Povertà e accademia

Povertà e accademia
Può accadere che la povertà, nelle nostre parti, non sia una condizione, ma una scelta o anche uno sfoggio. Chi non rammenta Diogene?
Per S. Francesco la scelta della povertà, era un adeguarsi a una parte considerevole di popolazione del suo tempo, era un essere il più possibile vicino al popolo, e così trovare consonanza per predicare il Vangelo.
La povertà non è un valore in sé, né una condizione vanitosa, come potrebbe diventare una povertà al di sotto del livello dei poveri autentici, che non si vantano di essere poveri, e, per vivere, utilizzano i mezzi che trovano nella società in cui vivono, con marcate differenze tra i poveri nell’Europa e i poveri, per esempio, in Africa. Quando della povertà si fa sfoggio, allora non è più povertà.
Gesù per segnare quale è la povertà gradita a Dio, tanto da diventare beata, aggiunge – nel Vangelo di Matteo – quella parolina: di spirito. Parolina che non è di facile interpretazione, ma che comunque non lascia nuda la povertà.
Chi nasce povero, conosce tutti gli sforzi dei propri genitori per non trasformare il povero in uno straccione. Quegli sforzi che attirano benevolenza e aiuti concreti. Chi nasce povero cerca di migliorarsi, ma non di diventare nababbo.
Nel francescanesimo le lotte che differenziavano le diverse “riforme” si incentravano sulla povertà. Poi la storia ha dimostrato che le riforme a poco a poco si trasformarono nel livello dei non-riformati.
17.04.18