Figli che pregano

Figli che pregano
Una differenza non meramente nominale (anzi!) corre tra pregare Dio Trinità, ossia la Trinità, e pregare nella Trinità. La prima è una posizione “esterna” a Dio, l’altra è interna a Dio. Sudditi dell’Onnipotente, o familiari del Padre. Dio lontano da noi, oppure noi “in” Dio. Anche affettivamente la “sensazione” è assai diversa. È la capacità, con nostro Padre, di passare dal Lei, rivolto all’Onnipotente, al tu, rivolto al Padre.
Noi siamo abilitati al tu intradivino, intratrinitario, perché la nostra vita è connessa radicalmente con Gesù. Lui la vite, noi i tralci innestati alla sua persona, alla sua concreta realtà di uomo-Dio. La preghiera è “divinamente” facilitata. Conseguenza: non riusciamo più porci “in preghiera” senza viverci nella gioia del “caldo amoroso” del Padre. La preghiera, vissuta dal cristiano, è certamente anticipo della nuova vita che ci attende dopo la “morte corporale” come la definisce S. Francesco.
La preghiera “intratrinitaria” non ci immette nella realtà di Dio, ma ci rende consci, gioiosamente consci, del nostro essere in Dio, del nostro percepirci preghiera in Gesù.
Il nostro pregare è come un viverci dilatati nell’Immenso, un Immenso di Amore. Dio infatti ci ama davvero infinitamente, ed essere abbracciati dall’infinito è condividere l’infinito di Dio, che ci abbraccia.
La grande preghiera di Gesù, riportata nel Vangelo di Giovanni (17, 1-26) è semplice sicurezza di una realtà che esiste e che Gesù vive e manifesta.
21.01.18