Antitesi

Antitesi
Le opposizioni consolatorie del cristiano stimolano la speranza e la fede. Sono antitesi sempre presenti.
Antitesi particolari e salvifiche, perché le due antitesi non sono sullo stesso piano. Sono antitesi poste su due piani ben individuabili.
L’esempio base sono le Beatitudini.
C’è il piano dell’esperienza umana: povertà, umiliazione, bisogno di giustizia, persecuzioni, ecc.. La ricompensa antitetica è sul piano del Regno dei cieli: di essi è il Regno dei cieli, vedranno Dio, l’annovero tra i profeti.
In S. Paolo (2 Cor, 4) l’antitesi è riportata in termini immediati. Vediamo il testo, che è significativo, anche perché è espressione di una esperienza.
“Questo tesoro [ = la gloria di Cristo nell’Apostolo] lo abbiamo in vasi di creta, affinché sia chiaro che questa potenza straordinaria proviene da Dio e non da noi.
“Siamo tribolati da tutte le parti, ma non schiacciati; insicuri, eppure non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; atterrati, ma non uccisi; portando sempre e dovunque la morte di Cristo nel nostro corpo, perché anche la vita di Cristo si manifesti nella nostra carne mortale”.
Altre antitesi fondamentali sono sparse in tutto il Vangelo. I potenti della terra cercano il carrierismo del comando nei primi posti; voi invece cercate gli ultimi, perché nel Regno dei cieli, gli ultimi sono i primi.
Dio sceglie le cose di per sé inconsistenti, e respinge le sicure, ci avverte Paolo.
La vera vita cristiana è un’antitesi al mondo, però non per negare o per distruggere il mondo (questo è compito dell’ISIS e delle guerre convenzionali o atomiche), ma per iniettare una nuova vita, nelle viscere del mondo.
16.06.15

Funzione e ambizione

Funzione e ambizione
È ben vero che come noi eleggiamo una persona, che curi il nostro bene sociale (funzione) egli diventa onorevole (ambizione).
La funzione è scambiata con il potere. Perciò tutti tentano di diventare ministri. Accettare la semplice funzione, corredata dagli strumenti adatti per esercitarla, è un frutto di mentalità funzionalistica, non incentivo all’ambizione.
Questo tarlo è presente non solo in politica, ma anche nella Chiesa. E si è infiltrata in tutte le vene dell’organizzazione ecclesiastica. Voi state giù nei banchi, io (o noi) sto tre gradini sopra, nel presbiterio. Voi siete frati, io sono il ministro provinciale, o il superiore. Noi abbiamo la funzione di eleggere il papa, perciò porpora e potere di cardinali. Voi travet, ossia preti, io monsignore, prelato, vescovo. Voi vestite con il nero della tonaca, io con l’infula che contraddistingue.
E quel povero Gesù, che è venuto per servire e non per essere servito come un signore, e che si è messo a lavare i piedi (non come un rito di Giovedì Santo), non si trova a suo agio.
Paolo parla di diverse “funzioni” nella comunità cristiana: alcuni profeti, alcuni apostoli, alcuni interpreti, altri guaritori, ecc. Funzioni non prevaricazioni, quindi a servizio della comunità, anche con la dinamica che è inclusa nel carisma, ma non “valore personale atto a prevalere”.
Io teologo valgo più di questi ignorantelli. Io teologo, illuminato dallo Spirito, perché la luce si espanda. Due posizioni diverse della stessa funzione.
Molti sono i carismi, ma uno solo è lo Spirito, che li suscita.
10.06.16

Fiducia vera e sofferta

Fiducia vera e sofferta
La fiducia in Dio, Padre che veglia sempre sugli uomini (su ciascuno dei miliardi di uomini!) è l’unica fiducia basata sul sicuro. La fiducia nell’uomo è sempre condizionata dall’intima precarietà dell’uomo. Aspettare che l’uomo intervenga nelle circostanze difficili, avviene solo tra amici autentici. Ebbene, fidarci del Padre è fidarci di un amicissimo. Il suo aiuto è sicuro, il modo del suo aiuto non è sempre prevedibile.
Fiducia nel Padre, soprattutto quando tutte le porte si chiudono. Per Gesù le porte umane erano tutte serrate, e lui si trovava appeso alla croce. Anche lì, ancora fiducia: “Nelle tue mani raccomando la vita”. Era la vita in pericolo, anzi era spacciata, e la fiducia nel Padre perdurava.
Nelle tue mani!
Siamo sempre nelle sue mani, però nei momenti più bui, va rinnovato io ricordo, la coscienza di essere nelle sue mani.
Proprio quando le autorità religiose si accaniscono contro Gesù, egli si sente ancora più nelle mani di Dio. Sembra che, prigioniero degli uomini, Gesù sgusci via da loro per ricordarsi di vivere nel Padre.
Allora la cattiveria, la protervia, o l’ignoranza dell’uomo diventano più marcate, allora si sente più vicina e più sicura la vicinanza del Padre. La protervia dell’uomo o delle autorità religiose è acuta, proprio allora la fiducia nel Padre, si mostra più necessaria e più rassicurante.
La volontà benevola del Padre si presenta ancor più benevola, quando la protervia dell’uomo si acuisce. Allora la nostra povera preghiera si illumina della luce dello Spirito. Il pianto addolcisce lo spasimo, perché il pianto è preghiera che scorre lieve nella mani accoglienti del Padre.
29.03.17

L’esercizio della fiducia

L’esercizio della fiducia
La fede, che salva, ossia che rende oggi la nostra vita gioiosa e serena, e domani beata, è fiducia in Dio, nostro Padre. Fede è prima una necessità vitale, poi un’acquisizione di nuove prospettive. Ossia vita e credo.
Perciò la nostra fede è la ricerca di quelle idee e di quegli stati d’animo, che nascono nel cercare un appoggio rassicurante. Quando ci imbattiamo in una situazione o in una persona rassicurante, allora la nostra fiducia, non si estingue, ma si rafforza.
Si apprende a credere fin dal nascere, quando urge il bisogno di non essere abbandonati e ci si aggrappa, coscienti o no, a qualche “cosa” che rassicuri e plachi. La fiducia è un bisogno continuo, che viene assecondato proprio nel suo ripetersi. La vita, per continuare, si basa e si alimenta sulla fiducia. Poi da fiducia si va a nuova fiducia. Lo svolgersi della vita è un esercizio continuo di fiducia nel proprio corredo di risorse personali, e nell’appoggio della famiglia e della società.
L’incontro con Dio, quando le circostanze indicano che Lui esiste, non segue una logica e una dinamica diverse dal nostro fidarci quotidiano, e viene vissuto alimentandosi con il suo stesso esercizio. Anche nella fede a Dio, ci si deve esercitare, affinché “non venga meno la vostra fede”.
La fede e un’attività e un dono, che, esercitato, si mantiene. La “perdita della fede” è semplicemente un mancato esercizio. Se si desiste dall’attivare la fede in Dio, si allenta la fede in Dio, e o si rivolge la stessa fede ad altre fonti rassicuranti, o si giunge al suicidio. Gesù conosce il pericolo degli uomini di poca fede, lui che non sa se al suo ritorno troverà ancora fede sulla terra.
02.02.2016

Vangelo assaporato

Vangelo assaporato
Gli esperti hanno notomizzato i quattro vangeli, separando i detti autentici di Gesù, le interferenze degli evangelisti, gli apporti delle comunità primitive, gli influssi della cultura ebraica e di quella coiné, le parti spurie addirittura.
E io, per amare Gesù, devo vedere se lo amo secondo la cultura greca, secondo la teologia di Luca, secondo un brano introdotto dalla chiesa primitiva? Insomma posso amare Gesù, semplicemente secondo il Vangelo, comunque esso possa esser stato scritto sotto l’occhio amorevolmente vigile dello Spirito di Dio?
In realtà io, nel Vangelo, sento colui che agli inizi del cristianesimo, i miei antichi e primi fratelli lo hanno creduto e amato pur non avendolo visto. La molteplice critica testuale è utile, ma non amo necessariamente Gesù, secondo i testi autentici, ma secondo quello che lui è, fidandomi delle testimonianze su Gesù, recepite nei Vangeli.
La mia pietà non può basarsi sulle ricerche critiche (che ben vengano!), ma su quel Gesù, che vive all’interno dei quattro Evangeli. Fidarmi totalmente, testardamente, amorevolmente delle testimonianze evangeliche, non abbarbicarmi alle parole, ma illuminandomi allo Spirito.
I Musulmani sono tenacemente aderenti alla lettera del Corano. Per loro la salvezza, che viene dalla lettura del Corano, è fondamentale e, probabilmente, unica. La loro dedizione al Corano, alle ripetizioni delle sue sure, è commovente. È auspicabile che tale dedizione la insegnassero ai Cristiani, per la loro dedizione al Vangelo.
Che cosa avverrebbe, se essi accettassero il Vangelo? Quello che avvenne al focoso Paolo, quando incontrò Gesù.
25.02.15

L’arte dell’amore

L’arte dell’amore
Amore e perdono: una connessione inscindibile, affinché il perdono non diventi condiscendenza, e l’amore non perda mordente.
Gesù esercitò l’unione consolante tra amore e perdono, dopo la sua Risurrezione, con Pietro: tu, mi ami?
Però già prima aveva affermato la connessione tra l’amore e il perdono, proprio in casa di un fariseo, di una persona che conosceva e praticava la disciplina del peccato e della condanna. Si richiama qui l’episodio della “peccatrice” che sorprende Gesù, e gli bagna i piedi con le lacrime, li terge con i propri capelli, e bacia quei piedi di un santo.
Gesù non dice parole di assoluzione, ma costata semplicemente l’avverarsi del perdono stimolato dall’amore: chi molto ama molto viene perdonato. L’amore di noi peccatori, naturalmente si incontra con l’amore di Dio. Due amori che muovono da due sponde diverse, ma, incontrandosi, si intersecano, tanto da trasmettere il perdono dall’amore più grande, ossia dall’amore di Dio, infinitamente Amore e Amante.
La connessione tra l’amore e il perdono è strettissima: chi ama suscita il perdono, chi perdona alimenta l’amore. Anche chi è perdonato, passa spontaneamente dal perdono all’amore. Per noi, povere creature, se ci sforziamo di perdonare, cresce in noi l’amore, il perdonare, come l’essere perdonati, è sempre un’occasione dell’incremento dell’amore.
Lo sperimentiamo, se “perdoniamo di cuore” come usa dire. La rigidezza del giudicare, fomenta la durezza del cuore, l’anaffettività.
07.12.16

Grazia contro natura?

Grazia contro natura?
A un visitatore (ispettore) interno all’ordine ho fatto notare che per formare un “fraternità” conventuale, si richiede molto tempo per trovare una possibilità di intesa psicologica tra le persone, che lentamente si conoscano, apprezzino le qualità degli altri e si aprano alla reciproca confidenza.
Mi fu fatto l’obiezione: noi ci uniamo con una esigenza e con una motivazione superiore, che è la vocazione. Ci ho ripensato: la grazia di Dio (termine astratto!) quindi può “non adattarsi alla psicologia dell’uomo”. Allora perché Dio non guarda all’uomo, quando lo sceglie?
Come conseguenza: che valore riveste l’incarnazione di “Colui che nasce da donna”, come dice S. Paolo?
Io osservo con quale cura, il Padre ha preparato quell’uomo, che doveva essere uomo Dio.
Ha cominciato con scegliergli una madre. Premettiamo: Dio ha creato le persone umane, secondo il suo progetto. Egli conosceva bene le leggi dell’ereditarietà, e la scelta di quella fanciulla, Maria, fu compiuta sapendo quali influssi biologici quella fanciulla avrebbe inviato al figlio, influssi tutto personali, dato un unico DNA versato nel figlio: quel figlio dotato di una sensibilità molto fine.
Poi Dio, perché quel bambino si sviluppasse con un’educazione adeguata, gli scelse un padre “putativo”, invitandolo, in sogno, di non ripudiare Maria e, con lei, l’opera di Spirito Santo attuata in lei. Dio scelse Giuseppe così, a caso, o con una bella capacità intellettiva di scelta… capacità divina?
Oggi si formano le “fraternità” con l’oculatezza di Dio?
28.09.16

Nutriti dalla Parola

Nutriti dalla Parola

Paolo, nella lettera spedita a Timoteo, indica la necessaria dedizione di Timoteo allo studio e alla riflessione.
“Dedicati alla lettura, all’esortazione e all’insegnamento”. In altre parole, la lettura è attività importante per un vescovo. Con la base di verità, il resto dell’operare diventa ovvio, ma non preminente. La ricerca e l’amore alla verità, sono la cifra fondamentale per un’attività incisiva e piena di equità.
La prima equità va esercitata su noi stessi. Le nostre capacità e i nostri limiti, sono l’ambiente nel quale si calano le radici dell’attività. Anche la lettura, l’esortazione e l’insegnamento entrano in questi limiti di tempo e di capacità.
Forse la “lettura” deve servire proprio a quella conoscenza del figlio di Dio, e della figlia di Dio, che siamo noi.
Nella stessa lettera, Paolo scrive appunto dove sta la rifocillazione del cristiano: “Nutrito dalla belle parole della fede e della buona dottrina”. È interessante notare le due fonti: fede e dottrina. Fede attraverso la dottrina (insegnamento ricevuto dall’Apostolo), oppure due fonti parallele? Se due fonti parallele, qui troviamo un cenno alla tradizione? Quindi già da allora si tenevano presenti le parole essenziali, che sono da S. Paolo citate in altri contesti, e quanto già si formava nelle singole chiese e nelle singole liturgie.
Come nel francescanesimo si distinguono le parole “sanfrancescane” da quelle “francescane”, così già nel cristianesimo primitivo si distinguevano le parole della fede (assolute) da quelle della buona dottrina (opportune).
06.10.16

Valorizzare l’esistente

Valorizzare l’esistente

Paolo aveva deciso di annunciare Gesù risorto in una sinagoga, dove erano radunati gli Ebrei, e qualche loro simpatizzante, per pregare.
Paolo aveva chiaro il disegno di parlare di Gesù. Eppure sembra che la prenda alla larga. Infatti comincia con il narrare, a brevi linee, la storia del popolo ebraico.
Tale procedimento era una specie di documento di identità, pre-sentato al raduno, quasi a dire: vedete che io sono autenticamente dei vostri.
Però la dinamica del discorso è ben più profonda. Egli voleva mostrare agli Ebrei che Gesù era in linea con loro. Anzi, che lui dava si-gnificato e compimento alla loro storia. Gesù era l’esito logico e naturale dell’avventura ebraica.
Quasi un naturale sviluppo di tutta la storia ebraica.
Questo modo di procedere paolino può essere considerato quasi normativo.
Paolo tenta di applicarlo anche ai Greci, quando all’Areopago, parte dalla “pietà” dei pagani, per mostrare che quel loro “dio ignoto” è proprio quello di cui sta per parlare Paolo stesso.
Per lungo tempo il cristianesimo ha preso le mosse dalla situa-zione esistente, anche incorporando dalle popolazioni pagane molti e-lementi, che il cristiano vedeva o confacenti (vedi stoicismo) o non con-trari all’annuncio di Gesù.
Quando poi le conversioni furono imposte, alla prima occasione, le regioni si ribellarono. Mi pare esemplare la storia dei popoli sassoni. Carlo Magno pose i Sassoni davanti a un dilemma: o conversione al cri-stianesimo o morte. Però, con Lutero, la prima regione che si staccò dal cattolicesimo romano fu proprio la Sassonia.
Papa Francesco: attrarre, nemmeno convincere!
15.05.14

Il sorriso nei riti

Il sorriso nei riti
Quando la vita diventa rito, si intristisce.
È questa un’esperienza quotidiana. L’Eucarestia, presenza viva e vivificante di Gesù tra di noi. Gesù volle essere per sempre con noi, per alleggerire e per illuminare la nostra giornata e la nostra vita, e noi lo incateniamo dentro preghiere biascicate con toni dimessi, da ergastolani. Non un sorriso nell’incontro con il Risorto vittorioso, ma musi lunghi per paura di perdere la concentrazione.
Fosse vera concentrazione, che non si arresta alle frasi, ma che penetra nel significato esistenziale delle frasi! “Questo è il Corpo di Gesù” dice chi dona la particola. Abbiamo mai visto che alla presenza si Gesù si illumini la faccia ed esca dalla bocca un riconoscente e sorridente. “È vero!”, ossia “Amen”? Messe ridotte a rito! Dove si è cacciata la gioia del nostro incontro con il nostro vero Amore?
Stamani, alla frase del prefazio, la richiesta del testo diceva: “Esultanti proclamiamo!”. Orbene ho visto tutti i presenti a testa bassa, con un tono di voce da cataletto pronunciare l’entusiasmo dell’esprimere la grandezza di nostro Padre, biascicando il “Santo, santo, santo” come fosse un inutile rito, passato il quale, si va avanti, verso la fine della messa.
Il castigo della ritualità ripetuta, è la tristezza. Più i riti sono importanti, più il cuore si sente lontano, e le emozioni sono giudicate inutili, se non addirittura sconvenienti.
Perché le nostre chiese sono tristi schiave del rito, e attendono concerti o spettacoli, o, peggio ancora, la schiamazzata del “Risus Paschalis” per permettersi un po’ di sorriso e di allegria?
Allegria durante i riti!
06.04.17