Schiavo perché libero

Schiavo perché libero
Leggendo i libri del Nuovo Testamento, mi sono trovato all’inizio della Lettera di Paolo ai Romani. Ho confrontato il testo greco con la traduzione latina e italiana: mi è venuto di notare una certa differenza. Il latino nota: “Servus Jesu Christi”; l’italiano: “Servo di Gesù Cristo”. Evidentemente il latino fa notare la schiavitù di Paolo, ossia la piena appartenenza a Gesù. L’italiano richiama soltanto un’incombenza. Mi ha lasciato un po’ sorpreso quel “Gesù Cristo”, quasi si trattasse di un nome e cognome. Il greco, che richiama la schiavitù (doulos) di Paolo, prepone il Cristo al Gesù: schiavo del Cristo (di nome) Gesù.
Paolo fa risaltare il suo rapporto totale con il Messia. Poteva interessare ai Romani quel Messia, tanto importante per gli Ebrei? Decisamente sì, se consideriamo che i primi evangelizzati da Paolo erano proprio ebrei, come chiunque può desumere, rileggendo gli ultimi versetti degli Atti degli Apostoli (Atti 28). E, stranamente, nel tradizionale riordino dei libri del Nuovo Testamento, essi legano la fine degli Atti degli Apostoli, con l’inizio della lettera di Paolo, quasi accostati tra di essi.
Paolo si riconosce “schiavo” della famiglia del Messia. Paolo non è più per se stesso, perché appartiene al Messia Gesù. Questa vitale appartenenza egli la nota in altre maniere: “Sia che viviamo, sia che moriamo siamo del Signore”.
Appartenere a Gesù, diminuisce la personalità di Paolo e nostra? Gesù ci vuole sudditi (perfino di Santa Madre Chiesa?!) oppure partecipi della sua morte e della sua risurrezione, aumentando la nostra dignità e la nostra libertà, con la sua libertà? Non è lui che è libero perfino dall’unico nemico, la morte?
21.04.18