Il nome

Il nome
“Io ho fatto conoscere il tuo nome” (Gv 17, 16): afferma Gesù. Il “nome” è la presenza e la sostanza di una persona, secondo la mentalità del tempo di Gesù.
Noi diamo per scontato che Dio è un mistero non raggiungibile dalla capacità intellettive di noi, piccole creature. Perché mai Gesù afferma di averci fatto conoscere il Padre?
Evidentemente la nostra conoscenza di Dio non “esaurisce” quanto di Dio si può dire. Se Gesù dice che ci ha fatto conoscere il nome di Dio, significa che Gesù ci riferisce di Dio, il massimo al quale un uomo può arrivare.
S. Paolo afferma che Dio è conoscibile attraverso il suo riflesso nella creazione. Diciamo che è in qualche modo intuibile. Gli Ebrei conoscevano Dio, nella loro storia e nella loro struttura religiosa, così ricca – nei salmi – da far dire al credente cose meravigliose “su” Dio. Ma il nome, ossia l’intimità di Dio, solo Gesù l’ha manifestato. Infatti “nessuno ha visto Dio, suo figlio, che sta dentro [nel seno del] il Padre, lui ce l’ha raccontato” (Gv 1, 18). Ecco dunque: Gesù è intimo al Padre, sta dentro il “nome” del Padre. Non guarda Dio dall’esterno, ma da dentro. Ed ecco scopre che Dio è Padre, e che tale Padre è Amore senza limiti. Gesù va oltre la conoscenza della presenza di Dio (filosofia, teodicea), va oltre le qualità visibili di Dio attraverso la riflessione di tipo religioso, per mostrarci il “massimo” della intimità di Dio, oltre il quale non può arrivare l’intelligenza umana. Il mistero dell’amore del Padre.
14.05.18

Amore e dominio

Amore e dominio
Dio ha creato il mondo e l’uomo in relazione. Relazione tra gli enti (Einstein), e anche tra le persone e le “cose” (esigenza di respirare l’aria). Le due relazioni tra le persone razionale sono due: uomo e Dio, uomo e uomini.
Queste relazioni si attivano secondo due poli attivi e antitetici, che preferisco nominare: amore, dominio. In essi si collocano enormi variazioni. E diverse intensità.
Questa intuizione mi è apparsa plausibile, osservando il comportamento delle persone, e, forse, la stessa Bibbia: le due esposizioni sono: Amore (Nuovo Testamento) Potenza (Antico Testamento), esposizioni indicate unite nel “Padre Onnipotente”. Mi sovviene l’intuizione della “coincidentia oppositorum” attribuita a Dio, nel periodo dell’Umanesimo.
Ogni persona possiede le due condizioni di amore e di dominio, e propende maggiormente verso l’uno o verso l’altro. Mi sembra d’aver scoperto che il dominio prevale dove c’è poco amore, anche senza indicare gli estremi dell’uxoricidio o dell’infanticidio (gli aborti sono attuati dove la paura o l’egoismo prevalgono sull’amore). L’uccisione è l’estrema dimostrazione del dominio sull’altro. Anche una semplice critica negativa è presunzione di superiorità ossia di dominio.
Nella vita sociale la manifestazione è patente: democrazia o assolutismo. Anche le leggi sono o punitive o promozionali.
Gesù è venuto per amare e per promuovere l’amore, anche verso i nemici (coloro che vogliono dominarci). Egli lascia a noi la scelta tra la vita e la morte, come fece anche il suo omonimo, Giosuè.
06.04.18

Etica cristiana

Etica cristiana
L’etica cristiana, pur tenendo in molta considerazione il decalogo, non può fissarsi incernierandosi in esso. L’etica cristiana non è tanto vivere il decalogo, piuttosto è vivere Gesù. Altrimenti si fermerebbe a un’etica di tipo mosaico, ma non rivestirebbe la gioia e la trasformazione in Gesù, provocate dallo Spirito Santo. Si fermerebbe anche a un’etica di tipo induista o buddhista.
Gesù ha semplificato il vivere di chi crede in lui. La prima semplificazione è amare Dio e amare il prossimo, come anche S. Paolo si esprime. La seconda semplificazione non consiste in un dettato, ma nella sua persona. Paolo: “Per me vivere è Cristo”. Questa è tutta l’etica cristiana. Conoscere Gesù, il suo amore, le sue esigenze e abbracciarle.
“Chi segue me, non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”. L’etica cristiana non consiste nell’adeguarsi a un codice, ma essere vitali nell’adeguarci a una persona.
L’aiuto a tale adeguamento, lo abbiamo a portata di mano: Eucarestia e Nuovo Testamento. Il Vangelo nelle nostre mani non è un libro, ma una persona, che accarezziamo, e della quale ci riempiamo, per semplicemente viverla, sapendola e sentendola vicino, con noi. Soprattutto durante la preghiera, quando confondiamo il nostro pregare con quello di Gesù nel riferirci al Padre nel contesto trinitario.
Certamente per vivere l’etica cristiana, è necessaria la fede in Gesù, in tutto Gesù, nella sua Persona, nella sua Parola, nel suo “corpo mistico”, ossia nella Chiesa, suo Corpo. Partire sempre da Gesù, perché solamente le sue esigenze entrano nella nostra persona e diventano, in noi, etica cristiana.
Tale situazione non è impossibile, se ci affidiamo allo “Spirito di Gesù”.
04.04.18

Non scartare niente

Non scartare niente
Nel pane, che noi mangiamo, c’è anche del letame riciclato. Nessuno scarto è perduto. Questo vale in modo chiaro per i nostri limiti, i nostri difetti, i nostri peccati. Tutto può essere riutilizzato, e donarci serenità e, in Dio, perfino gioia.
Certamente è necessario guardare le nostre miserie da un’altra parte, in una prospettiva diversa dalla nostra schifiltosità morale. Il vero medico cerca l’ammalato, non lo sfugge. Gesù è il medico per la nostra vita, il traduttore della nostra morte. È vero che la professione del medico è la professione che alla fine è sconfitta. Ma il medico Gesù sa come non farsi sconfiggere. Egli ha in serbo quella guarigione assoluta, che è la risurrezione. Le nostre miserie diventano ottima materia per due reazioni: orgoglio e umiltà. L’orgoglio pretende di cancellare le nostre miserie, magari con la pretesa di diventare belli e virtuosi… agli occhi di chi? nostri? della società? dei precetti di stoicismo, penetrato subdolamente nella ascetica cristiana?
L’umiltà semplicemente ammette i limiti, le debolezze, i peccati, per apparire profondamente accettabili a quel Padre che ama il nostro confessarlo: confessare Lui, la sua misericordia, mentre confessiamo la nostra debolezza o il nostro peccato.
E allora sullo sfondo della nostra fantasia (anche la fantasia è un dono di Dio!) ecco apparire luminosa la figura del Padre del “figliol prodigo” che corre incontro al figlio e suscita la festa per lui! Quanta possibilità di bellezza e di dolcezza… nel nostro peccato.
02.05.18

Timbrati di Risurrezione

Timbrati di Risurrezione
Siamo poveri peccatori sì, ma timbrati di Risurrezione. Quel “Oggi sarai con me nel Paradiso” ci risuona nelle orecchie e nel cuore, e genera dolce speranza e necessaria fiducia. Gesù in croce ispirò fiducia al ladrone già condannato. Gesù Risorto ispira fiducia in noi, non crocefissi come lui, ma già risorti in lui.
Gesù Risorto, può essere oggi presente a noi soltanto come Risorto, con la gioia del Risorto, con tutto l’ottimismo celestiale del Risorto. Se già vivente nella terra, sfoderava il suo “non temere”, quanto più oggi, beato nella e della Risurrezione, è incline a trasmetterci fiducia e sorriso.
È necessario essere certissimi della Risurrezione di Gesù, perché essa è la realtà voluta da Dio, e entrata permanente tra di noi.
Forse un verbo, un po’ lontano dal consueto linguaggio sacro, può esprimere questo nostro intimo godere: coccolare il Risorto e la sua risurrezione in noi. Può darsi sia inconsueto e perfino irriverente, ma rende bene la dolcezza che accompagna la nostra fede nel Risorto.
L’Apostolo è felice perché “Dio non l’ha abbandonato nella morte!”. Orbene contrario all’abbandono freddo, senza sentimenti, è proprio il nostro goderci la tenerezza del Risorto. Lui, Gesù, non si è fermato a gustare dentro di sé la propria risurrezione, soprattutto dopo gli spasimi della crocifissione, ma ha trasmesso ai suoi, alle donne, a noi, la gioia contagiosa della Risurrezione. Oggi la superficialità dichiara Pasqua … il panettone o l’uovo, noi ci esaltiamo nel nostro Gesù Risorto.
02.04.18

Timbrati di Risurrezione

Timbrati di Risurrezione
Siamo poveri peccatori sì, ma timbrati di Risurrezione. Quel “Oggi sarai con me nel Paradiso” ci risuona nelle orecchie e nel cuore, e genera dolce speranza e necessaria fiducia. Gesù in croce ispirò fiducia al ladrone già condannato. Gesù Risorto ispira fiducia in noi, non crocefissi come lui, ma già risorti in lui.
Gesù Risorto, può essere oggi presente a noi soltanto come Risorto, con la gioia del Risorto, con tutto l’ottimismo celestiale del Risorto. Se già vivente nella terra, sfoderava il suo “non temere”, quanto più oggi, beato nella e della Risurrezione, è incline a trasmetterci fiducia e sorriso.
È necessario essere certissimi della Risurrezione di Gesù, perché essa è la realtà voluta da Dio, e entrata permanente tra di noi.
Forse un verbo, un po’ lontano dal consueto linguaggio sacro, può esprimere questo nostro intimo godere: coccolare il Risorto e la sua risurrezione in noi. Può darsi sia inconsueto e perfino irriverente, ma rende bene la dolcezza che accompagna la nostra fede nel Risorto.
L’Apostolo è felice perché “Dio non l’ha abbandonato nella morte!”. Orbene contrario all’abbandono freddo, senza sentimenti, è proprio il nostro goderci la tenerezza del Risorto. Lui, Gesù, non si è fermato a gustare dentro di sé la propria risurrezione, soprattutto dopo gli spasimi della crocifissione, ma ha trasmesso ai suoi, alle donne, a noi, la gioia contagiosa della Risurrezione. Oggi la superficialità dichiara Pasqua … il panettone o l’uovo, noi ci esaltiamo nel nostro Gesù Risorto.
02.04.18

Unione e unità con Gesù

Unione e unità con Gesù

Gesù, il nostro fratello Gesù, ha purificato dal peccato ogni uomo. Egli ha agito per gli uomini oppure con gli uomini? Ossia: ha buttato la sua salvezza sugli uomini, oppure si è salvato con gli uomini?

È lui consorte di tutta l’umanità. È consorte della mia giornata, della mia gioia e della mia pena. Si è assunto i peccati nostri, o si è trovato con i nostri peccati, poiché nostro fratello. I peccati miei non li ha commessi lui, ma lui si è unito ai miei peccati per superarli nella sua vita, nella sua croce e nella sua risurrezione. Il mio peccato non gli è stato caricato addosso, ma se l’è trovato in sé, quando divenne uomo. Paolo ci avverte che Dio lo fece peccato! Sì, Dio lo fece uomo.

Come uomo, inserito nell’intelaiatura umana, da noi ricevette il peccato. Ed ecco il reciproco: Dio in lui annullò il nostro peccato, e tale annullamento lo perpetuò nella sua Chiesa: “Ricevete lo Spirito Santo, ciò che perdonerete sarà perdonato, ecc.”.

Da Gesù uomo, io non mi posso più staccare, nessun uomo può staccarsi. Da qui il dono del perdono per chi accetta il proprio essere “cristico”, e il rimorso per chi lo rifiuta: anche il rimorso o “l’inquietudine” di agostiniana memoria, è dono di Dio, largito a ogni uomo, tramite l’uomo Gesù Salvatore. Gesù ha potuto esser salvatore (Lettera agli Ebrei), proprio perché uomo, in connessione con me, e con ogni altra persona.

Il mio essere morto e risorto in Gesù non è fantasia, ma necessità di natura. Alla mia povera libertà (limitata e ferita) è offerto il compito di accettare senza condizioni l’essere uno con il Cristo.

31.03.18

Peccato imperdonabile

Peccato imperdonabile
Sappiamo che, per il linguaggio dell’Antico Testamento il termine “nome” è parafrasi di “Dio”: è Dio detto in altro modo. Il teologo W. Kasper titola un suo libro conosciuto “Il nome di Dio è misericordia”: dove il nome è parafrasi di Dio, e misericordia è a sua volta parafrasi del nome. Nel Vangelo si dice che Dio è verità, non usa la verità, perciò quando Gesù dice di sé “Io sono la verità” si dichiara Dio. Nella prima lettera di Giovanni leggiamo: “Dio è luce”. E pure: “Dio è Amore e chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio in lui!”.
Tutta questa profusione di misericordia e di amore, sembra tristemente scontrarsi con una chiara dichiarazione di Gesù: “Colui che avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non avrà remissione in eterno, ma sarà reo di peccato in eterno! (Mc 3, 29). Se la misericordia è il nome di Dio, e la misericordia che “volentier perdona” si arresta davanti al peccato contro lo Spirito Santo, e ne è limitata, anche Dio patisce dei limiti? Evidentemente no.
Il peccato contro lo Spirito Santo, è il peccato contro la verità di Dio conosciuta e rifiutata, è cioè una pretesa di opporsi a Dio, e quindi di rifiutare proprio il Dio che perdona, e che sente rifiutare il suo perdono.
È un peccato non perdonabile, perché l’uomo si oppone al perdono, non perché Dio non possa perdonare. Il contesto, nel quale Gesù espresse quella frase è lampante. Gesù aveva cacciato un demonio: solo Dio ha tale potere, e quindi l’episodio chiaramente mostrava la presenza di Dio. E gli scribi affermano: è opera di Satana. Opposizione chiara alla “Verità”.
14.06.18

Opposizione sana

Opposizione sana
Non ho mai capito perché per molte persone minoranza e opposizione, principalmente nell’ambiente politico, siano un sinonimo.
Maggioranza e minoranza sono il risultato di una scelta, non di un rifiuto. La scelta non richiede il rifiuto, ma la preferenza tra due valori. Essi non necessariamente debbono essere contrastanti, ma anche possono essere integrati. Il contrasto è sempre conseguenza di malanimo. Può essere sostituito da comprensione dell’altro, senza essere necessariamente approvazione.
Nella mia esperienza di convivenza in gruppo, quasi sempre mi sono trovato in minoranza. Eppure quando esprimevo la mia opinione, la maggioranza diventava opposizione. Anche se, per ironia della sorte, anni dopo, delle mie iniziative si appropriavano proprio coloro che, nel passato, le avevano boicottate.
Opposizione o collaborazione? Opposizione o rispetto dell’altro?
Anche Gesù si era opposto. L’esempio che più mi colpisce è l’episodio dell’adultera. La maggioranza era decisa a lapidare quella povera donna (non l’adultero che giacque con essa), ma Gesù si oppose. In lui urgeva una scelta più sana, che non quella degli accusatori: la scelta della vita. Era solo contro tutti. Una marcata minoranza. Però il criterio da lui seguito, era non dar ragione a un gruppo di assassini. Allora vinse la vita, non la posizione assassina della maggioranza. Come adesso: una minoranza sempre più scarna si oppone all’aborto, all’eutanasia, all’omicidio dei bambini in difficoltà.
26.05.18

Nelle tue mani

Nelle tue mani
Quando qualche persona ci fa soffrire, sono presenti due possibilità di rimprovero: rimproverare, direttamente o indirettamente, tacitamente o vocalmente, la persona che causa la sofferenza, oppure rimproverare noi stessi perché incapaci di tollerare “cristianamente” l’affronto.
La terza soluzione è la più semplice, la più ovvia, e purtroppo la più rara: sopportare pazientemente le offese ricevute – come recita una vecchia dizione del catechismo, quando enumera le “opere di carità spirituale”.
Quest’ultima è un’indicazione per chi crede in Gesù. E questo si trasporta in un altro piano, in un’altra atmosfera. Però, è questa l’atmosfera nella quale si gioca l’appartenenza a Gesù, e il nostro povero amore per lui.
Paolo ci indica di soffrire con chi soffre. E quando colui che soffre siamo noi? E nessuno soffre con noi, tanto meno il nostro offensore? Chi si piega sulla nostra sofferenza?
Allora si apre una luce: “Venite da me voi tutti che siete affaticati e oppressi”. E l’andare a lui è facilissimo, perché lui è sempre con noi.
Anche la sofferenza ci pone in braccio a Lui. Forse ce ne dimentichiamo, ma lui ha buona memoria, non si dimentica di noi: “Se anche il padre o la madre ti abbandona [magari gettandoti in un cassonetto!], io non ti abbandonerò mai!”.
La sua bontà è grande e paziente, e attende che anche noi ci accorgiamo di essere sempre nelle sue mani, anche quando altri ci offendono… perché sulla croce ha detto: “Nelle tue mani abbandono la mia vita!”
08.06.18