Oltre il parsismo

Oltre il parsismo
Resta ancora tra di noi, la vecchia religione persiana. Non ce ne accorgiamo, ma la “pratichiamo” baipassando semplicemente il Vangelo e probabilmente l’Antico Testamento autentico.
Agli Ebrei, a Quram, e ai credenti in Gesù, è passata l’idea che la salvezza dipenda dalle buone opere “che io devo e voglio fare”. È l’idea contrattuale con un dio, che giudica in base alla bilancia. Per nulla affatto che le buone opere debbano essere scartate, per lasciar fare tutto a Dio (Quietismo), ma che la salvezza è opera di Dio, e le nostre “opere buone” sono il segno e la conseguenza del nostro aver accettato la salvezza di Dio, e del nostro “tenerla cara”.
Sotto un certo aspetto si può dire che la salvezza di Dio possiamo perderla, ma non acquistarla. Le “opere buone” sono conseguenza della grazia, ossia “frutti dello Spirito Santo”, donatoci dal Padre fin dalla nascita e confermato nel battesimo, perché chi crederà e sarà battezzato sarà salvo. La fede, che è frutto dello Spirito Santo, precede lo stesso battesimo.
I due principi trascendentali del bene e del male sono talmente entrati nel nostro immaginario, che spesso si personificano. In realtà il principio assoluto è uno solo: il Bene, Dio. Il male non è da Dio, ma da quella parte dell’uomo, che è la sua finitezza costitutiva. Dio creando “ad extra” non creò un altro dio, ma una creatura, e, in quanto creatura, non infinita, con tutte le conseguenze limitatrici della non-infinità.
A rimedio e a esaltazione della povertà essenziale della creatura, Dio comunica il suo Spirito, per immettere nella creatura l’energia perché questa si mantenga in relazione con Dio.
03.06.17