Anche nella noia, Dio

Anche nella noia, Dio
La tentazione di insignificanza è alla porta di tutti: giovani e an-ziani. Il non essere a livello di ciò che ci proponiamo di raggiumgere o il semplice trascorrere la giornata senza entusiasmo o ammalati (anche di noia), mettono nel nostro sentire quel sapore rancido di sentirci inutili, perfino quando la nostra giornata è stata “carica”.
Da qui la tentazione della tristezza.
Eppure Lui, il Padre, non è inattivo verso di noi, neppure il tempo di un battito di ciglia.
L’amore di Dio è eterno, non ha sosta, nemmeno quando noi ci sentiamo inutili e ci buttiamo via. L’attività amante di Dio verso di noi, fa-scia tutta la nostra giornata e tutta la nostra nottata e tutta la nostra vita. Dio sa ricavare la salvezza anche dalla nostra noia. E se, nella nostra noia, ci ricordassimo del perenne e attivo amore di Dio per noi, allora fio-rirebbe in noi la tenerezza verso il suo amore, la riconoscenza e la sem-plice preghiera e la nostra noia si accenderebbe di speranza e di lode.
Quella lode, per la quale Dio ha creato l’uomo e l’universo. La gloria di Dio è l’uomo vivente. Vivente non eroico.
Forse, nei momenti di noia o di sofferenza, se si sprigionasse la luce dell’essere lode di Dio, i nostri anni li troveremmo validi e dono.
Per Dio che ci ama, nessun istante del nostro esistere è insignifi-cante, sebbene noi o il giudizio di chi ci attornia crediamo che “non valga la pena”.
Non ci hanno insegnato che ogni respiro, ogni passo, ogni sguardo, sono doni per i quali ringraziare. Non ci hanno detto che dopo aver pregato si deve ringraziare il Padre per averlo pregato.
22.01.19

Inferno

Inferno
Non riesco a capire lo scalpore destato da una presunta affermazione del Papa, che nega l’esistenza dell’inferno.
È ovvio che “quel tipo” di inferno non riveste nessun significato, né nella realtà, né per la fede.
Sappiamo che l’inferno, il purgatorio e il paradiso danteschi non esistono. Sublime fantasia, bassa realtà.
Qualsiasi immaginazione dell’inferno in quanto “luogo e tempo” è del tutto irreale, sebbene può stimolare sentimenti positivi, ma solamente sentimenti.
Tutte le frasi del Vangelo, che si riferiscono all’”aldilà” sono allusive, non descrittive. L’aldilà può essere intuito con l’aiuto stimolante della fede, ma non descritto.
Allora non esiste l’inferno, il premio ai buoni, il castigo ai cattivi?
Esiste sì, ma non come lo immaginiamo, sebbene la fantasia può aiutare la pietà.
Due frasi del Vangelo ci possono aiutare: “Venite, benedetti” e “Lontano da me, maledetti”.
L’uomo nasce destinato a sperimentare la propria completezza nel riferimento esistenziale a Dio. Egli è destinato a “godere Dio”. Lo scopo della vita umana è il ricongiungimento con il Padre, per partecipare alla beatitudine divina.
Il suo “scopo” è Dio.
Il fedele a Dio raggiungerà l’appagamento totale in Dio. Chi si ribella a Dio (o se vogliamo: chi si allontana da Dio), è destinato a privarsi per sempre della felicità divina, ed incorre nella disgrazia di essere per sempre infelice, non completo: ed è inferno reale.
02.04.18

Etica cristiana

Etica cristiana
L’etica cristiana, pur tenendo in molta considerazione il decalogo, non può fissarsi incernierandosi in esso. L’etica cristiana non è tanto vivere il decalogo, piuttosto è vivere Gesù. Altrimenti si fermerebbe a un’etica di tipo mosaico, ma non rivestirebbe la gioia e la trasformazione in Gesù, provocate dallo Spirito Santo.
Gesù ha semplificato il vivere di chi crede in lui. La prima semplificazione è amare Dio e amare il prossimo, come anche S. Paolo si esprime. La seconda semplificazione non consiste in un dettato, ma nella sua persona. Paolo: “Per me vivere è Cristo”. Questa è tutta l’etica cristiana. Conoscere Gesù, il suo amore, le sue esigenze e abbracciarle.
“Chi segue me, non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”. L’etica cristiana non consiste nell’adeguarsi a un codice, ma essere vitali nell’adeguarci a una persona.
L’aiuto a tale adeguamento, lo abbiamo a portata di mano: Eucarestia e Nuovo Testamento. Il Vangelo nelle nostre mani non è un libro, ma una persona, che accarezziamo, e della quale ci riempiamo, per semplicemente viverla, sapendola e sentendola vicino, con noi. Soprattutto durante la preghiera, quando confondiamo il nostro pregare con quello di Gesù nel riferirci al Padre nel contesto trinitario.
Certamente per vivere l’etica cristiana, è necessaria la fede in Gesù, in tutto Gesù, nella sua Persona, nella sua Parola, nel suo “corpo mistico”, ossia nella Chiesa, suo Corpo. Partire sempre da Gesù, perché solamente le sue esigenze entrano nella nostra persona e diventano, in noi, etica cristiana.
Tale situazione non è impossibile, se ci affidiamo allo “Spirito di Gesù”.
04.04.18

Benedire

Benedire
La benedizione è porre il “nome del Signore” nel benedetto. Siccome l’apostolo indica di benedire e di non maledire, con il nostro povero benedire noi disseminiamo il “nome di Dio” nel mondo. Siamo i seminatori di Dio.
È azione facile il benedire, più facile del pregare. Eppure non lo compiamo sovente. Nelle varie circostanze preferiamo l’augurare al benedire. Perfino nel giorno di Natale, anziché spargere tra le persone il Gesù, donato a noi dal Padre e da Maria, preferiamo fare gli auguri (desideri incerti!) anziché donare Gesù.
Benedire una persona è impregnarla di Dio. Non è mero invocare, ma è concreto donare. L’augurio è sì e no un’invocazione. La benedizione è un dono. È un dono che può scorrere anche lungo la linea telefonica, oltre che nelle onde sonore dell’aria, o nei palpiti segreti del cuore.
Per chi, cristiano, ha dimenticato il proprio personale sacerdozio, la benedizione non ha senso. Ma se, da cristiani, ci ricordiamo il nostro coinvolgimento nel sacerdozio di Gesù, allora il poter benedire è una gioia. “Popolo sacerdotale” siamo, secondo l’Apostolo.
Alla fine di ogni incontro eucaristico ci salutiamo con una benedizione, perché l’incontro eucaristico è una benedizione.
Mi lasciano un po’ perplesso le persone che fanno benedire il cane e la bicicletta (incapaci di ricevere in sé il “nome di Dio”), e non si benedicono reciprocamente all’inizio della giornata, o al tramonto del sole. Benedire il cane è quasi magia. Benedire le persone è grazia.
01.01.19

In Gesù, grazie al Padre

In Gesù, grazie al Padre
Nella Lettera di Paolo ai Romani, troviamo alternate le varianti “Cristo Gesù” e “Gesù Cristo”. Sembra, a una prima lettura, che le due dizioni siano interscambiabili. Forse sì, come vorrebbe la traduzione italiana corrente. In realtà quando si premette il “Cristo” al nome di Gesù, si pone l’accento sul suo “ruolo umano-divino”. Quando è premesso “Gesù” al “Cristo”, è più emergente la sua persona sul suo ruolo di divino salvatore. In un caso è più sottolineata la sua missione e la sua dignità, quella dignità che è posta in evidenza se si nomina Gesù in quanto “Signore”, il che spesso è sinonimo di Dio. Attribuito a Gesù, nella stessa lettera, subito dopo la frase “Cristo Gesù”.
Rivolgerci continuamente a Gesù è la nostra gioia quotidiana, il sapore di una presenza serena e dolce. Non mi sembra fuori luogo ricordare quel santo, il quale, dopo aver pronunciato il nome di Gesù, si leccava le labbra per gustarne la dolcezza.
Paolo ringrazia Dio, attraverso Gesù Cristo. Egli si sente immerso in quel Gesù, che è Cristo, e attraverso lui si rivolge al Padre. Attraverso Gesù, che è il Cristo. Qui Paolo premette il nome alla missione. Sente la vicinanza dell’uomo Gesù, che facilita la relazione con Dio, con il “mio Dio” come dice il testo. Gesù rende quasi più sicura la relazione con il Padre, tanto che Paolo ringrazia Dio per mezzo di Gesù. È questa l’azione eucaristica (=ringraziante), che Paolo (Chiesa) sente spontanea, nel ricordare il suo contatto con Dio. Quel Gesù, che è Cristo e dopo la glorificazione della Risurrezione anche Signore, facilita e stimola “eucaristicamente” il nostro affetto al Padre.
21.04.18

Volontà di Dio e fede

Volontà di Dio e fede
Gesù è venuto per fare la volontà del Padre. Egli vive perché questa è la volontà di Dio. Tutto ciò che concerne il suo vivere rientra nel volere del Padre: il suo dormire, il suo mangiare, il suo crescere, i suoi sentimenti, tutto è fare la volontà del Padre.
Così è nella nostra vita. Quante volte ho udito la frase: “Quale è per me la volontà di Dio?”. Già nello stesso parlare umano si attuava la volontà di Dio. Il vivere è volontà di Dio: il suicida è chi non va soltanto contro il buon senso oppure contro una legge, ma si oppone alla fondamentale volontà di Dio, perché la gloria di Dio è l’uomo vivente.
La volontà di Dio è quella che viviamo sempre secondo lui. Già il vivere secondo quello che lui ha fatto in noi è compiere il suo volere. Quando poi ci accorgiamo di essere in armonia con lui, allora nasce la lode e la riconoscenza. È nella nostra fede umana che si inserisce la fede in Gesù e nel Padre.
Ho udito dire da una persona, che non sa aver fede, perché (ecco la scusa) la fede è un dono. Però nutre fede verso il benzinaio e lo pizzicagnolo, verso il passante che non attraversi la strada quando lui guida, verso l’erogatore del gas. Ogni fede è un dono di Dio, perché è insita nel dono fontale della vita umana. Essa diventa dono soprannaturale, ossia divino, quando essa è rivolta alla persona e alla parola di Dio.
Noi semplicemente crediamo a ciò che Gesù ci dice, e la fede è dono alimentato dallo Spirito Santo. Si può quasi affermare: tanto più dono sicuro, quanto meno appoggiato sui nostri ragionamenti.
05.01.19

Esigenze di vita

Esigenze di vita
Accogliere. S. Giovanni nel prologo al suo Vangelo, dice che hanno ricevuto la luce dal Logos, coloro che l’hanno accolta. Proprio abbracciarla.
Se una persona accoglie un bambino, resta quasi condizionata da lui, dalle sue esigenze. Tanto più condizionata, quanto più il bambino è piccolo.
Ogni persona accolta, ci incita a badare alle sue esigenze. Nella Scrittura le esigenze del Dio accolto sono espresse come comandi, leggi, prescrizioni.
Gesù accolto, dopo il battesimo, esprime le sue esigenze, che egli, concretamente riassume nell’amare Dio e nell’amare il prossimo. Esige da noi? Oppure egli in noi comunica lo Spirito Santo, che esprime le sue esigenze e in esse ci vuole coinvolgere?
Le esigenze dello Spirito in noi, altro non è che la comunicazione delle sue esigenze, alle quali ci vuol coinvolgere. Perfino il suo “fare” in noi, null’altro è che il suo “essere”, che diventa nostra vita.
Il nostro bisogno di vivere è la spinta di Dio a vivere. E Gesù ci assicura che è venuto “affinché abbiano vita e l’abbiano in abbondanza”. Cioè non esige da noi chissà quali sforzi per vivere, ma chiede solo che lo “lasciamo vivere in noi”, senza ostacolarlo con il nostro peccato.
L’esigenza a non peccare, non è una aggiunta estrinseca al nostro essere, ma è il necessario respiro della “sua e nostra” vita in noi. L’accoglierlo è accogliere le nostre stesse esigenze profonde e vitali.
15.11.18

Amore e unità

Amore e unità
S. Giovanni nel suo Vangelo esprime due fisse: amore e unione.
Amore di Dio, a Dio, del prossimo, al prossimo. Unione del Padre e del Figlio, nello Spirito, e unione con il Padre e con il Figlio, nello Spirito. Una corrente di amore, che permea e rinvigorisce l’unione.
La visione di Giovanni si basa su un’esigenza di fede, la quale si fidi di Gesù e delle sue parole.
È bello accettare l’amore di Dio, eppure vorremmo che Lui ci amasse a modo nostro, altrimenti non gli crediamo, oppure almeno trascuriamo l’amore di Dio. Lo stesso Giovanni pone come premessa del nostro amore a Dio, il suo amore a noi. “In questo consiste l’amore: Dio ci ha amati per primo”.
Analogamente avviene per l’amore del prossimo. Se siamo amati, rispondiamo all’amore. Però del prossimo che ci ama, accettiamo solo l’amore del prossimo che ci ama a modo nostro. Eppure l’amore avviene in uno scambio reciproco. Altrimenti noi nutriamo benevolenza, sopportazione, difficoltà “di capirci”.
Tale spinta a selezionare l’amore, accade perché non c’è unione. La distanza ci difende dagli altri. La divisione abbisogna di confini, e il confine è una difesa.
Esiste quasi una difesa fatale. Eppure Dio, per primo, l’ha superata. Il Padre è uno con Il Figlio; il Figlio è uno con i suoi. Dal Padre ogni dono di amore e di unione, se non addirittura di unità. La grande scoperta di Gesù (ossia rivelazione) è proprio questa circolarità, tra Dio e l’uomo, tra gli uomini in Gesù e in Dio. L’odio nasce dalla non fede, più che dal sentimento.
30.04.18

Esigenza di unità

Esigenza di unità
Rivestitevi (enduo) del Signore Nostro Gesù Cristo. Per non prendere superficialmente quel “rivestitevi”, credo opportuno richiamare un altro passo scritturistico, nel quale troviamo il vocabolo “rivestire”.
“Sappiamo infatti che la nostra casa terrestre [fatta] di tenda sia distrutta, da Dio abbiamo un edificio, cioè una casa eterna non fatta da mano d’uomo, [ma] eterna nei cieli. E infatti in questa [tenda] sospiriamo la nostra abitazione, quella del cielo, desiderando di essere supervestiti” (2 Cor 5, 1-2).
“È necessario che questo [corpo] corruttibile sia rivestito d’incorruttibilità, e questo [corpo] mortale sia rivestito di immortalità” (1 Cor 15, 53).
Insomma la grande rivoluzione avvenuta in Gesù (Dio-uomo) si perpetua reciprocamente in noi (uomo-Dio). L’esito è mirabilmente uniformante. Dio è uno. Non solo Uno in tre Persone, ma uno, che unisce in sé quanto ha progettato (volontà) sia in cielo che in terra. Noi tutti, cielo e terra, navighiamo dentro l’unità di Dio. La nostra vita è nascosta con Cristo, in Dio. Il profondo desiderio degli uomini e delle donne di sfuggire la solitudine, solo il Padre lo può appagare. Lo appaga con il suo Amore, e lo appaga attraverso l’amore che Gesù ha introdotto nel mondo. L’esigenza dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo, non è un comando imposto, ma il modo previsto e prodotto da Dio nello Spirito, che rende noi capaci di osservare il duplice “precetto” dell’Amore di Dio e dell’amore al prossimo.
Dio con noi, noi con Dio nella misteriosa realtà dell’Amore.
18.12.18

Silenzio di Dio, e per Dio

Silenzio di Dio, e per Dio
Il silenzio di Dio è un dono oppure è una iattura?
Può Dio non parlare, Lui, che include in sé il Logos eterno? E allora esiste il silenzio di Dio, oppure è forte la nostra sordità davanti a Dio, tanto che davanti alla frequente, eterna, parola di Dio, ci è comodo far costantemente gli orecchi da mercante?
Il silenzio di Dio, in realtà è la nostra incapacità, o il rifiuto, di sintonizzarci con Lui?
A noi sembra che Dio, nella sua Parola eterna, stia in silenzio, perché pretendiamo che Dio usi soltanto le “nostre” parole per capirlo? Ma è poi vero? Infatti quando il Logos divenne carne (nostra carne, con la nostra bocca e con le nostre orecchie) e parlò chiaramente, fu addirittura accusato di bestemmiare. Ci fa esiziale comodo udire solamente le parole, che confermano i nostri vizi e la nostra ignoranza. La iattura sta nel nostro non voler accogliere la Parola di Dio, in Gesù, nelle sue azioni, nelle sue parole.
Allora ciò che noi descriviamo come silenzio di Dio, è il nostro non ascoltare, che può diventare dono: il dono di “attendere nel silenzio la salvezza di Dio” (Lam 3, 26). È l’occasione non di sollecitare un suono di voce qualunque, ma di rendere il nostro silenzio ancor più silenzioso, per lasciare libertà a Dio di parlare come a Lui piace, e di chiedere a Lui di diventare capaci di cogliere, con il cuore, l’eco della sua parola.
L’eco della Parola di Dio, è il farsi carne del Logos, perché in Lui ci ha detto tutto e Lui ci ha dato tutto (Rm 8, 32). Il silenzio è il luogo preferito da Gesù, quando si apriva alla preghiera.
20.12.18