza della fonte.
Compresi anche perché quel signore, a me caro, restava ancora abbarbicato alla superata concezione del Dio severo e duro, in quanto Padre, e del Gesù buono in quanto Uomo.
Non gli passava neppur lontanamente per il capo che il Gesù è buono proprio perché, come affermava, “Io e il Padre siamo un tutt’uno!”. La non conoscenza del Vangelo produce ignoranza delle cose essenziali, e tale ignoranza, purtroppo, guida il sentire e la vita di molti che si dicono cristiani cattolici. Senza il Vangelo, è facile scivolare nel peccato, soprattutto nel peccato di infedeltà.
Anche il trascurare il Vangelo è una non trascurabile infedeltà a Gesù. Se è vero che l’Eucarestia, il Vangelo e il mistero della Chiesa sono i modi in cui Gesù è “realmente” presente in noi Chiesa, trascurare il Vangelo e l’Eucarestia è trascurare Gesù, essergli infedeli.
Pochi sono convinti che l’infedeltà è un peccato. Ammettono, sì e no, che è peccato l’infedeltà tra coniugi, perché tra loro urge il vincolo del contratto matrimoniale. Eppure l’infedeltà a Gesù e al Padre, non è certo una minuzia trascurabile. Tutto l’Antico Testamento è zeppo di rimproveri che Dio rivolge al suo popolo a causa della sua infedeltà!
GCM 26.04.17

Gesù grande, perché vero uomo

Gesù grande, perché vero uomo
Gesù è attraente come persona. È tanto attraente, quando lo si accosta, che lo si “scusa” se sa e se fa ciò che lui dice e che lui fa, dicendo (molti me lo dicono): “Sì, ma lui è figlio di Dio!”. Così si confonde l’umanità di Gesù, con la sua divinità. Che lui sia grande, perché Dio Figlio del Padre, è ovvio. Ma lui è grande anche in quanto figlio di Maria e di Giuseppe.
La personalità di Gesù è completa. Il suo comportarsi in ogni circostanza era sempre in armonia con la bellezza della struttura umana.
Lui sapeva amare in modo sublime. Perciò indica a noi di amare. Gesù non ha mai indicato agli altri comportamenti strani o impossibili. Erano i suoi comportamenti e le sue doti, che proponeva agli altri. Anche in questo era l’uomo autentico.
Anche oggi Gesù lo si adora in quanto Dio, ma lo si imita in quanto uomo.
Grande uomo, Gesù? No, vero uomo, completamente uomo. Il greco e il latino usano l’aggettivo “completo” (latino: perfetto). E la traduzione a orecchio di chissà chi, la rende con “perfetto”. Etimologicamente il perfetto italiano dipende dal “perfectus” latino. Ma purtroppo oggi il vocabolo è inteso in modo “romantico” perdendo il suo nativo valore di “completo, autentico, vero”.
E inoltre la nostra stupidaggine, per scusare le nostre indolenze, pone Gesù in una cornice rarefatta, lontana, impossibile, che si diletta a presentare Gesù come “Pantocrator” il comandante supremo, togliendolo così dal nostro fianco e dalle nostre possibilità.
È bello tuffarci nella contemplazione di Gesù, uomo davvero e non figurina da museo, per prendere da lui, per noi, le misure esatte del nostro essere uomini ed agire da uomini.
01.06.17

Attesa e conforto

Attesa e conforto
Si sa che l’attesa logora più di una cattiva notizia. Per sostenere la sospensione è necessario continuare a implorare energia da quello Spirito, che è l’energia di Dio, la forza dell’amore.
Affidarci allo Spirito non cancella l’ansia, ma aiuta a elaborarla, e, in quanto è sofferenza, a sublimarla.
Cominciò a provare tristezza e angoscia. E disse loro: triste è il mio spirito fino a morirne: rimanete qui e vegliate con me (Mt 26, 38). La vicinanza di un altro nei momenti angosciosi era stato un desiderio, non appagato, di Gesù sofferente. La vicinanza di una persona che comprenda una persona che di solito rassicura gli altri, e che ora abbisogna di essere rassicurata. Il sollievo, spesso, non può venire da dentro di noi, ma da chi riesce a star vicino senza ansia, neppure l’ansia che tenta di rassicurare. Vicinanza pura, ma cordiale.
Allora, se qualcuno intuisce l’ambascia, sa che non si può impedire l’ambascia, ma soltanto accompagnarla, meglio se in silenzio. Gli apostoli presenti alla sofferenza di Gesù, non seppero sostenere il “loro maestro”. Allora interviene quell’amico sincero che è Dio. “Gli apparve un angelo dal cielo a confortarlo” (Lc 22, 43). Dio non si pone lontano dalle nostre angosce. In quanto Padre, sente di dover intervenire. E quante volte è intervenuto silenziosamente, senza che noi ce ne accorgessimo. Dio non ci abbandona, soprattutto quando noi ci abbandoniamo a lui. Certamente al nostro bisogno di avvertire subito l’aiuto, non è risposta sentita. Ma lui lo fa.
06.06.17

L’oscuro della parabole

L’oscuro delle parabole
Le parabole sono degli stimoli, non delle lezioni da prendere alla lettera.
Sono stimoli adatti alla mentalità e alla sensibilità degli ascoltatori.
Giovanni e Paolo non usano parabole, perché scrivono a un certo tipo di nuovi ascoltatori.
Certamente che, se prendiamo le parabole alla lettera, Dio è presentato come giustiziere vendicativo, che non ha nulla da vedere con il Padre svelato da Gesù.
Mi lasciano perplesso certi commenti alla lettera delle parabole. Però tutti sanno che la lettera uccide. Perciò dobbiamo accorgerci dello stimolo, e poi inquadrarlo sul Dio-Amore di Gesù, e del Vangelo di Giovanni.
Perciò per inquadrare con più intelligenza gli evangelisti sinottici, non sarebbe errato leggere per primo il Vangelo di Giovanni. Esso è il meno lontano da noi nel tempo e anche nello stile, e potrebbe far quasi da ponte a ritroso per incontrare Luca, Matteo e Marco.
Comunque l’applicazione alla lettera delle parabole di Matteo e di Marco non rendono giustizia al pensiero di Gesù. Gesù era bravissimo nel raccontare, eppure poi, quando i vicini a Gesù si trovavano soli con lui gli chiedevano: “Spiegaci la parabola”. Anche per loro le parabole erano misteriose. Soltanto verso la fine della vita di Gesù, esclamano: “Ora finalmente ci parli chiaro!”.
Le parabole erano così misteriose che i suoi discepoli se le ricordarono, però solo Giovanni, da vecchio a quanto sembra, espresse con chiarezza il pensiero di Gesù.
09.06.17

Prendete e mangiate

Prendete e mangiate
Gesù adopera un linguaggio cannibalesco: “Mangia la mia carne”. Il testo non alleggerisce l’espressione, anzi la ripete.
Sì, carne è la condizione umana povera e limitata, di fronte alla quale si trova lo “Spirito”, la condizione perfetta, che è “in Dio” e che Dio partecipa all’uomo che crede.
Il progetto di Dio è che Gesù sia carne per attuare la volontà del Padre, che lui attua sempre.
Tutto ciò non toglie l’asprezza della stessa frase, che si incentra sul mangiare. Dice “mangiare”, non accettare solamente, ma assimilare per vivere. Chi mangia la carne di Gesù ha la vita eterna.
Lo Spirito di Dio, donato da Gesù, si trasferisce nell’uomo, mediante la sua carne mangiata. Nella frase di Gesù si può notare un bisogno di intimità inscindibile, dato che la carne, entrata come cibo, si disintegra per essere assorbita.
Gesù, alla fine della vita costruisce il senso del dono di sé, e la nuova inedita modalità del dono: questo è il mio corpo: e indica il pane. Così rende possibile il mangiare di lui. Questo è il mio corpo dato a voi. Un corpo che non solo accompagna, ma penetra. Lo specifica anche Paolo, nello scrivere ai santi di Corinto. Un corpo consegnato ai suoi, non un corpo tolto, un corpo sottratto, ma un corpo donato, donato appunto in modo non restituibile, ma dato a fondo perso, ossia mangiato.
Il senso cannibalistico della frase, si trasforma in un dono permanente, non ricuperabile.
19.06.17

Sperare nel Padre

Sperare nel Padre
Il nostro atteggiamento cristiano è guidato dallo stesso criterio, con il quale si regolava Gesù: fare sempre la volontà del Padre. Perciò quando dobbiamo prendere una decisione qualunque, la domanda non è se sarà approvata da chiunque, se troverà difficoltà, se è la più adatta allo scopo, ma semplicemente se ciò che sto per compiere piace o dispiace al Padre.
C’è un atteggiamento che sostiene, rinfranca e accetta l’armonia con quel Padre, che sta alla porta e bussa: quando opero è sempre viva la certezza di dovere e potere comunque mantenere la speranza: so che, comunque vadano le cose, io so e spero che il Padre sarà con me e mi sosterrà. È piacere del Padre, essere oggetto della speranza dei suoi figli, davanti a ciò che ogni circostanza gli riservi.
Sperare per rendere felice il Padre, il quale ci comunica la sua felicità nello Spirito Santo. Volontà del Padre è che noi speriamo in lui, anche quando attorno a noi le cose vanno storte, o gli altri le fanno andare storte.
Chi spera non muore contento perché ha sperato fino in fondo illudendosi, ma muore contento perché si trova in armonia con “l’unico Padre: quello dei cieli”.
La vera speranza in Dio, addolcisce sempre l’ansia dell’attesa, e offre nuovi modi di affrontare il futuro, compreso il modo di adattarsi al futuro. Sempre “nella tua volontà è la nostra pace”.
È vero che il futuro designato dagli uomini appare chiaro; poi pensa il futuro stesso ad accomodare, chissà in che modo, il futuro stesso. La speranza cristiana si pone sempre dentro l’escatologia, e l’escatologia è nelle mani di Dio.
04.06.17

Nell’amore di Dio

Nell’amore di Dio
Essere travolti nell’amore di Dio, è lo stesso che amare come Dio ama. Dio ha amato il mondo. Quindi essere travolti nell’amore del Padre, nella dinamica del suo amore, è l’amore verso il prossimo. Proprio l’amore per il prossimo è il segno certo che stiamo amando in Dio, e quindi amiamo Dio, nell’essere uno con lui.
Si parte sempre dal desiderio. Il desiderio ci muove verso ciò che si desidera. Desiderare di amare, con l’amore con il quale Lui ama, è l’inizio molto sicuro dello stesso amare. Le nostre difficoltà difficilmente si superano combattendole, ma si inizia con il desiderare l’opposto di quanto le difficoltà ostacolano.
Desiderare di amare i fratelli è sempre amore espresso nel desiderio, è necessario però che il desiderio sia autentico, cioè che non si accontenti di se stesso, ma si basi su se stesso per procedere nell’attuazione di ciò che si desidera. Già il desiderio dell’amore è movimento dello Spirito di Dio, lo stesso Spirito ci spinge dal desiderio all’attuazione. Evidentemente qui si tratta della fiducia nell’azione dello Spirito Santo, fiducia che è già frutto dello Spirito. Nessun bene presente in noi esula dall’opera dello Spirito. Ciò che io scrivo è già supportato dallo Spirito, mentre sto scrivendo.
Il grande salto dall’Antico al Nuovo Testamento, consiste dall’ “Amare Dio” del Pentateuco, all’”Amare in Dio” del Vangelo, in particolare del Vangelo di Giovanni. Quindi il passaggio dal difficile amare un Dio staccato, al facile amare in Dio le persone che incontriamo.
05.06.17

Amore e onnipotenza

Amore e onnipotenza
Dio grande e misericordioso: lo proclamano Ebrei, Islamici, Cristiani. Con quale prospettiva? Come interpretare la dinamica che unisce onnipotenza e misericordia? Onnipotenza che usa misericordia, proprio per esercitare l’onnipotenza non solo per vincere il nemico, ma per aver misericordia?
Anche i terroristi, che proclamano la grandezza di Dio per massacrare, sanno che Allah usa misericordia nel premiare gli assassini. Per noi, cristiani, che crediamo nell’onnipotenza e nell’Amore di Dio, l’esempio di Gesù è avvincente e modellante.
Gesù incontra un funerale, nei dintorni di Naim. Si commuove per la povera vedova e pone la sua onnipotenza a servizio del suo affetto, ed ecco il richiamo in vita per il figlio della povera donna. Egli si reca piangendo alla tomba di Lazzaro, ed ecco la rivivazione di Lazzaro.
Dalla commozione al segno. Sì, proprio è così: l’onnipotenza al servizio dell’amore. Per vivere l’amore in pienezza, Gesù richiama la potenza inserita in lui dallo Spirito Santo.
Ecco quindi il modo di agire di Dio in Gesù: onnipotenza al servizio dell’amore. Per troppi burocrati la potenza è a servizio del potere. L’amore non ha spazio.
Dio è Amore: ci avverte S. Giovanni. Il Padre vi ama. Perfino nell’elaborazione del Credo cristiano, noi affermiamo che il Padre è onnipotente. Prima Padre, e in quanto Padre (generatore di amore) Dio è onnipotente.
Perciò è fare affidamento sempre sull’amore del Padre e di Gesù, pieni di reciproco amore nello Spirito Santo, quando invochiamo Dio, magari per sollecitare la sua commozione, e con la commozione amorevole, trovare la presenza dell’onnipotenza.
06.06.17

Amore di Dio facilitato

Amore di Dio facilitato
Dio ha bisogno del nostro amore. Non solo per essere amato, ma per amare, e continuare il suo amore. L’aveva sapientemente compreso e vissuto Madre Teresa. L’aveva detto chiaramente Gesù: “Ciò che fate al più piccolo l’avete fatto a me”.
Se uno dice di amare Dio, e poi odia il proprio fratello è un bugiardo (cfr. I Gv 4, 20). Quindi la domanda non è: “Chi è Dio, perché possa amarlo?”, ma: “Chi è il fratello, perché amando lui possa amare Dio?”.
Chi è il mio fratello, affinché amando lui, ami il Padre? Rileggendo il Vangelo scopro che non solo Gesù è, per me ignorante dei grandi monumenti teologici, la semplificazione del Dio invisibile in un Dio visibile, ma scopro pure che amando il fratello che si vede in lui amo Dio e Gesù, che non si vedono. L’uomo amato è l’ulteriore semplificazione di Dio, dopo quella dell’Incarnazione.
Sì: il suo peso è leggero! Attenzione a non scrollarci di dosso anche le formiche dopo aver evitato l’elefante.
Dio è colui che accondiscende, discende nell’uomo.
Nell’uomo Dio vive l’amore, perché l’amarci a vicenda è semplicemente amore di Dio che si espande, e si espande attraverso la Chiesa, che siamo noi. Però la Chiesa deve reggersi sull’amore, per essere l’amore di Dio nel mondo. Una chiesa organizzata su altro, che non sia l’amore, è una chiesa mondana, nel cuore e nelle manifestazioni. Nella carità si realizza la chiesa, affinché, come scrive S. Paolo, tutto concorra all’unico bene: Gesù nello Spirito.
05.06.17