Dio e il denaro

Dio e il denaro
Forse è chiara una corrispondenza: i paesi ricchi notano una diminuzione della frequenza religiosa e una diminuzione degli “addetti al culto”, che noi diciamo “clero”. I paesi poveri mostrano crescita di preti, di frati, di suore.
Una battuta, che ho udito abbastanza frequentemente: “I poveri si fanno frati, per assicurarsi un benessere, non presente tra la popolazione”. “Pane e sacramenti in tutti i conventi”: si diceva, per indicare la “sicurezza sociale” a chi si faceva frate.
Se non che un personaggio medievale, che camminava ad Assisi, personaggio benestante si fa povero e frate, non per sbarcare il lunario, ma per qualche altro arcano motivo. Io, nel periodo di formazione, avevo qualche nobile titolato e ricco, tra i miei compagni.
La società del benessere non evita il convento, perché ha la pancia piena, ma perché ha dimenticato quel particolare della vita che siamo soliti chiamare preghiera. Il benestante spesso ha smesso di pregare, o prega un po’ maluccio. Il ricco si concentra su se stesso e non sull’aumento di preghiera. La preghiera non gli serve per aumentare la ricchezza… anzi gli servirebbe per diminuirla.
La preghiera educa all’apertura. Se una persona prega davvero, si “apre” a Dio. La preghiera è uscita da noi, verso l’Altro. Altro è centro e si oppone al centro costituito dal denaro. Gesù ci aveva avvertito: non si può servire a Dio e al mammona, ossia all’Altro e a se stessi. La ricchezza è chiusura al dialogo. Boito l’aveva ben individuato nel suo Mefistofele.
La ricchezza, che distoglie dalla preghiera è causa della diminuzione delle persone che si vogliono dedicare all’Altro e agli altri.
30.01.18