Venga il tuo regno

Venga il tuo regno
Se vivo di te, vita da vite, non mi meraviglia che io sia destinato a risorgere.
Paolo mi ricorda che risorgeremo tutti, chi per la vita eterna, e chi per essere giudicato (condannato? speriamo che non accada a noi, che volentieri accettiamo di essere i tralci di Gesù e di goderne la grazia).
La vita comunicata dalla vite ai tralci, pur essendo un deciso in-serimento nella vita di Dio, non ci fa vivere a un metro da terra. Anzi ci rende ancora più terreni, perché “il Logos è divenuto carne” e perciò noi abbiamo attinto alla sua pienezza.
Io cammino, e non mi accorgo di vivere nell’eterno, di eternità sono timbrate tutte le mie azioni, i miei risultati, le imprese di ogni istante della vita. Sono tutti permeati di eternità. Alla fine non è necessario che io mi presenti a S. Pietro tenendo in mano il mio notes di opere buone (i fioretti?) da esibire per essere ammesso nell’emiciclo del Paradiso. Io mi ritroverò nell’al di là, dove mi incontrerò con tutto il mio passato, perché intriso della vita, iniettata in me da Gesù. Mi incontrerò non solo con quel po’ o tanto di bene operato, ma anche con il male trasformato dalla mi-sericordia di Dio.
Quanta riconoscenza e quanta commozione desta in me questo impensabile inserimento in Gesù! Forse mi pare di intuire quella frase che ripeto più volte al giorno: “Venga il tuo regno!”. Questo lieto imperversare della vita di Dio, tramite Gesù, verso di me, verso i miei cari, verso la Chiesa corpo di Cristo, verso il cosmo creato da Lui!
31.01.19

Fiducia reciproca

Fiducia reciproca
“Gesù diffidava di loro… infatti sapeva ciò che c’era nell’uomo” (Gv 2, 24).
Gesù diffidava. Come mai Gesù più tardi, come riferisce Paolo, dice: “Questo è il mio corpo, che è per voi”. (1 Cor 11, 24). Qui si conce-de tutto all’uomo, lì si rifiuta di fidarsi dell’uomo.
Gesù oggi si dona. Lo accolgono coloro che lo desiderano e lo amano. Già il desiderio di lui è amore.
Però Gesù è anche evitato. Anche molte persone che assicurano di credere in lui, finisce che lo rifiutano. Che cosa è, se non rifiuto o af-fermato o pratico, il non accogliere il “massimo” del dono di Gesù, che è l’Eucarestia? Perfino intere confessioni, che si professano cristiane, e-scludono l’Eucarestia dal loro credo e dalla loro pratica.
Gesù praticamente rifiutato da coloro che si reputano intelligenti commentatori del Vangelo, escludono Gesù “presente” nell’Eucarestia, oltre che nella fede. È questo il profondo primo rifiuto della fede cristiana.
Certe forme di corruzione nella chiesa, non sono dovute agli scandali dei preti, ma alla non fede di coloro che si dichiarano cristiani, non fede nella semplice presenza di Gesù nella chiesa, e quindi nel mondo.
È passato da secoli l’atteggiamento di Gesù, che “non si fidava di loro”, mentre è disgraziatamente vivo e vasto l’atteggiamento di uomini e di donne, che non si fidano di Gesù.
Per fortuna, esiste una parte di persone, che nella loro semplicità di fede si fidano di Gesù. Queste persone salvano, silenziosamente, il mondo dalla sua insignificanza esistenziale. Noi siamo tra quelle poche persone.
13.01.19

Pregare Lui
Per rendere meno meccanica e meno superficiale la nostra pre-ghiera, e condurla al pregare autentico, è opportuno passare dalla for-mula alla parola. La formula può essere un indicato inizio, una apertura al pregare, ma essa non è ancora pregare.
Affinché il pregare sia “produttivo” è necessario avvenga un altro passo: dal pregarci addosso (come dal parlarci addosso) è indispensabile il pregare, rivolgendosi a Lui.
Alcuni si affliggono (e si confessano) per le distrazioni nella pre-ghiera; di solito sono distrazioni dal capire ciò che si sta dicendo. Sono distrazioni dalla parola. Invece la vera distrazione è il divergere dalla co-scienza di essere al contatto con Lui, con il Padre.
Che il pregare è anche il porre attenzione a ciò che si dice (paro-la), è una posizione sana, ma incompleta. Se essa non diventa colloquio, rimane sulla soglia. Non entra in quella “oratio Dei” di quella preghiera di Dio, della quale parlano i Vangeli.
La preghiera produttiva, anche emotivamente, è l’avverarsi di un incontro al tu per tu.
La scontentezza dopo aver recitato delle preghiere, e la conse-guente voglia di smettere, nasce dal non aver attuato l’incontro, dall’aver trascurato al chi si rivolge il pregare.
Evidentemente questo dialogo con il Padre, non può essere ef-fetto della nostra buona volontà, sebbene questa è indispensabile, ma dall’affidarci “cordialmente” alla presenza sempre attiva dello Spirito Santo.
Dalla formula alla parola, dalla parola al dialogo.
26.01.19

Vite e tralci

Vite e tralci
Gesù si autodefinisce in numerosi modi. Tutti stanno dopo quel “io sono”. Non solo nel suo “Io sono” assoluto, che lo differenzia da Abramo, ma anche da quel “io sono” unito a un predicato nominale: “Io sono la vita, la verità, ecc.”.
Oggi mi ha colpito: “Io sono la vite, voi i tralci”. Una comunione così vitale e necessaria, senza la quale i tralci (noi) non vivrebbero. Che noi siamo i tralci, è un asserto chiaro. Solo la fede ci aiuta a percepire la nostra “cristicità”, la linfa del Cristo in noi.
Ce l’aveva detto chiaramente S. Giovanni all’inizio del suo Van-gelo: “Tutto fu fatto attraverso il Logos”. “In lui era la luce, e la luce è vita” dell’uomo. Gesù, Logos-carne”, si esprime come Logos che comunica la vita: “Io sono la vite, voi i tralci”. Una verità impensata da noi, infinita, pur espressa con parole semplici, immediate, non necessitanti di un trattato di filosofia o di teologia. E se su tale verità si precipita il filosofo con i suoi come e perché, corrompe la lucentezza della verità.
Noi viviamo della sua vita, di quella vita che il Logos ha generato in noi. La frase pronunciata da Gesù, egli la disse prima che tutta la sua realtà si affermasse nella completezza della Risurrezione. Si trattava semplicemente della vita, la vita di ogni giorno, che si svolge nel respira-re, nel camminare, nel mangiare e nel pensare. Quella vita (questa vita!) che trova il coronamento vitale nella Risurrezione. Risurrezione che vie-ne trasmessa a noi tralci, dalla vite… risorta
31.01.19

In Lui la vita

In Lui la vita
Ricordo, dopo i miei studi di filosofia, quel pensatore che indicava, come l’uomo è fatto per la morte, perché la vera percezione dell’esistente si ha tramite il nulla.
Poi leggo Gesù che dice: “Io venni affinché abbiano vita, e ab-biano eccedente” (Io 10,10). Si tratta di una vita piena tracimante, seb-bene il testo parli di tracimante, ma non come attributo di vita, almeno grammaticalmente, ma forse come un accusativo avverbiale. Tra le due posizioni, vivere per la morte, e vivere per la vita, io, avendo un debole per Gesù, preferisco decisamente la posizione propria di Gesù.
Nel Logos era la vita. Quando il Logos divenne “carne”, non ven-ne per riparare la vita ferita dal peccato, ma per compiere nel tempo il suo essere vita “nell’eterno”. L’incarnazione completò il dono di Dio Cre-atore. Era luce e vita, che dovevano distendersi anche nel tempo. Pur-troppo nel tempo incontrò anche il peccato, e quindi la sua presenza pu-rificò anche quello.
La tracimazione della sua vita non solo si estese nel tempo, ma travalicò il tempo per “completarsi” oltre e fuori del tempo, dove tutti noi siamo invitati e portati a vivere in modo nuovo, divino, che ancora non ci è dato di definire. L’infinito non si sottopone a nessuna definizione, proprio per la contraddizione dei termini.
Il mio debole per Gesù mi nasce anche dal sapere che “dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto, e dono rispondente al dono” (Gv 1, 16).
Non viviamo per la morte, ma in Gesù viviamo nella vita, per la vita.
12.01.19

Io sono di Cristo

Io sono di Cristo
Tutte le cose sono di voi. Però voi siete di Cristo, e Cristo è di Dio (1 Cor 3, 22-23).
Il risolversi dell’esistere in Dio, è il ritornare al principio.
La catena non può scindersi. Ogni uomo vi è inserito, e chi pre-tende di liberarsi trova scosso miserevolmente il proprio risolversi in Dio. Anche il suicida, che si illude di consegnarsi all’ombra del nulla, si trova inserito in questa catena, ma non godendo tutti i vantaggi dal cedersi li-beramente a quel Cristo, che si risolve nel Padre.
Tuttavia, noi dotati di libertà intellettiva e attiva, siamo chiamati a entrare con gioia in questa catena, che, risolvendosi in Dio, si risolve nella gloria.
Quando Paolo ricorda questa catena, lo fa per sedare un males-sere all’interno della comunità. I cristiani vantavano le loro “origini”: io sono discepolo di Paolo, io di Pietro, io di vattelapesca. Paolo richiama che la nobiltà cristiana, non dipende dal predicatore, ma da colui che è predicato, ossia soltanto da Cristo.
Oggi serpeggia qualche cosa di simile: io sono del gruppo A dei catecumeni, io sono del gruppo B dei carismatici, io del gruppo C del Terz’Ordine, io del gruppo D della parrocchia. Di per sé non è disdicevole il dichiarare una qualche appartenenza, ma è importante che quella appartenenza conduca all’unità di tutti, che è Gesù.
È quello che indica Paolo: “Io sono di Cristo!”.
L’appartenenza, ora e sempre, a Cristo, aveva suggerito ai fedeli di Antiochia, di denominarsi “cristiani”.
14.01.19