Formula e parola

Formula e parola
Fino a che tutta la mia preghiera, che si serve delle formule usuali, non passerà tutta dalla formula alla parola, mi sentirò un cembalo tintinnante, per usare una frase scritturistica.
La formula di preghiera è analoga al denaro. Se servi il denaro, ne sei schiavo; se ti servi del denaro, ne sei padrone.
Non è raro, soprattutto nelle persone di una certa età, che se non hanno recitato una preghiera, come per esempio il Rosario, crede di non aver pregato. Così avviene anche per chi è obbligato a “recitare il Divino Ufficio dei Salmi”. Un mio antico padre spirituale avvertiva che altro è soddisfare il Diritto Canonico che obbliga a quelle formule, altro è sentire di aver pregato. Ricordo ancora la barzelletta dei canonici che stavano recitando il “Breviario” in coro, come era loro obbligo. Durante la recita scoppiò un furioso temporale, e subito sospesero la recita del breviario per pregare Dio di salvarli.
Chi si è assuefatto all’aver compiuto il transito dalla formula alla parola, si sente a disagio, quando nel pregare assieme con altri sente che la formula, quasi sempre recitata in fretta, prevale sulla parola, e si perde, e, se desidera pregare, deve dissociarsi dal gruppo.
Come mai parole come “Padre”, “amore”, “salvezza”, “Gesù”, ecc. possono essere pronunciate senza il fremito del cuore, per lasciar scorrere la recita di formule?
Il Padre ci dona lo Spirito, affinché possiamo esclamare “Padre nostro”.
23.11.18