Gesù buono

Gesù buono
Mi risuona (una leggera persecuzione?) una frase del Vangelo di Marco: “Perché mi chiami buono?”.
Quel “perché” sia nel greco che nella versione latina è espresso non con un avverbio (cur, quare), ma con un pronome interrogativo. A me piacerebbe fosse tradotto con una frase sinonimica: “per quale motivo”.
Io non conosco il tono, con il quale Gesù si è espresso. Però, in base al tono, saprei se era diniego, oppure richiesta di spiegazione.
Se fosse diniego, allora Gesù rifiuta di essere chiamato buono. Se è spiegazione, allora si entra nel mistero. Se solo Dio è buono, allora anch’io sono buono, in quanto Dio.
Nel seguito dell’episodio, c’è una parola, che ci fa propendere per una risposta non severa: “lo amò”.
L’incontro aveva creato un’atmosfera di vicinanza, quasi di intima familiarità: “lo amò”. Guardando lo amò. Sguardo di intensa comprensione e partecipazione. Un desiderio di portare a “perfezione” ossia totalità l’esperienza del giovane: “Ti manca una cosa ancora!”.
La totalità, la perfezione (l’aggiunta di una cosa) rende triste il ricco: non riesce a passare dalla ricchezza alla totalità. Davanti a Gesù, la ricchezza produce tristezza. Per seguire Gesù e far parte dei suoi, la ricchezza diventa zavorra. Zavorra, dalla quale ci si libera aiutando i poveri.
L’atmosfera, di comprensione e di amore, diventa un mortuorio. Però solo nel buio, Pietro si accorge che quanto aveva fatto lui abbandonando le reti, era diretto nella strada giusta.
29.05.18