Speranza

Speranza
La speranza cristiana si concentra e si esaurisce nel mio sperare la mia salvezza, prodotta dallo Spirito Santo? Oppure la salvezza cristiana, iniziata da Gesù Salvatore del mondo, è speranza che ogni uomo giunga alla salvezza? Quindi è una speranza dilatata verso l’umanità e verso la trasformazione del cosmo, della quale parla la Scrittura? Cieli nuovi e terra nuova.
La speranza cristiana è radicata su una promessa. Promessa per me, per noi, per tutti? Anche sperare che la politica si purifichi e si salvi per aiutare il bene di tutti, per un credente è mero desiderio, più o meno illuso, oppure è il vivere Gesù Risorto nel mondo?
Tutto quanto di bene e di salvifico il cristiano aspira e spera, rientra nell’azione dello Spirito, presente nel credente e presente nel mondo.
Io attendo, grazie alla speranza la “redenzione del mio corpo”. Attendo pure la redenzione del cosmo umano e astrale, nel quale Gesù è inserito e nel quale la mia nascita mi ha inserito. Io vivo non per me, ma per Cristo, che in se stesso ha redento ed elevato l’uomo a totalità di esistenza, ed ha elevato il mondo, perché in esso i cieli e la terra contengono la “gloria” di Dio, come canta il salmo.
La nostra speranza di salvezza per noi e per il mondo, non si basa su nostre riflessioni o su nostri desideri ottimistici, ma sulla presenza dello Spirito di Dio nella realtà. In Padre non ha creato il mondo e noi nel mondo, e poi ci ha abbandonati con un “adesso arrangiatevi”. Egli segue la sua creazione con lo stesso amore sollecito, con il quale l’ha creato. Qui la nostra speranza.
05.04.18

Demonizzare il piacere

Demonizzare il piacere?
Il piacere fa parte della volontà di Dio creatore. Le fonti del piacere le ha create lui: sono il Paradiso terrestre, nel quale Adamo ed Eva, freschi di creazione, sono inseriti: l’Eden.
Le fonti del piacere sono espresse a diversi livelli: piacere corporale, piacere intellettivo, piacere spirituale. Sono fonti provvidenziali, tutte all’interno dell’unica creatura. Nessun piacere, che sgorga dall’uso del corpo, della mente o dello spirito, è disdicevole e proibito, perché ogni piacere è nella vita delle persone.
Il piacere fisico è quotidiano: il piacere del dormire, del mangiare, del sesso, del camminare, del godere la luce, ecc., è insito nella stessa vita di base.
Il piacere intellettivo del conoscere, dell’inventare, del creare, del risolvere i problemi, dell’orientarsi nella natura, ecc., è un dono di Dio, che ha posto nell’uomo la facoltà del conoscere e dell’amare.
Il piacere spirituale concerne tutte le sensazioni dell’esistenza: l’esserci, l’orientamento nell’esistenza, l’amore alla bellezza, alla bontà, alle persone, la speranza per il futuro, ecc.
La vita è ricca di piaceri, che sono vissuti nell’ordine. Il mangiare, per esempio, provoca il godimento della sazietà; il mangiare eccessivo provoca il dolore dell’indigestione. Ogni piacere cercato, anche spasmodicamente in se stesso, provoca disordine e, alla fine, scontentezza.
Che dire di una certa ascetica, che contrappone ogni piacere alla “vita secondo lo spirito”? È un’ascetica non necessariamente biblica e riconoscente al Creatore, perché tende a vedere il male nell’opera di Dio.
26.02.18

Molti se ne andarono

Molte se ne andarono
In questo periodo, nel quale l’Eucarestia sembra perdere presa su molti cristiani, viene più chiara la parola di Gesù, espressa nella sinagoga di Cafarnao, come è riportato nel Vangelo di Giovanni.
Gesù parla a lungo della necessità di mangiare la sua carne e di bere il suo sangue. Questo pasto particolare mette l’uomo non soltanto in relazione con lui, ma attraverso lui con il Padre. Contatti vitali, senza dei quali l’unico contatto con il Dio della vita svanisce nel nostro vivere. Sempre dal Vivente è alimentata ogni vita.
Gesù però ci apre a una partecipazione totale di vita con lui e con il Padre, partecipazione nell’intimità con Dio, per sorbire in continuazione il senso della beatitudine sublime.
Or bene, davanti a una prospettiva nuova e indicibile, che cosa avviene? La reazione (comprensibile, ma anche infelice): “Questo tuo parlare è sclerotico”: duro.
E poi ecco la pessima notizia: “Da quel punto molti discepoli si ritirarono da lui”: siamo ai giorni nostri, quando perfino le persone responsabili tra i cattolici, dissuadono dall’accostarsi all’Eucarestia. Sembra incombere più la manifestazione rituale attorno a un personaggio (per esempio: un prelato), che non l’intimo e frequente incontro con Gesù Eucarestia.
Nel discorso alla sinagoga di Cafarnao, Gesù in diversi modi aveva invitato a mangiare la sua carne e bere il suo sangue. Ha anche espresso la superiorità del suo cibo, su quello mangiato dagli Ebrei nel deserto, ma la reazione della gente (di allora soltanto?) fu negativa.
09.04.18

Massoneria

Massoneria
Una coincidenza proprio in questi due giorni: l’ammissione, pronunciata dal segretario della CEI, che tra i prelati e i sacerdoti ci sono dei massoni, e la sentenza della Magistratura italiana, che condanna Carboni, perché affiliato a una loggia massonica.
Forse potrà ripetersi per lo IOR, quando la condanna del Vaticano per alcuni abusi verificatesi tra i dipendenti della banca vaticana, ha trovato eco nella condanna della magistratura italiana.
Della condanna riguardante lo IOR sono emerse i nomi. Dei prelati e dei preti massonici, potrà uscire l’elenco? Solo così sapremo quanti vescovi e preti si sono opposti, chiaramente o subdolamente all’Eucarestia.
Ma noi, davanti a certe deviazioni, come ci troviamo? Come si trovava Gesù, davanti alle deviazioni, perfino di capi religiosi? Egli non celò la verità: il bene è bene (ti ringrazio, Padre), il male è male (sepolcri imbiancati). Una mal capita bontà, non può fagocitare la verità. Gesù con la verità, voleva vivere la carità. Il giudizio sul male, in sede privata o in pubblico, con mezzi urbani e non volgarmente offensivi, il giudizio sul male, doveva essere netto. Netto, ma non irrevocabile, come una condanna definitiva.
Il giudizio che smascheri la situazione deviante, è necessario, poiché la verità è necessaria. Eppure resta quel far la verità nella carità. E la carità della preghiera è possibile e necessaria in ogni circostanza, affinché il peccatore sia avvertito, non distrutto. Proprio come desideriamo essere trattati noi.
16.03.18

Gioia piena

Gioia piena
Vi ho detto queste cose affinché in voi sia la mia gioia e la vostra gioia sia piena (Gv 15,11).
Gesù porta la gioia. I suoi persecutori gli affibbiano la croce. La croce viene dall’odio con Gesù o contro l’uomo, oppure dai limiti dell’esistenza. Gesù invece parla per produrre una gioia completa.
Gioia: nel greco “karà”. È non solo contentezza interiore, ma è tripudio di tutta la persona. È sì un rallegrarsi, ma un rallegrarsi che sa ridere.
Quando l’angelo si rivolge a Maria per il felice annunzio del principio della salvezza, comincia (spara?) con quel “kaire”, che spaventa Maria. Forse anche oggi, per non spaventare la Madonna attenuiamo il kaire in un “Ave”. “Ave” (haveo) in latino è un semplice saluto a chi arrivava o a chi partiva. Maria era ferma in casa. L’angelo tripudia: Esulta, graziatissima!
Gesù dopo aver espresso la sua gioia esultante, parla subito della sua “entolé”, il comandamento, che si unisce alle esigenze dell’uomo per godere dell’allegria. “Che vi amiate reciprocamente, come io ho amato voi”. Così si chiude la gioia completa: con l’amore tra i discepoli di Gesù. Dove si ama, si trova l’allegria.
Il saluto dell’angelo, forse senza saperlo, era l’incipit delle trasmissioni di Mike Bongiorno: “Allegria!”, “Kaire!”.
L’allegria cristiana è collocata dentro l’amore reciproco, sempre fraterno, sempre sorridente.
Nello stesso discorso, nel quale Gesù afferma di donare la sua gioia, non nasconde ai suoi che dovranno soffrire, dovranno essere preda dello sconforto, eppure egli assicura che nel rivedere Gesù, la “vostra tristezza si tramuterà in gioia (karesetai), una gioia che “nessuno toglierà da voi!”. Il riapparire di Gesù, come il suo apparire genera allegria!
04.03.18

Fuoco del Vangelo

Fuoco del Vangelo
A qualche persona la lettura del Vangelo non dice nulla. È una lettura di poco sale, che è zeppa di insegnamenti, di raccontini, e di alcuni cenni biografici.
Bisogna riconoscere che, dal canto loro, esse hanno ragione. Del resto a un lettore poco interessato alla materia contenuta in un libro, la lettura diventa insipida.
Certamente se io leggo un testo tanto perché mi è capitato di averlo casualmente tra le mani, la sensazione di insignificanza è ovvia.
La lettura di ciò che personalmente non coinvolge si riduce a guardare una serqua di parole. Invece è diverso il risultato nel leggere, e con interesse, ciò che ci riguarda direttamente. Mettete in mano a un uomo di affari la fredda relazione del suo conto in banca, e vedrete come si accende il suo interesse.
Ecco: qui sta il problema: mi interessa o no il Vangelo. Reca qualche giovamento alla mia vita? È stato scritto per me e per noi? In esso è in gioco qualche cosa del mio presente o del mio futuro? Riesco a percepire che è stato scritto proprio per me? Sono passato dallo stadio del “che cosa dice il Vangelo” allo stadio del “che cosa mi dice il Vangelo?”. Se mi dice qualche cosa il Vangelo, chi me lo dice? È una persona seriamente interessata a me? Perché? Perché mi sente suo familiare, suo intimo, suo amato? Amato di amore infinito?
La gioia dell’incontro si rinfocola in me ogni volta che prendo in mano quel caro libro? La gioia di averlo sempre davanti agli occhi, di sentire in esso la mia salvezza, quella che si acuisce nel mio incontro eucaristico? Nelle pagine del Vangelo ritrovo la mia vita, nella vita di Gesù.
07.03.18

Preghiera del cuore

Preghiera del cuore
L’obbligo di recitare le “ore canoniche” è assunto da chi è investito del diaconato, o da chi emette i voti religiosi perpetui.
L’obbligo è poi guidato dai libri liturgici approvati. Ci si trova così anche a dover recitare (recitare o sentirli nostri?) i salmi, desunti dall’Antico Testamento.
E così ci si incontra a dover dire: “Combatti i nemici, io odio chi fa il male, ecc.” e simili frasi, non in armonia con Gesù che ci dice chiaramente di “amare i nemici”.
Durante il noviziato mi era stato indicato di pensare al diavolo, ogni volta che si incontrava il nemico: così si seguiva il salmo, con un’avvertenza laterale, non sempre a disposizione.
Restava anche l’escamotage (indicata anche per la recita del Rosario mariano) di andare avanti recitando formule, senza fermarsi sul loro significato, ma pensando ad altro. Proprio come avviene per le distrazioni durante la preghiera.
Insomma tutte indicazioni a tirar dritto senza pensarci. E il cuore, la voglia di trovarci tutti (parole, pensiero, cuore) con il nostro Padre? Proprio quello che criticava Foscolo nei “Sepolcri”, dove accennava alla preghiera prezzolata.
Ma, se chiediamo aiuto al Padre, egli ci fa ricordare una cavatina inventata dai moralisti: officium pro officio valet. Se si cambia una preghiera con un’altra l’obbligo è osservato. Questo è già apertamente applicato alla recita di compieta.
Può essere applicato anche al cambio deciso dal singolo, nella recita privata? Sarebbe bello poter scegliere solo i salmi che esprimono confidenza e fiducia in Dio, lode al suo amore e altro. Se vale un officio per un altro, e questa è un’indicazione favorevole, l’altro effato dice: che i favori son dilatabili.
07.03.18

Non sono come gli altri

Non sono come gli altri
Forse la preghiera del fariseo è anche la mia preghiera. Preghiera del fariseo mia, della Chiesa, dei politici.
Mia: io critico gli altri perché sbagliano o hanno sbagliato, mentre io mi ritengo giusto o almeno nel giusto. È chiaro il mio confronto con chi sbaglia, soprattutto se sbaglia nel mio confronto. Il pregare per i nemici, anziché essere un pregare “con” i miei nemici, si trasforma in un pregare “contro” i miei nemici. Spesso, nella mia preghiera si infiltra, malignamente silenzioso, lo “io non sono come gli altri”. Forse l’inizio della mia preghiera sarebbe bene fosse un pregare il Padre, che mi liberi dal mio fariseismo, perfino dal fariseismo di reputarmi degno di Dio, perché umiliato dagli altri.
Anche la preghiera farisaica si inocula nelle preghiere della Chiesa. Durante gli inizi degli studi di teologia, si considerava la superiorità del cattolicesimo su tutte le altre forme religiose, essendo esso la “vera” religione. La preghiera nostra era una preghiera di privilegiati, a confronto delle preghiere dei non privilegiati. Non come loro! Il dono si corrompeva in vanto, e meno in ringraziamento.
E poi si presenta la presunzione dei politici. Anche dei politici che si presentano come difensori del cristianesimo e brandiscono rosari e vangeli come loro distintivo. Però “noi non siamo come loro” è lo slogan. Noi siamo superiori, perché puri (fariseo significa anche puro), perché onesti, perché corretti (purtroppo corretti anche come omofili o divorziati… ma sempre corretti).
Quanto è difficile sbrattarci dal nostro fariseismo.
02.04.18

Fratelli, coltelli

Fratelli, coltelli
Geremia (20, 10): “Tutti i miei amici spiavano (aspettavano) la mia caduta”. Si parla di “amici”, che aspettavano la caduta, probabilmente, se sono amici, per soccorrerlo. Ebbene no! Leggiamo avanti: “Forse si lascerà trarre in inganno, così noi prevarremo su di lui, ci prenderemo la nostra vendetta!”.
Forse il termine “amici” sta per “conoscenti”. Ma anche in questo caso, è chiara l’attesa per la sconfitta.
Però esistono falsi amici, e nel Nuovo Testamento si ricordano i falsi fratelli. Fratelli che hanno accolto Gesù, ma non tutto di Gesù, quale è il suo corpo ancora presente nella storia, in diversi modi.
Perché gli amici scrutano la caduta? I familiari attendono la morte per godere l’eredità. Addirittura non è raro leggere di qualche figlio che uccide il genitore con l’intento di arricchirsi. Quando si gode per la caduta del conoscente, lo si fa o per liberarsi di un giudice severo, più severo ancora se tace, oppure per subentrare nella sua opera già ben avviata, o anche per distruggere la sua opera, che riscuote molti consensi.
È il caso di Gesù. La gente gli va dietro e abbandona il clero. I sommi sacerdoti (quasi i prelati di allora) lo combattono e decretano la sua morte. I motivi sciocchi: “Vengono i Romani a opprimerci!”. Per escludere, rabbiosamente, una persona, ogni scusa sembra plausibile, mentre essa è semplicemente miserevole. Questo è il vizio, che talvolta almeno, stimola i prelati a combattere un suddito, che si fa amare più di loro: grande colpa! Oppure i confratelli osteggiano uno di loro!
24.03.18

Luce e annuncio

Luce e annuncio
L’angelo del Signore si presentò ad essi, e una luce si alzò attorno. Così Luca ricorda quanto accadde alla nascita di Gesù, quando furono stimolati i pastori (gente infima tra il popolo) ad andare a vedere Gesù neonato.
Angelo, colui che annuncia, la cui presenza è circonfusa di luce. Probabilmente così avviene quando si annuncia Gesù presente. Chi annuncia, ispirato da Dio, produce luce e chiarore attorno a sé. Se il chiarore, di qualsiasi genere fisico o morale, non accompagna l’annunciato, c’è da dubitare sulla genuinità dell’annuncio. Da quale fonte esso è scaturito? Da uno stanco ripetersi di un dovere? Da vanità personale? Da dubbi sulla notizia che si propala? Dall’amore per chi incarica di annunciare e dall’amore per i “carissimi” ai quali si annuncia?
Sappiamo che l’annuncio cristiano, da qualunque bocca sia emesso, è sempre “Evangelo” (eu: bello, gioioso). Esso è destinato per intima struttura a causare “gioia”. Gioia di luce per la verità trasmessa? Luce che genera il pentimento sincero, destinato a produrre gioia e non tristezza.
E noi predicatori del Vangelo per professione, sappiamo alimentare la gioia, quando godiamo per ciò che diciamo, ossia per Gesù, espresso in parole? Non si può parlare di Gesù, se il parlare non è Vangelo, e se il Vangelo parlato non desta sollievo in chi davvero ascolta convinto. L’annuncio che accende la luce: vi trasmetto una grande gioia, perché siamo certi che esiste il salvatore. Gioia non solo a Natale, ma ogni giorno nel Gesù che rinasce “Eucarestia”.
22.02.18