Perfetti sì, ma con criterio

Perfetti sì, ma con criterio
I perfezionismi tormentano molte persone. Essere belli, bravi, buoni, intelligenti, esteti, ecc. Ciascuna persona nutre il proprio perfezionismo, o addirittura i propri perfezionismi.
L’unico modo per non sentirci in pace è l’essere perfezionista o sentire le nostre colpe (che sono frutto del nostro perfezionismo).
Il perfezionista è il torturatore de se stesso, lo scontento per professione. Egli tende a ciò che una persona umana non può raggiungere.
L’educazione al perfezionismo si inizia a casa: il bravo bambino è… io voglio essere come mio padre, o mia madre, o lo zio Augusto, o la zia Rosalia… poi la scuola aiuta: il bravo scolaro è… fino ai sogni liceali di voler essere come Einstein. Segue la società, con la pubblicità o con l’esempio del cittadino integrale e con la conclamata star del cinema. C’è poi la suggestiva aggiunta della religione, che propone esempi di santi, e che perfino nella liturgia sollecita a seguire l’esempio del santo tale o della santa tal’ altra.
E noi dove siamo? Chi siamo, perché non siamo nessuno se non siamo come gli esempi proposti? Ci spronano in tutti i modi a non essere noi stessi, ma l’altro da noi. E così viene coltivata la scontentezza, se non l’infelicità, perché non siamo quello là, e non questo qui.
Bellamente si dice: “educhiamo i bambini a essere felici, non a essere perfetti!”. Fino a che tendiamo a diventare l’altro, ci dimentichiamo di scoprire e di sviluppare le doti nostre. Educhiamoci a esser “completi” in noi, vivendo il dono di Dio che noi siamo. Cioè a essere “perfetti” secondo le indicazioni della natura e del Vangelo.
26.01.18