Assaporare la preghiera

Assaporare la preghiera
Mi sovviene ancora il tema del sapore della preghiera. La preghiera assaporata, se è gravida di esperienza vissuta.
Per dire qualche mia esperienza che mi aiuta a comprendere il sapore della mia preghiera, emergono in me due sensazioni, che mi sono marcate dentro.
Una è il modo con cui Ungaretti declamava Omero. L’altra è il vissuto che si riaccende in me, quando odo una parola. Io faccio parte dei profughi istriani. Quando odo la parola “Pola”, so che per altri essa è un indicatore geografico. Essa è gravida di tutte le esperienze della mia infanzia: affetti, conoscenze, scuola, chierichetto, nuotate, giocate, ecc. Essa è veicolo che penetra nel sentire, nel vissuto.
Or dunque, la preghiera è qualche cosa di analogo.
Per molti – e per me nel passato – la parola “Padre” è un semplice ricordo di un concetto catechistico. Però dopo aver caricato tale parola di tutto quanto Gesù l’ha riempita, il termine “Padre” è gravido di amore, di eternità, di forza, di dolcezza. Non è più un termine catechetico che indica la persona di una “certa” Trinità, ma è un introdurmi nell’Infinito.
Come vi sono arrivato? Non lo so. So soltanto che questa pienezza, quando la vivo, è un dono, una fattura dello Spirito Santo, che mi assimila al Figlio di Dio, mio fratello.
24.06.19