Felicità e preghiera

Felicità e preghiera
“Il Padre non mi lascia solo, perché faccio sempre ciò che gli piace” (Gv 8, 29). Ciò che Gesù fa, dice, comunica, lo fa per piacere al Padre. Questa è la grande soddisfazione esistenziale: piacere al Padre.
Quindi tutto quanto Gesù è per noi e ci indica di compiere, è per rendere “soddisfatto” il Padre.
È questa l’eredità, che Gesù ci dona: rendere felice Dio. Dio non ha bisogno dei nostri regali per essere contento. Dio è contento immensamente, e comunica tale contentezza a Gesù, che agendo come il Padre vuole, comunica alla contentezza del Padre.
Noi, in Gesù, rendiamo felice Dio, non perché egli non è felice, ma perché entrando nella Trinità, partecipiamo all’amore del Figlio verso il Padre, nel quale amore Dio è immerso.
Quando Gesù ci stimola alla preghiera, con questa entriamo nella beatitudine di Dio. Rendiamo il Padre contento, perché ci sta trasmettendo la sua felicità.
La preghiera può essere un obbligo o una necessità. Però, come essa si accende, entriamo nella beatitudine di Dio, partecipiamo di tale beatitudine, e quindi rendiamo contento nostro Padre.
Quanto è diverso il “recitare” il Padre nostro, dal rendere felice Dio per l’incontro cosciente del suo figlio. La preghiera supera l’obbligo o il bisogno, per essere felicità di incontro.
Felice il Padre, perché nella preghiera accettiamo il suo abbraccio, e a lui ci abbandoniamo. Indipendentemente dalle formule, l’atteggiarci alla preghiera, è già un’immersione nella felicità del Padre.
15.05.19