Fratelli e amici

Fratelli e amici 1
Gesù aveva fratelli e amici. I fratelli ce li troviamo già confeziona-ti, gli amici ci si formano più lentamente.
Madre e fratelli di Gesù, secondo la situazione sociale, sono ri-cordati. S. Matteo: “Ecco tua madre e i tuoi fratelli (ossia parenti stretti) stanno fuori e cercano di parlarti” (12, 46-47). Lo stesso leggiamo in Marco (3, 31.32), e in Luca (8, 19-20).
In Marco è espresso chiaramente il perché i suoi fratelli avevano cercato Gesù, e quindi si capisce meglio la posizione di Gesù, quando seppe che i suoi familiari lo cercavano. Infatti leggiamo, poco prima della frase su ricordata: “Viene in casa e si raduna di nuovo tanta folla che non potevano neppure consumare cibo. Unito ciò, i suoi vennero per im-padronirsi di lui; dicevano infatti: è fuori di sé” (Mc, 20-21). Gesù rifiuta “quella” famiglia: “Chi è mia madre e (chi sono) i miei fratelli? E guardando intorno coloro che stavano lì seduti, disse: Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi fa la volontà di Dio, questi è mio fratello, mia sorella e mia madre” (Mc 3, 32-35).
I fratelli di Gesù sono collocati su due piani: quelli del sangue, che egli rifiuta, e quelli della volontà del Padre, che egli accoglie. E, secondo questa prospettiva, Gesù incontrerà molti fratelli in vita e in risurrezione.
Gesù però, sopra la fratellanza, coltivava l’amicizia: “Voi siete miei amici” (Gv 13, 14). “Lazzaro il nostro amico” (Gv 11, 11). Perfino di-ce a Giuda: “Amico, perché sei venuto? (Mt 26-30). “Gesù amava Marta, sua sorella e Lazzaro” (Gv 11,5).
Gesù quindi si circondava di amici, ai quali confidava la sua luce interiore. Ma non necessariamente i fratelli erano anche amici.
21.02.19

La vera libertà

La vera libertà
Dio crea l’uomo, dotato di libertà, di una libertà creaturale, limitata, non assoluta.
La libertà assoluta è solamente quella infinita di Dio. Essa si uni-sce alla misericordia assoluta, a ogni dimensione di Dio, che non patisce limiti o confine. Anche la misericordia di Dio è libera e infinita. Essa è li-bera, perciò le nostre preghiere di richiesta non costringono, ma accom-pagnano l’opera di Dio. “Se vuoi, puoi guarirmi”.
L’uomo è creato libero, ma di una libertà non costretta, di una li-bertà limitata, della quale l’uomo può e deve usare.
Quando Giosuè stava per introdurre gli Ebrei finalmente nella “terra promessa”, rivolse loro un discorso fondamentale: “Davanti a voi stanno il bene e il male”. Il bene vi conduce a vita, il male a morte. Il bene perciò si innesta nella vita, e questa in Dio. Il male conduce a morte, all’opposto di Dio, che è vita.
Per aiutarci a scegliere e a vivere la vita, la nostra libertà nativa è potenziata da un supplemento di libertà, dono della grazia, ossia dello Spirito Santo.
In Gesù la libertà umana si esalta nell’unirsi alla vita di Dio, ossia – il che è lo stesso – alla volontà di Dio, a quella volontà che si attua in-finitamente in cielo e si ripercuote in terra.
L’uomo può rinunciare radicalmente alla propria libertà, quando distorce la libertà per incatenarla al peccato. “Chi pecca, è schiavo del peccato”: ci avverte Gesù nel Vangelo. Questo non lo capiscono i suoi interlocutori ebrei, che si reputavano liberi soltanto perché discendenti di Abramo.
Quindi la nostra scelta fondamentale, che utilizza la piccola libertà creaturale, si riferisce o alla libertà dei figli che seguono il bene in Dio, oppure che si abbandonano nelle catene del peccato.
11.02.19

La sua missione

La sua missione
“Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la vita per la libertà di molti” (Mt 20, 28). La vita del Logos-carne è destinata a servire gli altri.
Una vita resa servizio. Mi torna in mente una frase di un autore medievale: “Tutta la vita di Cristo fu croce e martirio”. Tale frase mi ha sempre urtato, quando leggo di Gesù, che esplode di gioia nel pregare, nel trovarsi con i bambini, nel guarire la gente.
Mi pare consolante costatare che perfino la sua divinità era “a servizio del servizio”. Questo appare lampante nelle sue opere di guari-gione: Gesù si pone a servizio del malato, e lui, medico, pone a servizio del malato la sua “farmacopea divina” che è il miracolo di guarigione.
Dove Gesù trova una necessità, ivi sa che è chiamato ad attivare il suo servizio, la sua missione (essere mandato, essere incaricato), il suo incarico.
“Vide molta gente, ne ebbe compassione perché erano come pe-core prive di pastore; allora cominciò a insegnare (Mc 6, 34).
S’avvicina a Naim, incontra un funerale, si commuove e restitui-sce il giovane morto risuscitato a sua madre.
“Ti sono perdonati i peccati”: dice al paralitico.
Insomma dove incontra una necessità umana, causata dall’ignoranza, dalla morte o dal peccato, egli si sente spinto ad agire come richiamo a essere quello che è “venuto a compiere”, cioè a servire gli uomini.
Per stimolare la sua azione di servizio ai “poveri”, non era neces-sario che cercasse chissà dove: essi erano sul suo cammino.
21.01.19

Vamgelo e amore

Vangelo e amore
Quando mi accosto al Vangelo, non posso prenderla alla leggera, come fosse uno dei molti libri, ma mi torna necessario il prendere co-scienza di trovarmi a interloquire con Dio! Con il Padre, che mi indica soltanto ciò che è bene e il vero, e che mi conduce al bene e al vero, che è Lui stesso. Il Vangelo è uno degli abbracci paterni di Dio, con il quale mi ricorda il suo amore.
Giuda tradisce Gesù, e Gesù lo vede ancora “amico”. Pietro rin-nega Gesù, e Gesù gli chiede un supplemento di amore: “Mi ami?” – addirittura: “mi ami più degli altri?”.
La ripresa dal peccato, per Gesù, è sul piano affettivo, sull’amore. Sembra che la posizione di Gesù, non è quella pesante della penitenza, ma quella esaltante dell’amore.
Già i pagani latini scrivevano che l’amore vince ogni cosa. Così Paolo che spedisce la lettera ai Corinzi.
Seguire Gesù è urgente. Però il seguirlo è leggero: “Se vuoi se-guirmi …”. “Chi vuole seguirmi”.
Gesù ama e invita. Invita perché ama. Ama e perciò invita.
Quando, dopo Costantino, il cristianesimo cominciò decisamente a indossare le vesti e gli atteggiamenti di “religione”, allora si affievolì l’amore a favore delle leggi. La legge, per essere valida, deve essere seguita dalla minaccia della sanzione. La sanzione è punizione, non amore.
Dio, assieme al dono della libertà umana, assegna la meta ar-monica con la libertà autentica, che è l’amore. Non si può rieducarci a Dio, se non ci si rieduca all’amore.
11.02.19

Abituarci al Vangelo

Abituarci al Vangelo
Un modo per non accettare la parola di Dio, è quello di infarcirla delle nostre fantasie.
Ho vissuto ieri, udendo altre persone, una serqua di commenti fantastici nell’accostarci alle nozze di Cana.
Mi soffermo su un fatto. Gesù si trovava a Cana, a una festa di nozze.
Ed ecco le fantasie: era per santificare le nozze. Era parente degli sposi. Era tra gli invitati. Svolgeva, con la madre, compiti organizzativi. E via così.
Mi rivolgo al testo: “Fu chiamato”. Dal testo ricavo solo un signifi-cato sicuro: non era lì di sua spontanea scelta, ma solo perché chiamato. Tutte le altre fantasie non mi attirano, perché non cerco spiegazioni, ma vado ai fatti. Io so soltanto che si trovava a Cana, perché chiamato.
Però l’importanza dell’evento salvifico mi viene da due frasi: “Manifestò la sua divinità (docsa)” e “I suoi discepoli credettero nella sua persona”.
Qui intendeva arrivare esplicitamente, non attraverso fantastiche-rie, l’Evangelista. Il significato non sta nel vino (quanti si fermano a con-siderare quale importanza aveva il vino nell’AT o nella storia delle reli-gioni!). Il vino è una “volgare” occasione. Il significato sta nell’azione di Gesù, azione che è “segno” della sua divinità. Così, del resto, quando Gesù risana il paralitico, il significato non sta nel paralitico bloccato da un certo numero di anni, ma in Gesù che risana.
Insomma troppo spesso la curiosità cerca motivi e significati nel vino, nel morto, nel malato, ma non nell’azione “rivelatrice” (segno) di Gesù. Mentre è questa alla quale tende l’evangelista.
07.02.19

Io sono 4

Io sono 4
È vasta la gamma di affermazioni di Gesù su se stesso, per so-stenere la gioia della nostra fede. Il Vangelo riporta soltanto alcune delle autoaffermazioni di Gesù, perché “ci sono ancora molte altre cose, che Gesù fece; se si scrivessero a una a una, penso che non basterebbe il mondo intero a contenere i libri che si dovrebbero scrivere” (Gv 21, 25).
Ora mi soffermo soltanto su due frasi consolanti, che illuminano la nostra vita.
“Sono io, non temete!” (Mc 6, 50). L’incoraggiamento di Gesù è ripetuto in alcune occasioni.
“Alzatevi, non temete!” (Mt 17, 7) disse agli apostoli esterrefatti durante la trasfigurazione.
“Non temere, soltanto continua ad aver fede” (Mc 5, 36); così rassicura il capo della sinagoga, quando ricevette la notizia che sua figlia era addirittura morta.
“Non temere, piccolo gregge” (Lc 12, 32): disse a un gruppo inti-morito, al quale promette chiaramente il “Regno del Padre”.
E poi, terminiamo questi nostri brevi richiami sull’”Io sono”, ricor-dando l’incoraggiamento di Gesù indirizzato alle sorelle di Lazzaro, morto e sepolto da tre giorni.
“Io sono la Risurrezione e la vita” (Gv 11, 25). Non dice che lui ri-susciterà il fratello, ma che lui, Gesù, è la Risurrezione del fratello. Gesù getta tutto se stesso dentro il morto e si fa sua risurrezione.
È questo un modo di ricordare che in lui tutto l’Antico Testamento si attua in modo nuovo. Infatti non si diceva: “Dio mi salva”, ma “Dio è la mia salvezza”.
02.02.19

Io sono 3

Io sono 3
Perché Gesù si dichiara in molti modi? Per evitare l’esclusiva. Non l’esclusiva dell’unico passaggio sicuro, che non può essere eluso, ma l’esclusiva dell’unico approccio.
Mentre le forme ascetiche di altre religioni propendono per un’unica modalità di entrata, a Gesù si può tranquillamente arrivare con il nostro bagaglio e con le nostre capacità naturali, senza costrizioni di nessun genere. Perciò Gesù si definisce in molte maniere, affinché con lui ciascuno si trovi a proprio agio.
“Io luce, sono venuto” (Gv 12, 46). Si arriva a lui anche cercando luce. Qualsiasi tipo di luce: intellettiva, affettiva, operativa, sociale. Spesso di fronte al percorso della vita ci troviamo smarriti. Che cosa dobbiamo fare, di chi fidarci? Gesù diventa il faro, per chi si rivolge a lui, perché si fida di lui.
Gesù si definisce “luce del mondo” (Gv 8, 12). Non si sottrae a nessuno. Anche a chi non è sveltito nell’uso dei sillogismi, Gesù arriva con le parabole.
La trasfigurazione sul Tabor: Gesù si presenta totalmente luce.
Allora ci riesce ancora più facile accettare il suo “Io sono maestro e Signore” (Gv 13, 13). Questa frase viene pronunciata da Gesù non da cattedre, dove è seduto, come quando proclama le Beatitudini, ma quando sta lavando e asciugando i piedi dei suoi. Un maestro e signore in grembiule, del quale si è cinto per essere equipaggiato come lavandaio. Gesù è un maestro artigianale, e ci incoraggia quando siamo chiamati a servire.
02.02.19

Io sono 2

Io sono 2
L’”Io sono” di Gesù lo troviamo nel Vangelo modulato in tre modi: l’”Io sono” assoluto che designa Dio; l’”Io sono” con un predicato nomi-nale; l’”Io sono” come semplice verbo ausiliare.
Però queste tre modulazioni si uniscono nell’unico fulcro “Io”. Nel suo amore per noi, il Padre ci ha offerto molte modulazioni di quell’unico “Io” poliedrico, per donarci tanti modi di “entrare” in quel caro Gesù, at-traverso il quale ci troviamo, con meraviglia e con commozione, inseriti nella misteriosa famiglia trinitaria.
Continuiamo nella rassegna dei molti “Io sono” che troviamo nel Vangelo: ognuno dei quali è una finestra, attraverso la quale, penetriamo nella pur insondabile grandezza di Gesù.
“Io sono la vite”. È un modo di assicurarci che la sua vita si ef-fonde nell’uomo, affinché dalla sua vita noi viviamo. “Vive in me Cristo” scopre S. Paolo. È solo la vita per chi crede esplicitamente in Gesù (la nostra sublime condizione!), oppure è quella vita fontale che è “luce degli uomini” (Gv 1, 4)? La mia vita è viva, perché lui la rende viva.
“Io sono la porta dell’ovile”. Non è una porta serrata, perché per essa si esce e si entra. È una porta che sorveglia e difende il passaggio del pastore conosciuto e naturale. L’assassino passa con altri mezzi e con forzature. Attenendoci a Gesù, evitiamo l’incontro con i delinquenti. In altre parole, con Gesù siamo sicuri e difesi dagli imbrogli, che ci mi-nacciano: imbrogli di idee, di false promesse, di illusioni.
02.02.19

Io sono 1

Io sono 1
La persona di Gesù, quel Gesù che noi amiamo, si presenta po-liedrica. È sufficiente osservare tutti i predicati nominali, che Gesù di-chiara, dopo quel “Io sono”.
Troviamo prima di tutto un “Io sono” assoluto, senza predicati nominali. “Prima che Abramo fosse, Io sono!”. Ci aspetteremmo un ver-bo al passato: “Io ero … io fui”. Invece Gesù si presenta come Dio, l‘Eterno, proprio come Dio si era presentato a Mosè.
Ecco un “Io sono” seguito da “la vita”. Mi ricordo una canzone la-tina, che cantavo da giovane: “Gesù, tu sei la nostra vita, senza di te è la morte”. Vita della nostra vita, perché in lui siamo, ci moviamo, viviamo.
Io sono la verità. Senza di lui o contro di lui, il dubbio non tanto sulla verità del reale, quanto sulla verità di noi stessi e per noi stessi.
Io sono la via. Quella che direttamente ci conduce al Padre. Quante strade contorte per incontrarci con gli altri e con il Padre. Strade contorte, guidate dalle nostre passioni o dalla presunzione umana, che ci fanno deviare!
Io sono il Pastore autentico, il buon Pastore. Conosco le mie pe-core, meglio di qualsiasi psicanalista che arranca per scovare nel reces-so dell’inconscio ciò che lui crede di aver scoperto. Gesù conosce le pe-core, non per sentito dire o procedendo per i meandri della psiche uma-na, ma perché lui ha creato e crea continuamente l’uomo. Il riscontro del fatto che lui conosce le pecore, si attua nel fatto che “le pecore cono-scono me”. Per conoscere proprio me è sapere che lui conosce me e appoggiarmi perdutamente alla luce del suo conoscermi.
Ed ecco il mio specchio nel Vangelo, nel riuscire a vedere che io sono quello che il Vangelo dice di me.
01.02.19

Gesù Risurrezione

Gesù Risurrezione
Quando noi abbracciamo il Vangelo, dentro di noi siamo penetrati da consolazione. Si intende: abbracciare, non solo leggere; portarlo dentro, non guardarlo da distante. Il Vangelo veicola sempre Gesù, e Gesù non si può che abbracciarlo, tanto caro egli è.
Un brano del Vangelo ci immette in Gesù, perché ci mostra come Gesù si immette in noi, perfino se cadaveri.
Giovanni ci presenta Lazzaro morto e risuscitato.
Marta, sorella di Lazzaro: “Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto” (Gv 11, 20 ss.). Marta aveva mandato un’ambasciata a Gesù, quando Lazzaro era ancora in vita.
“Ma anche ora so – prosegue Marta – che qualsiasi cosa tu chiedi a Dio, egli te la darà”.
Gesù: “Tuo fratello risorgerà”.
Marta: “So che risorgerà nella risurrezione all’ultimo giorno”.
Gesù corregge: “Io sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se fosse morto, vivrà”. Quindi Gesù non è il taumaturgo che im-plora e ottiene la risurrezione, come si dice di S. Antonio, ma è Risurre-zione personale, divina, incarnata.
Gesù è! Non ornato del potere di far risorgere. La risurrezione non è una aggiunta, donata alla sua persona, ma è la stessa Risurrezione. Chi per lui, per il suo “influsso” risorge, è irrorato e impregnato di Gesù.
Invocare Gesù, più che chiedere il suo intervento, è ricevere la sua persona, cara e onnipotente, è essere intimamente abbracciati a lui.
Ecco perché l’Eucarestia è un “riceverlo”, un lasciare che lui ci penetri.
02.02.19