Fede e psicologia

Fede e psicologia
Ho terminato ora di leggere una lettera del Presidente dell’Ordine degli Psicologi del Veneto. Egli sottolinea che lo psicologo, che appartiene al grande complesso degli aiutanti per la salute e per il benessere della persona, deve intendere il suo lavoro appunto come collaboratore del benessere.
La persona, astrattamente, è considerata a strati sovrapposti: soma, psiche, spirito. La fede religiosa, o addirittura cristiana, rientra in questi strati? Se, per caso rientrasse tra i fattori del benessere della persona, lo psicologo la deve tenere fuori dal suo operare, oppure può essere inclusa in esso? Se la tiene fuori – come non pochi affermano per evidente paura di esserne coinvolti – allora come si comporta, quando un cliente indica la fede come una sorgente di inquietudine? Esclude questa dimensione “umana” dal suo operare? Rimanda il soggetto a un confessore (oggi sempre più rari si sono fatti i confessori)? Dichiara semplicemente forfait? E il benessere psichico della persona dove lo si può trovare? Nella pillola, nell’alcool, nello spinello, nella crociera o nell’arte… ecc…?
Eppure qui trattiamo le persone concrete, non i cani o gli extraterrestri.
Ma certi nostri psicologi si rivolgono alla psicanalisi freudiana (la religione è una nevrosi), o invece alla psicanalisi di Yung, o ancora a quella aperta di Lacan, e allora quale strada di benessere imboccano?
08.11.18