Gesù salva

Gesù salva
Sto incontrando gli scritti di un teologo, abbastanza noto. A livello teologico si oppone sia a correnti di pensiero, sia a certe disposizioni disciplinari, che, a suo parere e anche in parte al mio (parere che espressi anche in questi abbaini) non collimano con il recente Concilio Ecumenico.
È una posizione teologica, che – mi sembra – non ha nulla da invidiare alle “scuola concorrente” dell’antichità, del Medio Evo e del tempo anche recente. È sufficiente ricordare le scuole teologiche che si confrontarono durante tutti i Concili Ecumenici e a ridosso di essi.
La ricerca è oculata e puntita, però la domanda che mi sorge spontanea e che rivolgo a me, quando rifletto, quando parlo, quando scrivo: “Cui prodest?”. A chi serve? Se serve a illuminare, a confortare, ad accompagnare il cammino di noi poveri viandanti spirituali, spesso un po’ bolsi, allora ben venga qualsiasi teologia, altrimenti rischia di restare nell’iperuranio delle astrazioni.
Gesù non è venuto per fondare un’accademia teologica, ma per salvare le persone illuminandole e rifocillandole. Egli insegnava, quando aveva compassione delle “pecore senza pastore”, ma non per fondare scuole di pensiero astratto, filosofico. Egli parlava per salvare la gente dall’errore, non per discutere sul sesso degli angeli, sebbene l’avesse nominato.
Il “cui prodest” di Gesù era il salvare dall’errore e dall’infelicità – non i pensatori scribi accademici – ma le persone perché si orientassero nel cammino guardando la realtà di Dio, non speculando su principi, religiosi più o meno.
21.03.18