Eucarestia: Dio qua

Eucarestia: Dio qua
Una delle più toccanti delle realtà del “Dio qua” è l’Eucarestia. Il Dio con noi, in forma misteriosa e reale.
Dio presente con noi, quando la chiesa radunata in lui, gli chiede di realizzare un modo intenso della sua presenza, egli, bontà commovente senza limiti, si presta alla brama della sua chiesa, e invade di sua presenza il pane e il vino, vi penetra fino a concedersi al pane e al vino, e in essi realizzarsi in forma nuova.
Già una volta aveva invaso una persona, facendosi presente in essa, tanto da tradurla intimamente in Figlio divino. Ogni giorno la stessa bontà per noi, e la stessa onnipotenza rende divini pane e vino, come rese divina la persona di Gesù. Il Dio qua si presta a questa nuova forma di sua presenza, inserendo, in modo incomprensibile eppure realissimo, la presenza del Figlio nel pane e nel vino. Ma non è tutto. Gesù ai suoi tempi terrestri, affermava di essere uno con il Padre. Quindi dove si trovava Gesù, là si trovava il Padre, onnipotente e immenso. Così nel pane e nel vino, quando in essi è presente Gesù, è presente anche il Padre con lo Spirito Santo.
Nasce in noi lo sgomento di una gioia intensa per il mistero. Con Gesù in noi, creaturine infinitesimali, è presente il Padre, il Creatore dell’universo. Il Dio qua, è il Dio tanto vicino da essere in noi, confermando con il sacramento, ciò che i mistici chiamano l’”inabitazione” trinitaria nel cuore dell’uomo.
Il Dio qua è talmente presente da essere “qua” in noi. Come la preghiera di Gesù, così la nostra preghiera è “unitiva con Dio”. Ci pensiamo troppo poco, e la gioia cristiana evapora.
17.02.18

Il “Dio qua”

Il “Dio qua”
Noi preghiamo un “Dio qua”, presente nel presente e nel qui: il catechismo ci insegnava che Dio è dappertutto (e perciò anche qua) e immortale (e quindi anche adesso).
Alcuni sono un po’ confusi, credendo di pregare un “Dio là”, perché il Padre Nostro ci fa dire: “Che sei nei cieli”, ossia un Dio non in terra, al quale è necessario telefonare la preghiera.
Però è bene ricordare che quel “sei nei cieli” non indica un luogo di Dio, ma una sua qualità. Il greco manca del verbo “essere” sebbene sembra presupporlo. Luca, che scrive il Vangelo non pregno di ebraismi, come fa Matteo, riferisce la preghiera di Gesù, in modo netto: “Padre, sia santificato il tuo nome”. Luca spoglia la preghiera di Gesù, da quanto non ha importanza per i suoi lettori non ebrei. Accetta sì il riconoscimento di Dio (sia santificato il tuo nome: riconosco che tu sei Dio), e accoglie la sua grandezza universale (il regno), ma evita una frase che ai suoi lettori sarebbe stata un po’ astrusa, e che potrebbe ricordare l’Olimpo, quale sede degli dei.
Per noi cristiani è un po’ disorientante il metterci in contatto di preghiera con il “Dio là”. Però nel Vangelo esiste anche la frase: “Padre celeste”.
È così bello essere certi che il Padre vede il mio cuore, questo cuore che ha bisogno di lui per gustare un vero affetto incrollabile, e che le mie parole sono sempre ascoltate da lui. La “recita” delle preghiere è un dire ciò che lui, amorevolmente, sta ascoltando con la gioia del Padre, ricordato e invocato dal figlio. Grazie, Padre, di essere il mio “Dio qua”!
17.02.18

Vangelo e uomo, prima di tutto

Vangelo e uomo, prima di tutto
Applico la persona al manuale, o il manuale alla persona? All’inizio della carriera del confessore o dello psicologo (e fosse solo all’inizio!) la tendenza è quella di applicare la persona al manuale, perché il manuale rassicura l’operatore, mentre la persona gli crea ansia. Poi arriva la maturazione, quando confessore, psicologo, medico, avvocato e altri, arrivano alla convinzione di essere individui con una conformazione personale, anche nelle idee, e scoprono che gli altri non sono casi da incasellare nel manuale, ma persone vive e originali, alle quali si può anche presentare il manuale, per vedere se quel comma gli si addice. Come fa il sarto con i vestiti preconfezionati, fino a che scopre la misura adatta alla singola persona.
Lo stesso sistema psichico o morale, valido in sé, non gode di universalità. La medicina si divide in convenzionale, omeopatica, agopunturistica, naturopatica, ecc. Il diritto possiede molte sfaccettature, che diventano giurisprudenza. L’etica stessa è sì un’esigenza universale, ma i modi di applicazione e il riferimento basilare (che per il cristiano è il Vangelo) è vario e anche lo stesso criterio di base, sopporta molte interpretazioni e applicazioni: il Vangelo è vissuto diversamente da sposati e da nubili, da monaci e da magistrati.
Abituarci all’unico riferimento è salutare e necessario (salute fisica e psichica, per medici e psicologi; armonia con il Padre per i confessori…), ma costringere a un’unica interpretazione è una certa tirannia.
13.02.18

Quaresima

Quaresima
Non mi è facile capire (come non capisco le 99,9% delle realtà che mi circondano e che io incontro ogni giorno) come si situi la Quaresima cristiana in un popolo di risorti in Gesù. È periodo di penitenza? Forse è periodo di più attenta riflessione sulla Pasqua, che ci ricorda e ci rituffa in Gesù Risorto. Quindi è un periodo di riflessione proprio sulla quasi inconcepibile gioia della Risurrezione. Quaresima quindi come reintroduzione alla gioia del risorto.
Ci viene indicata la Quaresima, come rivisitazione mistica alla quaresima di Gesù nel deserto. Eppure in vita Gesù aveva donato una lettura delle sofferenze, che non vengono dal nostro imporle, ma dall’assenza dello Sposo. Assenza che può verificarsi in molti modi, e non in un tempo rituale.
Per alcuni la Quaresima è il ritorno di una igienica vita sobria. Per altri diventa una furbata adolescenziale, quando ci si privava di un cibo saporito, per gustarlo con più passione al ritorno. O anche come la commovente trovata dei bambini buoni e volenterosi, che si inserivano i sassolini nelle scarpe, per assaporare il sollievo nel toglierseli.
Forse si può godere la Quaresima come un periodo di raccoglimento, di riflessione, di gusto spirituale per viver anche la Pasqua con una percezione più intensa di Dio, cioè di quel Padre, che quando ci ritiriamo nella nostra stanza, vede nel segreto e nel segreto ci ricompenserà.
La Quaresima è come un abbraccio più stretto con il Padre, in un periodo di intensa intimità.
14.02.18

Gesù Parola

Gesù Parola
La Quaresima ci sollecita ad accostare e ad abbracciare con più affetto il Vangelo, ossia Gesù fatto parola, che penetra in noi, in armonia con la penetrazione parallela, che è l’Eucarestia. Si tratta di un nuovo e continuo bagno nell’amore del Padre, che non trascura nessuna occasione, pur di farci percepire che è con noi. Il sapore di famiglia, che noi assaporiamo nel vivere giornalmente con le persone care, lo viviamo intensamente nel vivere in famiglia di Dio. Quel vivere intensamente la famiglia in Dio, che è produzione dello Spirito Santo.
Alla felicità del vivere la famiglia di Dio, durante questa Quaresima, affianco la lettura di un testo, che mi aiuta a convertirmi. La conversione a nuove intuizioni del Vangelo stesso. È come se quel testo realizzasse in me il Vangelo di Marco: “Convertitevi e credete al Vangelo!”.
È un dono del Padre quel testo, perché quasi a ogni pagina mi aiuta a svelare il Vangelo, che è lo “svelare Cristo in me” come mi sembra si esprima S. Paolo. È un testo che spreme dal Vangelo e dai testi del Nuovo Testamento fiocchi di luce e gusto di sapienza. E perciò mi aiuta a bere tutta la dolcezza divina che il Vangelo contiene: abbondanza di verità, come dice la Scrittura.
Allora nasce il desiderio, corredato di preghiera, di comunicare a più persone possibili la dolcezza di quel bagno. La Scrittura non è tale se solo chi la legge sente dolce il “naufragare nel suo mare” per dirla con Leopardi, ma deve anche sentirne la dolcezza dell’allagarlo a quanti si incontrano, quanto Gesù-Parola genera in me. La prima lettera di Giovanni è scritta con questo afflato: comunicare, affinché si completi la nostra gioia.
15.02.18

Ozio come preghiera

Ozio come preghiera
Quando le circostanze (per esempio, il carcere) oppure l’età ci impediscono di operare, può la stessa nostra inerzia essere abitata dallo Spirito di Dio, e trasformarsi in situazione salvifica, da vivere come dono di Dio?
Gesù ci dice di operare, affinché gli altri vedano le nostre opere buone e glorifichino il Padre. E se non operiamo non per nostra scelta, questa diventa neghittosità colpevole, oppure occasione per lodare Dio in “modo diverso”?
La malattia, durante la quale non si può far nulla se non fare l’ammalato, può essere santificata con il viverla assieme con la croce di Gesù. L’inerzia, non voluta ma imposta dalle circostanze, può essere vissuta con la croce di Gesù?
Cicerone, da Terenzio: senectus ipsa est morbus: la stessa vecchiaia è una specie di malattia. L’esser vecchio è già un entrare nella croce di Gesù, quando ogni giorno possiamo dire: “Nelle tue mani, affido il mio spirito”. Eppure un residuo di efficienza rimane: esso fa parte del “vedano le vostre opere buone e glorifichino il Padre”. Nella vecchiaia facilmente ogni nostra opera è buona, ogni opera che manifesta quell’incomparabile dono di Dio che è la vita.
Il vivere, che non si diletta nell’egoismo, nel peccato, nella non insignificanza, è continua preghiera. La vecchiaia stessa è preghiera. È bello accettarla come preghiera, non perché si dicono le preghiere, con l’aggiunta delle distrazioni dovute proprio allo stesso vissuto dell’età, ma perché il vivere è pregare. Perciò anche il non essere in grado di operare, è preghiera vissuta con Gesù, nel Padre.
16.02.18

Chiesa è Eucarestia

Chiesa è Eucarestia
Sopprimete l’Eucarestia e quindi sopprimete la Chiesa. Il trasferire su altre manifestazioni, anche pastorali, il crescere della Chiesa, è un triste tentativo di cancellare il cristianesimo. Questa è la chiara intuizione del pensiero massonico, seguito incautamente, nella prassi e nella dottrina, da alcuni preti e da alcuni vescovi.
L’Eucarestia è soppressa, quando si chiudono chiese e si diminuisce la presenza eucaristica. Però esiste una soppressione in comportamenti anticomunitari nel tempo dell’Eucarestia. Li descrive e li denuncia S. Paolo, scrivendo ai Corinzi. Il vivere senza amore reciproco, quando i cristiani si radunano, è il “distruggere” il corpo di Cristo.
È preferibile un prete ignorante, che sa fare “bene” l’Eucarestia, a un prete dotto, che trascura il momento eucaristico magari per insegnare la teologia.
Anche, talvolta, troppe norme rituali sull’Eucarestia, corrono il rischio di soffocare Gesù, sotto una caterva di riti e di sacri paramenti.
Amare Gesù-Eucarestia, Gesù comunità eucaristica, è costruire Dio nel mondo. Che cosa dire di quei vescovi, i quali, pur potendo disporre di molti ministri dell’Eucarestia, diluiscono e diminuiscono le presenze di messe? Se la Chiesa riconosce se stessa nel Gesù presente nell’Eucarestia, l’offuscare la luce eucaristica è cancellare se stessa. Poca Eucarestia è poca Chiesa, e nessuna delle attività, anche pastorali, può sostituire la presenza viva e reale di Gesù, credendo di mostrarlo vivo con opere non eucaristiche o non indirizzate all’Eucarestia.
16.02.18

Dio vede il bene

Dio vede il bene
È proprio vero che Dio scrive dritto anche sulle righe storte. È la misericordia del Padre, che sa ricavare il bene anche dal male. Questo in modo sublime, quando si tratta delle morte di Gesù. Gesù, oltre la creazione sopra la creazione, è il dono, il gioiello più prezioso ai suoi figli: Gesù, ossia Dio regalato all’uomo; l’uomo, anziché esserne profondamente riconoscente, fa scempio di Gesù. Eppure nessun male, neppure il deicidio, è un male sul quale Dio non possa far emergere la potenza della sua misericordia.
Scendendo con lo sguardo, guardiamo i mali da noi perpetrati, i mali patenti e i mali occulti, occulti perfino agli occhi di chi li commette. Dio scruta il cuore degli uomini, non solo per punire, ma principalmente per guarire.
La Scrittura ricorda, tra l’altro, il delitto di David. David, grazie alla voce del Profeta, si accorge dell’enorme delitto di adulterio e di soppressione del marito tradito, ed entra in un patimento così straziante che è espresso anche nel magnifico salmo cinquanta.
Anche i nostri errori sono guardati con benevolenza trasformatrice dei cuori. Quante opere buone, anche religiose, noi abbiamo compiuto più per accontentare la nostra vanità o la nostra affermazione, proprio da autentici farisei quali siamo, che non per Dio e per il prossimo. Ma il Padre, oltre la bontà di farci accorgere delle nostre distorture, sa anche farci riconoscere che da quelle opere, anche sgangherate, ha ricavato del bene per altri suoi figli. Lui sa interpretare il bene anche là, dove noi abbiamo vissuto il nostro egocentrismo. Egli sa ricavare conseguenze positive, anche dalle nostre azioni distorte, e fa ricadere anche su di noi il bene, da noi sconosciuto, di quelle stesse azioni.
26.01.18

Battesimo e luce

Battesimo e luce
Il battesimo cristiano crea nuovi figli di Dio? Prima del Battesimo non eravamo figli di Dio? Eppure si afferma e si riafferma che ogni creatura è figlia di quel Padre che l’ha creata. Forse il sacramento del battesimo è una esplicitazione completa del nostro essere figli di Dio. È un atto di doppia accettazione libera: accettare di essere figli del Padre e accettare di essere concorporei di Gesù nella Chiesa.
Battezzati nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, viviamo nella nostra carne e nella nostra coscienza la bellezza la grandezza della nostra appartenenza alla famiglia di Dio.
Per dichiarare che nessuno è trascurato da battesimo, i teologi hanno ipotizzato e affermato l’esistenza di un “battesimo di desiderio”, indicando che ogni persona, che vive eticamente e religiosamente è pronta anche a un battesimo di acqua e di Spirito Santo, se avesse “incontrato” esplicitamente l’offerta del battesimo cristiano.
Destano tenerezza quei poveri cristiani, che pretendono di “sbattezzarsi”. Nessuno, che è figlio di Dio, può esimersi o dal battesimo di acqua (soprattutto se già ricevuto) oppure dal “battesimo di desiderio”. Gesù annette alla predicazione il battesimo. “Andate e annunziate il Vangelo a tutte le genti, battezzandole nel nome… ecc.”. Questo ammaestrare le persone è già un battesimo? È già una immissione nella “verità”, ossia in quel Gesù che è verità?
“Voi siete mondi grazie alla parola che io vi ho detto!” (Gv 15, 3). La Parola è un bagno salutare; il battesimo è anche acqua che purifica. S. Agostino: Pietro che battezza è Cristo che battezza. Il Battesimo non è un rito sì, ma anche una rivelazione.
24.01.18

Noi, chiesa, sacramento di Gesù

Noi, chiesa, sacramento di Gesù
Alcune persone vedono in me un uomo di cultura. Non capisco. Io mi rinvengo come un travet del pensiero. Semplicemente trovo gusto a pensare, a riflettere, principalmente su quanto leggo nel Nuovo Testamento.
Oggi, teologi mi dicono che Cristo è il “sacramento” del Padre. Il sacramento nella accezione più diffusa, è un segno che contiene la realtà che quel segno indica. Se del pane Gesù dice “questo è il mio corpo”, allora so che quel segno (il pane che si mangia e che è veicolo di immedesimazione di un elemento al mio corpo), indica e contiene un cibo, in questo caso il cibo di Dio, dato per la vita dei credenti.
L’altro passo del significato “sacramentale” è quello che la Chiesa è sacramento di Gesù e del Padre nello Spirito. Allora tutto ciò che è Chiesa, è sacramento di Gesù, perché la Chiesa “contiene” Gesù e la sua forza, mentre è “contenuta” in Gesù, essendo membro del suo corpo.
La Chiesa è il Gesù ancora mondano, e ne prolunga e ne attua il valore e l’attività. Quale chiesa? Quella dei prelati, del clero, degli eletti, oppure quella che siamo tutti noi? La Chiesa non è divisa, ma è da sempre interconnessa nei suoi membri dalla presenza e dall’opera dello Spirito Santo. Ogni opera della Chiesa, da qualunque membro sia attuata, è opera di tutti. Qui nasce l’attenzione del nostro agire e del nostro essere. Tutto concorre, tutti concorrono. Anche quando una persona, adibita a uno speciale ufficio (Paolo ne novera alcuni), agisce nel suo campo, agisce con tutti. La sacramentalità, per quanto si manifesti in alcuni e in alcune azioni, è di tutta la Chiesa, che siamo noi.
22.01.18