Benedire

Benedire
La benedizione è porre il “nome del Signore” nel benedetto. Siccome l’apostolo indica di benedire e di non maledire, con il nostro povero benedire noi disseminiamo il “nome di Dio” nel mondo. Siamo i seminatori di Dio.
È azione facile il benedire, più facile del pregare. Eppure non lo compiamo sovente. Nelle varie circostanze preferiamo l’augurare al benedire. Perfino nel giorno di Natale, anziché spargere tra le persone il Gesù, donato a noi dal Padre e da Maria, preferiamo fare gli auguri (desideri incerti!) anziché donare Gesù.
Benedire una persona è impregnarla di Dio. Non è mero invocare, ma è concreto donare. L’augurio è sì e no un’invocazione. La benedizione è un dono. È un dono che può scorrere anche lungo la linea telefonica, oltre che nelle onde sonore dell’aria, o nei palpiti segreti del cuore.
Per chi, cristiano, ha dimenticato il proprio personale sacerdozio, la benedizione non ha senso. Ma se, da cristiani, ci ricordiamo il nostro coinvolgimento nel sacerdozio di Gesù, allora il poter benedire è una gioia. “Popolo sacerdotale” siamo, secondo l’Apostolo.
Alla fine di ogni incontro eucaristico ci salutiamo con una benedizione, perché l’incontro eucaristico è una benedizione.
Mi lasciano un po’ perplesso le persone che fanno benedire il cane e la bicicletta (incapaci di ricevere in sé il “nome di Dio”), e non si benedicono reciprocamente all’inizio della giornata, o al tramonto del sole. Benedire il cane è quasi magia. Benedire le persone è grazia.
01.01.19