Guardando la felicità

Guardando la felicità
Dio è in visita nel mondo: trovo scritto.
Questa frase mi sembra collimare con il Genesi: “Dio passeggiava nel giardino [Eden] alla brezza del giorno” (Gn 3, 8). La creazione è il giardino di Dio. La Sapienza dice: “Il mio godimento, è stare con gli uomini”.
Adamo, dopo la disobbedienza, si nasconde temendo un Dio che passeggia. Dio non gli incute terrore; è Adamo che, grazie al peccato, entra nel timore.
La terra è il piacere di Dio: come in cielo, così in terra. Il nostro povero cuore è il luogo della delizia di Dio. Anche sotto questo aspetto si gusta l’Eucarestia. Gesù, terminato il suo compito terreno, non si è ritirato in uno splendido silenzio, ma ha voluto restare con noi.
Nella nostra educazione gli educatori hanno troppo incernierato il nostro rapporto con il Padre, sul tema del peccato commesso o da commettere. Si sono dimenticati di educarci a sentirci il giardino delle delizie di Dio. Solo così poteva sprigionare la pura gioia dell’essere, e non solo quella dell’essere perdonati.
L’educazione divina alla gioia, alla felicità, è stata trascurata, per farci inoltrare nel sentiero del piacere, più o meno fisico, che è un scimmiottamento della felicità.
La felicità è dono del Dio perenne; la gioia del piacere è fiamma che si estingue.
Educare alla felicità è educare all’inoltrarci in Dio, nell’Amore indicibile della Trinità. Ci si può anche, e non raramente, incontrare con la croce; la croce in Gesù, però sempre è per crucem ad lucem.

Suicida di altri

Suicida di altri
Si sta discutendo in questi giorni sul suicidio assistito. La posizione di Gesù, per la propria vita e per la vita di ogni persona, è quella di affidarsi al Padre, perché la vita è partecipazione alla vita divina, non un’invenzione dell’uomo.
Dio crea la vita di ciascuna persona, che per statuto eterno è programmata da Dio, anche quando si serve del miracolo del coito umano per manifestarla.
Alcuni affermano che l’uomo può privarsi della vita, quando essa non è più (letteralmente!) dignitosa. Però la dignità non sta nelle cose. Il giorno è dignitoso e la notte no? La pioggia non è dignitosa e il sole invece sì? La salute è dignitosa e la malattia no?
È da come la persona vive le cose che in essa comunica dignità. La malattia vissuta con serenità e con convinzione retta è dignitosa quanto la salute vissuta con serenità. È come noi viviamo le realtà, che esse si colorano del nostro sentimento e del nostro pensiero.
La malattia è dignitosa, se noi sappiamo essere e fare gli ammalati. Mi desta compassione la pretesa dell’ammalato che rifiuta i parametri fisici e psichici della malattia.
Suicidio assistito, si va dicendo: assistito da chi? Da un medico.
Il medico è a servizio della vita.
C’è anche il Dr Mengele che uccide, da autentico assassino. Ho incontrato anche medici suicidi. Ma un medico che diventi “suicida di altre persone” mi sembra un po’ strano. Egli è semplicemente un omicida.

Gesù ci parla

Gesù ci parla
Gesù si manifesta. Manifestando se stesso, manifesta il Padre, rompendo la parete del mistero, infrangendone le oscurità che l’uomo ha condensato.
Oltre la manifestazione del suo operare (“credete almeno ai fatti!”), egli ama manifestarsi nel parlare.
Mi sembra che la sua parola si esplichi diversamente almeno in tre situazioni.
Gesù parla a “loro”, a tutti, spesso adoperando il linguaggio parabolico.
Gesù parla, nel privato, ai suoi, che egli istruisce in modo sempre più intimo fino alla profondità (altezza?) del discorso dell’ultima cena. Ivi il parlare è condito di enorme dolcezza e di luce soave.
Gesù parla davanti agli avversari, contrattaccandoli. Spesso in questo parlare polemico, escono parole di rivelazione dense, sublimi. È sufficiente scorrere anche superficialmente il Vangelo di Giovanni per costatarlo.
Comunque parli Gesù, deve trovare in noi scolari attenti, di quell’attenzione che è sorretta dallo Spirito Santo.
Eppure qualche cosa d’altro apprendiamo da Gesù, quando lasciamo che il Vangelo penetri in noi, nella sua chiesa. Il Vangelo è seme sparso in terra. Nella terra fermenta e si sviluppa. Nella nostra adesione semplice alla sua parola (senza se e senza ma), la Parola cresce in noi, se siamo disponibili, ora il trenta, ora il sessanta, ora il cento per uno.
È sempre luminosa la frase di S. Gregorio: la Scrittura cresce in chi la legge.
Il Vangelo non è verità conclusa, ma stimolo aperto al quotidiano.

Dio è novità eterna

Dio è novità eterna
La pienezza di Dio può generare turbamento. “Il Signore è con te, graziatissima!”: dice Gabriele a Maria. La reazione di Maria? “A tali parole ella rimase turbata; si chiedeva che senso avessero le parole di Gabriele”, il quale si affrettò a rassicurarla: “- Non temere, Maria! -”.
Può accadere che il “troppo Dio” turbi. Gesù cammina sull’acqua, e i suoi discepoli si spaventano.
Quando, nel Vangelo di Giovanni, Gesù mostra e afferma di essere Dio, i semplici accettano e credono, i sapienti teologi si perdono, sentono cadere le proprie certezze, si turbano ed esprimono il proprio turbamento con l’opposizione violenta.
Ogni novità turba la nostra pigrizia. Dio è sempre novità assoluta, che richiede a noi un continuo aggiornamento.
Gesù, nell’amato Vangelo, ogni giorno scuote la nostra pigra abitudinarietà. Perciò è più tranquillo tralasciare il Vangelo, e riporlo da parte.
Quando Paolo indica che noi camminiamo “in novitate vitae” (novità di vita, sguardo verso l’escatologia), non ci invita a una movida estiva, ma a un cambiamento, che, guardato in faccia, riesce anche a turbarci, prima che ad allettarci.
Quando il Padre ci avverte che un giorno è diverso dallo ieri, ci turba e ci strappa via dalla noia della ripetizione. Se il Padre ci fa notare che un giorno è solo se stesso, anche durante una malattia che perdura, allora ci aiuta a scoprire che l’amore di oggi è quello di ieri, e che l’amore a Dio rinfresca la nostra esistenza.

Dio rispetta la festa?

Dio rispetta la festa?
Ricordati di santificare la festa: è un precetto della chiesa. Pur di santificarla mi è noto che – almeno in quel tempo – nei seminari tedeschi non si studiava durante la domenica. È precetto.
Poi leggo nel Vangelo di Giovanni che Gesù in giorno di festa guarisce e comanda al paralitico guarito di “lavorare”, trasportando la sua branda.
Alla fine Gesù assicura che il Padre non si astiene dal lavoro nemmeno in giorno di Sabato, il giorno sacro per gli Ebrei.
È chiaro: il Padre non è tenuto a obbedire ai “precetti” dei sacerdoti ebrei. I precetti ai quali il Padre si attiene è soltanto la sua volontà, e trasmette questa volontà al Figlio reso uomo. Esattamente come in cielo, così in terra.
Lo stile libero di Dio, incarnato nel Figlio Gesù.
Conseguenza: disobbedire tranquillamente ai precetti?
Forse non è così. Gesù stava “obbedendo” a un “precetto della Legge”. “C’era una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme”: è questo l’incipit dell’episodio della guarigione del paralitico (Gv 5, 1). Gesù stava seguendo un’usanza stretta della religione di allora.
Però si trova davanti a un caso grave: l’uomo! Un uomo in grave difficoltà. E quella presenza ricorda a Gesù che c’è qualche cosa che supera il precetto del “santificare la festa”.
Nella gerarchia dei valori l’uomo è superiore al precetto sacerdotale, perché sempre il sabato è per l’uomo, a servizio dell’uomo, e Gesù si sente superiore al sabato.

Vera gloria

Vera gloria
Quando ero giovane, il nuotare mi dilettava. Perciò le notizie sul nuoto mi ridestano un po’. Questi giorni si parla molto dei risultati ottenuti da Federica Pellegrini.
Non conosco l’orientamento esistenziale della nuotatrice. Eppure anche verso di lei – come verso tutti gli sportivi – volgo a me la domanda: “Questo risultato nel tempo, svanirà in un ricordo o rimarrà in una medaglia, oppure la nuotatrice lo vive come dono di Dio, che si inserisce in quella grande corrente che è la vita eterna?
È gloria umana che si estingue, oppure è lode a Dio, che non si spegnerà mai?
Ogni nostra azione è destinata, siccome noi la indirizziamo, o a conchiudersi nel nulla della povera morte, o a ingigantirsi nella vita eterna. Morte e vita sono nelle nostre mani, e, principalmente, nei nostri cuori.
Stranamente il desiderio di vivere ancora, lo affidiamo alle mani del chirurgo, e ci dimentichiamo di abbandonarlo a Colui, che sa che cosa è risuscitare per vivere sempre, esperienza questa da lui personalmente sperimentata.
Di fronte ai miei modestissimi risultati o alla grandezza di Federica, mi ritorna in mente il verso di Manzoni in quel “ei fu”. “Fu vera gloria?”.
Non conosco personalmente nessun asso dello sport. Gli assi dello sport (o della politica, della scienza, ecc.) sentono l’attrattiva dell’eterno? Se sì, li sento fratelli in Gesù.

Annunciare

Annunciare
Mi diceva una persona che lei non confessava Gesù a parole, ma solamente con il comportamento.
Gesù aveva detto: “Vedano le vostre opere buone, e rendano gloria al Padre”. Eppure aveva notato, in modo chiaro, l’ambivalenza delle opere stesse.
“Anche i peccatori fanno lo stesso”, “Anche i pubblicani fanno lo stesso”, “Anche i gentili fanno lo stesso” (Mt 5, 46-47).
Anche gli atei sono onesti, anche i musulmani pregano, anche gli zen amano il prossimo.
Affinché gli altri vedano le vostre opere buone, in quanto conseguenza della fede in Gesù, devono recare il timbro di Gesù, timbro che deve emergere dall’opera stessa.
Può darsi che il fermarsi alle sole opere, si riduca a un rifiuto di evangelizzare o di catechizzare. Può diventare una scusa per non parlare di Gesù o del Padre.
Gesù non è una mamma, che al figlio che si reca a scuola dice: “Ti raccomando, comportati bene!”. Egli dice ai suoi: “Andate e predicate, ammaestrando …”. L’annuncio caratterizza, non una religione (che Gesù non ha fondato), ma una fede.
La comunità cristiana è una comunità di fede, non un club di benpensanti.
La fede è quella del Verbo; vocabolo che, vedi caso, indica parola.
I martiri sono quelli che hanno confessato, ossia hanno manifestato apertamente la loro appartenenza a Gesù.

Legge e libertà

Legge e libertà
Leggendo a cuore aperto l’episodio del paralitico guarito a Gerusalemme, da Gesù, trovo la lode della libertà.
Per i custodi della legalità, la grazia, il dono della guarigione, non è poi una cosa molto importante.
Gesù libera il paralitico dalla malattia: “Alzati” è comando che guarisce la persona; “Prendi la tua brandina” è superamento della legge rigida del riposo sabatico.
Per Gesù (e per noi con Gesù) l’uomo è un valore fisso, le leggi sono naturalmente applicabili o trascurabili. Se aiutano l’uomo e la società, ben vengano: anche Gesù al miracolato indica di recarsi all’allora ufficiale sanitario, che era il sacerdote del tempio. Se non aiutano oppure ostacolano l’autentica vita e la pace dell’uomo, è bene non badarci.
Evidentemente questo vale per tutte le leggi, anche per quelle imposte da qualsiasi autorità religiosa: Gesù, in diverse occasioni, ci ha impartito l’esempio.
Una legge può nuocere l’uomo, anche quando è causa di inconcepibile tormento psichico, come è il caso dei cosiddetti scrupoli.
La liberazione prodotta da Gesù non è un lento processo, ma una realtà subitanea. Nell’episodio citato leggiamo: “E immediatamente l’uomo ottenne la salute” (Gv 5, 9).
Questa immediatezza la troviamo frequentemente nell’intervento di Gesù: “Ti sono perdonati i tuoi peccati”, “Alzati e cammina”. Non invece con il cieco nato, al quale viene richiesta la collaborazione: “Va a lavarti”.
In ogni caso Gesù salva sempre.

Farina da ostie?

Farina da ostie?
Meditando, dopo averlo letto, sul capitolo 8 di S. Giovanni, incontriamo Gesù non calmo del tutto, durante una polemica interminabile.
Mi sovviene in mente una frase, applicata a bambini irrequieti e contrastanti: “Non è farina da far ostie”.
La stessa frase mi sembra si possa applicare a Gesù polemico. Eppure lui diventa “ostia”, quando lui vuole.
La polemica di Gesù, testarda che esprime sempre nuovi concetti contro le inconsistenti obiezioni dei “Giudei”.
La vivacità polemica di Gesù, non è a difesa delle idee, ma a sostegno della realtà. Anche di se stesso, in quanto realtà “decisa dal Padre”, ossia da “Colui che mi ha mandato”.
I Giudei si arroccano dietro il passato (figli di Abramo, discepoli di Mosè), Gesù li invita a guardare il presente di Dio, che è lui stesso.
Gesù non rinnega il passato, ma lo presenta dinamicamente, guardando il suo sviluppo nel presente: “Prima che Abramo fosse, io sono!”.
Grammaticalmente la frase non regge: lo vedono anche gli scolari delle elementari.
Gli esegeti vedono in quel “Io sono” la indicazione di Jahveh: “Io sono che sono”. Gesù richiama un presente, che non entra nella coniugazione verbale dei tempi, perché non è misurabile dal tempo e dallo spazio.
E proprio a questa “inconsistenza” spazio-temporale, noi affidiamo la nostra fiducia e il nostro appoggio.
Gesù polemizza per educarci ad ammettere che le nostre misure sono insufficienti, quando si tratta di prendere “serio” contatto con la parola di Gesù.

Gesù rivelazione

Gesù rivelazione
L’impensabile dono di Dio, è rivelato da Gesù. Le opere e le parole di Gesù sono rivelazione sia dello spaccato profondo della persona di Gesù, sia del modo di esser e di agire del Padre-Dio.
Gesù non soltanto svela il divino, ma è lui rivelazione del Padre.
Noi guardiamo Gesù, e in trasparenza vediamo il Padre.
Gesù è Dio incarnato, l’incarnazione non nasconde Dio, ma lo rende accessibile realmente. Le teodicee e le teologie ci donano parole su Dio, ma non ci donano Dio. L’incarnazione ci dona Dio, non un’idea di Dio. Anche le religioni monoteiste ci parlano di Dio (a modo loro), ma non presentano Dio: esse presentano meramente idee umane su Dio; ma Dio è al di fuori delle idee su di lui. In Gesù noi incontriamo lo stesso Dio, che opera e che parla.
La persona religiosa cerca di rivolgersi a Dio, Gesù è Dio che si rivolge esistenzialmente a noi.
“Io e il Padre siamo uno”: afferma Gesù. L’essere uno non riguarda un semplice rapporto privato, ma un ritrovare il Padre nella realtà di ogni giorno.
Gesù è rivelazione non solo perché si mostra, ma perché ci abbraccia e con il suo Spirito ci permea.
La rivelazione di Gesù, non è semplice scoperta, ma soprattutto è presenza.
Incarnandosi Dio si fa presente, non solo conosciuto. E per continuare la presenza concreta, Gesù si fa Eucarestia, cibo che ci penetra, presenza tangibile. Il corpo di Gesù è rivelazione e presenza di Dio. L’Eucarestia è rivelazione e presenza di Gesù.
Il cuore scoppia di dolcezza riconoscente.