L’infelicità dell’ateismo

L’infelicità dell’ateismo
L’ateismo è semplice stanchezza della mente, che dichiara forfait. Le scuse che si adducono per fondare un ateismo scientifico si sbriciolano facilmente e tristemente. La scienza si ferma alle cose visibili e sperimentabili. E qui cade su se stessa, se pretende di applicare i suoi criteri per affermare o per negare l’invisibile.
Le altezze di Dio si ripetono solamente balbettando. L’ateo (se esiste) smette non solo di parlare, ma anche di balbettare: ricade nell’insignificante, proprio perché, quando parla di Dio (quel Dio che lui pretende di negare) egli, per definizione da lui intesa, parla del nulla, del quale niente egli può affermare, neppure circa la sua inesistenza. L’ateo onesto, se esiste, non può neppure affermare il proprio ateismo.
Il credente, è più facile che parli a Dio, che non di Dio. Il credente dà per scontato che Dio esiste, e ciò non perché lui l’ha scoperto, perché semplicemente “così è” e così il profeta e Gesù l’hanno vissuto e l’hanno affermato.
La fede prima la si vive, poi la si afferma, o – addirittura – si pretende di dimostrala. Quando al bambino si parla di Dio, lui lo percepisce immediatamente. Il suo “perché?” non richiede dimostrazioni, ma affermazioni.
Quando Gesù indica al credente di progredire nella fede fino a diventare bambini, semplicemente egli legge la realtà. Il detto, del resto anche sapienziale, “credo per capire e capisco per credere” vale molto per la nostra povera mente. È più esatto un “credo per credere”.
06.11.17