Peccato infiltrato

Peccato infiltrato
S. Paolo, nella lettera ai Romani, si ferma a lungo sul peccato contro lo Spirito Santo (Rm 2-5). Egli non guarda tale peccato nell’opposizione diretta uomo-Dio, ma nell’opposizione alla verità, comunque essa si manifesti o trasparisca.
Egli si ferma guardando due fronti: come si oppongono allo Spirito gli Ebrei e come si oppongono alla verità conosciuta i pagani.
Ritorna in campo, per gli Ebrei, la legge (o le leggi per i cristiani?). Paolo vede la legge di Mosè sotto l’aspetto dinamico, perché pensa la legge come “pedagogo” verso Cristo, mentre per gli Ebrei essa era qualche cosa di assoluto, di statico con valore in sé. Insomma la Legge assoluta, in qualche maniera deificata, mentre l’unico vero assoluto è soltanto Dio. Tra parentesi, che cosa dire dei soliti “assolutamente sì, assolutamente no” dei politici, e degli esami di coscienza basati sul decalogo e non su Dio?
Per i pagani Paolo vede il combattere la verità, sotto un altro aspetto: la “staticità” nell’osservazione dei fenomeni naturali, creati da Dio, fermandosi al fenomeno, senza risalire alla causa ultima, ma “interpretandoli” con figure fantastiche, attribuendo a queste le qualità divine. È un opporsi alla verità, a Dio.
Paolo quindi scopre il “peccato contro lo Spirito di verità” anche in ogni singola realtà, dove serpeggia la menzogna (menzogna anti Dio, che è la verità, non solo personale, ma anche nelle sue opere).
La disamina di Paolo è precisa. E quali le conseguenze? Egli le indica.
14.06.18