Gesù triste

Gesù triste
La nostra tristezza, il vuoto delle nostre giornate senza stimoli, possono esser vissute in Gesù, a gloria del Padre? I nostri momenti di inutilità, hanno un peso salvifico?
Leggiamo in Matteo: “Gesù, giunto nel Getsemani… cominciò a rattristarsi e ad angosciarsi”. Desiderava esser liberato da quel peso: “Se è possibile, passi da me questo calice”.
Momenti di terribile buio, di angoscia. Eppure anche attraverso quei momenti, Gesù restava Dio, compiva la volontà del Padre, procurava la nostra salvezza. Nel buio dell’angoscia, Gesù restava Dio, Salvatore.
Anche la nostra tristezza, vissuta e patita in Gesù, è “degna” del Figlio di Dio, è vita, è continuazione della grandezza vitale di Gesù.
Non parlo di quella malinconia, ninfa gentile, esaltata dal poeta romantico, ma di quel vuoto, quando il vivere è un abisso.
Ricordo il “tutto è grazia” di Bernanos. Ed è così anche per la tristezza, che si accetta come nostro modo di vivere i nostri limiti, nei quali si può sempre trasformare la tristezza in un salmo, uno di quei salmi che la Bibbia ci ricorda e che la liturgia cattolica ci pone in bocca.
La tristezza del salmista, che si trasforma in invocazione. “Dal profondo grido a te!”.
La tristezza del nostro Gesù non si arrestava in sé, come punto di estrema chiusura, ma era un passaggio aspro, che conduceva a morte sì, ma pure alla risurrezione. La risurrezione di Gesù può colorare anche la nostra tristezza. Perché la tristezza in Gesù non è mai disperazione, ma stimolo provvidenziale alla speranza.
06.04.19