Ozio come preghiera

Ozio come preghiera
Quando le circostanze (per esempio, il carcere) oppure l’età ci impediscono di operare, può la stessa nostra inerzia essere abitata dallo Spirito di Dio, e trasformarsi in situazione salvifica, da vivere come dono di Dio?
Gesù ci dice di operare, affinché gli altri vedano le nostre opere buone e glorifichino il Padre. E se non operiamo non per nostra scelta, questa diventa neghittosità colpevole, oppure occasione per lodare Dio in “modo diverso”?
La malattia, durante la quale non si può far nulla se non fare l’ammalato, può essere santificata con il viverla assieme con la croce di Gesù. L’inerzia, non voluta ma imposta dalle circostanze, può essere vissuta con la croce di Gesù?
Cicerone, da Terenzio: senectus ipsa est morbus: la stessa vecchiaia è una specie di malattia. L’esser vecchio è già un entrare nella croce di Gesù, quando ogni giorno possiamo dire: “Nelle tue mani, affido il mio spirito”. Eppure un residuo di efficienza rimane: esso fa parte del “vedano le vostre opere buone e glorifichino il Padre”. Nella vecchiaia facilmente ogni nostra opera è buona, ogni opera che manifesta quell’incomparabile dono di Dio che è la vita.
Il vivere, che non si diletta nell’egoismo, nel peccato, nella non insignificanza, è continua preghiera. La vecchiaia stessa è preghiera. È bello accettarla come preghiera, non perché si dicono le preghiere, con l’aggiunta delle distrazioni dovute proprio allo stesso vissuto dell’età, ma perché il vivere è pregare. Perciò anche il non essere in grado di operare, è preghiera vissuta con Gesù, nel Padre.
16.02.18