Credere e conoscere

Credere e conoscere

Riemerge nella mente la frase pronunciata da Pietro e recensita nel Vangelo di Giovanni: “Tu hai parole di vita eterna, e noi credemmo e sappiamo che tu sei il consacrato da Dio”.

L’ordine dei due verbi non è casuale. Il credere è preposto al conoscere. Di solito noi pensiamo che la fede segue la conoscenza. Anche Paolo nota che la fede segue la conoscenza che deriva dall’annuncio.

Eppure la dicitura di Giovanni, pone la fiducia in Gesù a base del conoscere. Ma non necessariamente sempre è così. Gesù richiama la necessità di diventare bambini. Bambini non adolescenti.

Il bambino apprende dai genitori, perché naturalmente si fida di essi. Segue la loro parola e il loro esempio, fino a conformarsi, nelle famiglie davvero tali, al genitore del proprio sesso.

Tommaso si svia da questa logica: “Se non vedo, non credo”. Gesù lo rimprovera, e contrappone alla pretesa di Tommaso il “Beati quelli che, non avendo visto, crederanno”.

Il credere è “stimolato” dallo Spirito di Dio, che ferisce dolcemente il nostro vedere. La vita è base del conoscere. Alla vita “si crede” naturalmente, perché è e noi la sperimentiamo. Così è per la vita di Dio in noi.

La nostra generazione è stata aiutata e inquinata nella ragione. Aiutata dalla razionalità, inquinata dal razionalismo. Con il razionalismo il laicismo; con il laicismo la pretensione; con la pretensione l’infelicità; con l’infelicità l’odio alla vita e la nuova cultura della morte.

 

Mescolamento di popoli

Mescolamento di popoli

Le nazioni erigono muri difensivi, per evitare l’invasione.

Quando al di qua dei muri la calca si farà prorompente, quei muri potranno reggere?

La storia non insegna. Noi studiamo le invasioni dei barbari. I romani avevano eretto barriere per contenerli fuori dei confini. C’è stato anche un tentativo di integrarli, ma, purtroppo, solo nell’esercito. Ma il senso atavico del dominio prevalse. Si immaginava di sconfiggere questi popoli freschi e “prolifici”. C’era il precedente di popoli indeboliti dall’immoralità, che era stato agevole prima dominarli e poi assimilarli: Greci, Egiziani, Cartaginesi…

Ma la calca prevalse, e passarono secoli prima che si avverasse l’amalgama. È utile osservare che i più restii ad integrarsi sono proprio quei popoli, che furono tenuti, allora, più ai confini.

Le invasioni avvengono là dove si crede ci sia più spazio. È andata bene negli Stati Uniti d’America. In parte anche con l’invasione dei Tatari.

Allora si risolve la situazione non creando barriere, ma spazi.

È vero che la terra non possiede spazi infiniti, però oggi le zone abitabili o potenzialmente abitabili sono molte. E poi i profughi lasciano uno spazio per coprirne un altro: a una nuova occupazione corrisponde un nuovo vuoto, da riempire quando le condizioni miglioreranno.

Porre dighe o muri non risolve il problema di chi abbisogna di vivere. Forse è più indicato insegnare come vivere bene e in pace, in condizioni nuove, alle quali tutti devono adattarsi.

 

12.09.16

Amoe espanso

Amore espanso

Ci hanno insegnato, ed è giusto, di accordarci con Dio, per morire in grazia. Il Vangelo non ci indica soltanto di essere in regola con Dio, tra noi e lui, ma di essere in regola con il prossimo.

Ci ha messo in regola con sé, perché lui ci ama. La regola nostra con il prossimo è quella di amare. L’ordine completo che ci salva si realizza sì nell’amare Dio, ma anche, e necessariamente nell’amare il prossimo.

Dio produce la salvezza sempre, ma non solo quella dopo la morte, ma pure quella nella vita: ricevete lo Spirito Santo.

  1. Paolo insiste sul nostro essere salvi nella fede in Gesù. Gesù stesso trova che i suoi sono puri di cuore grazie alla Parola. Evidentemente, Parola accolta. Si offusca tale purificazione se cessa la fede in Gesù, o se si desiste dall’amare Gesù, presente nella sua chiesa, quella chiesa basata e santificata nella Parola e nella Cena, dove si vive l’apice della carità.

Cena, a poco a poco depotenziata, se intesa come semplice dovere, settimanale o pasquale. Non dovere, ma parte di Cristo nel tempo. Prolungamento dell’amore di Dio, nell’amore del prossimo. Gesù è presente, perché dove è carità e amore, lì c’è Dio: come si canta il Giovedì Santo.

La fede giustifica, non come attività umana, ma come adesione a Gesù, a tutto Gesù, quando parla e quando rassicura di essere con noi, e, come certezza della sua presenza, vuole che l’Eucarestia sia fatta in sua memoria. La fede salva, quando accoglie tutto Gesù, in sé, nella sua parola, nei suoi uniti in chiesa.

 

Nonostante tutto, ottimismo

Nonostante tutto, ottimismo
Una frase del Vangelo di Giovanni, ci indica un Gesù, che parte sconfitto eppure non molla.
“Gesù infatti sapeva fin dall’inizio chi erano coloro che non erano credenti e chi era il suo traditore”. (Gv 6, 64)
Sapendo questo Gesù opera egualmente, non scarta nessuno, neppure Giuda, e opera perché vede coloro che gli avrebbero creduto. E, ora risorto, vede me e voi, che ci ripromettiamo di credergli, anche all’interno delle nostre titubanze. Gesù non cede, non abbassa le armi, perché scorge il bene che egli produrrà in “coloro che il Padre mi ha dato” e non perderà nessuno di essi. Quindi è sufficiente credergli, per essere assicurati circa la nostra salvezza. Notiamo: credergli, non illuderci di credergli, quando sostituiamo la sua visione, con le nostre povere idee.
Gesù non smette la sua missione, neppure sulla croce, quando anziché lasciarsi andare, prega il Padre, affinché perdoni a quelli che non sanno ciò che stanno facendo (pensava forse ai carnefici, che mentre credevano di annientare Gesù, in realtà realizzavano la salvezza del mondo).
E Gesù non smette l’ottimismo (!) sulla croce, quando assicura il ladrone pentito in extremis.
Gesù conosce il male, e fa il bene. Anche quel bene che è rilevamento del male per quello che esso è, e lo combatte, perché cerca di convertire i malvagi al bene, alla salvezza.
Oggi molti di noi abbisognano che Gesù inietti in noi il suo ottimismo che si basa sull’amore provvidenziale di Dio, che destina Gesù non a giudicare il mondo, ma a salvare.

Unionr e unità con Cristo

Unione e unità con Gesù
Gesù, il nostro fratello Gesù, ha purificato dal peccato ogni uomo. Egli ha agito per gli uomini oppure con gli uomini? Ossia: ha buttato la sua salvezza sugli uomini, oppure si è salvato con gli uomini?
È lui consorte di tutta l’umanità. È consorte della mia giornata, della mia gioia e della mia pena. Si è assunto i peccati nostri, o si è trovato con i nostri peccati, poiché nostro fratello. I peccati miei non li ha commessi lui, ma lui si è unito ai miei peccati per superarli nella sua vita, nella sua croce e nella sua risurrezione. Il mio peccato non gli è stato caricato addosso, ma se l’è trovato in sé, quando divenne uomo. Paolo ci avverte che Dio lo fece peccato! Sì, Dio lo fece uomo.
Come uomo, inserito nell’intelaiatura umana, da noi ricevette il peccato. Ed ecco il reciproco: Dio in lui annullò il nostro peccato, e tale annullamento lo perpetuò nella sua Chiesa: “Ricevete lo Spirito Santo, ciò che perdonerete sarà perdonato, ecc.”.
Da Gesù uomo, io non mi posso più staccare, nessun uomo può staccarsi. Da qui il dono del perdono per chi accetta il proprio essere “cristico”, e il rimorso per chi lo rifiuta: anche il rimorso o “l’inquietudine” di agostiniana memoria, è dono di Dio, largito a ogni uomo, tramite l’uomo Gesù Salvatore. Gesù ha potuto esser salvatore (Lettera agli Ebrei), proprio perché uomo, in connessione con me, e con ogni altra persona.
Il mio essere morto e risorto in Gesù non è fantasia, ma necessità di natura. Alla mia povera libertà (limitata e ferita) è offerto il compito di accettare senza condizioni l’essere uno con il Cristo.

Nella diversità la verità

Nella diversità la verità
Ho udito le persone che dubitano della verità del Vangelo, perché i singoli evangelisti riproducono lo stesso avvenimento in modo diverso.
Proprio questa diversità aumenta l’oggettività dell’evento. Se i singoli evangelisti ripetessero l’evento con le stesse parole, ci sarebbe da dubitare come se essi dipendessero da un’unica agenzia inventrice.
Non c’è giornale che non riporti in modo singolo lo stesso fatto. Ognuno lo descrive a modo suo. Ciò depone per l’inconsistenza del fatto, oppure proprio per la sua verità?
I singoli evangelisti riproducono a modo loro, ciò che le singole comunità avevano recepito a modo loro dell’annuncio dei propagandisti del “Vangelo”. Proprio la loro differenza, dona un aiuto in più alla nostra fede.
Anche gli storici dell’antichità riferirono lo stesso evento in modo diversi, altrimenti non ci sarebbe la possibilità di credere allo stesso evento, raccontato da Tito Livio o da Tacito.
Arzigogolare sui Vangeli applicando schemi critici, difficilmente ci aiuta ad assaporare il Vangelo, immettendoci in esso per incontrare Gesù, il nostro Salvatore.
Il Vangelo è luce, e solamente gli occhi limpidi la vedono. Gli occhiali da sole la falsano.
Il Vangelo è luce, che, abbracciato, ci rende luminosi.
È proprio vero e sperimentato: nella tua luce, vediamo la luce. Lui è venuto affinché i ciechi vedano, e chi pretende di vedere rimanga cieco.
A noi verrà un sole dall’alto, per illuminare quelli che stanno nelle tenebre.

Figli che parlano al Padre

Figli che parlano al Padre
Nel “Padre nostro” Gesù ci viene incontro per indicare qual è il nostro atteggiamento con il Padre. L’atteggiamento è conseguenza della nostra posizione esistenziale. Siamo figli, e quindi ci atteggiamo da figli. Siamo posti, fin dall’eternità, da figli, cioè riconosciuti figli (uiothesia), perché nasciamo figli di Dio. Non nasciamo massa dannata (come purtroppo dice Agostino, per motivi polemici), che Dio redime, ma semplicemente figli che Dio “salva” (= conserva). L’ossessione del peccato ci fa concepire la salvezza come riscatto. Gesù indicava i bambini del suo tempo, in diretto contatto con il Padre: gli angeli che vedono il Padre. Si nasce figli di Dio. Il pedobattesimo non è riscatto, ma riconoscimento. Perciò l’ombra dell’eresia deve essere purgata, quando si parla del battesimo dei bambini.
Gesù santifica la preghiera, perché è la “sua”. Sua preghiera in noi che è la nostra preghiera, anzi la preghiera di Gesù nella nostra bocca. Non per nulla, ci ha insegnato come e che cosa chiedere, per pregare come lui ha pregato e prega.
Pregare in Gesù (nel suo nome) è superare la preghiera pagana (tante parole, che, tradotto in termini correnti, sono tanti rosari e tanti salmi). Imparare l’unica preghiera cristiana, che è la preghiera di figli. Rivolgerci al Padre nostro, che è “nostro” perché è anche preghiera di Gesù, sentendoci figli, ossia pregare con la confidenza e con la libertà di figli, come bene specifica la liturgia. Sapendo che il Padre nostro è nostro Padre.

L’Eucarestia poco compresa

L’Eucarestia poco compresa
Vedo un crescente triste movimento, che impone la chiusura delle chiese e l’accentrare di un’unica sede per celebrare (fare, vivere?) l’Eucarestia. L’organizzazione prevale sulla pietà e sul vissuto cristiano.
Eppure nella chiesa delle origini, perfino nei tempi in cui, in Palestina, era attivo il tempio di Gerusalemme frequentato anche dai credenti in Gesù, le famiglie (piccoli gruppi disseminati nel territorio), accoglievano persone per attuare l’Eucarestia. Un solo luogo per l’ufficialità, molti luoghi sparsi nel territorio per vivere Gesù Risorto e Salvatore.
Con il tempo queste case sono diventate “titoli”, che poi si trasformarono in chiese o basiliche. Gli ordini religiosi erigevano le loro chiese (numerose) per vivere nelle “comunità” (famiglie) l’Eucarestia. Attorno a queste chiese religiose si raccoglievano le persone, che sentivano un’attrazione per la spiritualità dei religiosi.
Così ritornava, con modalità e con proporzioni nuove, l’Eucarestia domestica. Perché la presente lotta contro le realtà delle “famiglie” religiose, per far prevalere una organizzazione accentratrice? Dominio? Poco senso della storia? Scarsità di percezione per le scelte spirituali delle “pecore”?
Il papa ricorda l’odore delle pecore, sembra però che alcuni impongano i profumi delle cattedrali. Corre il pericolo che si estingua la pietà, per esaltare la massa. La grande assemblea anonima, contro la liturgia domestica. L’accentramento (unità pastorale?) contro la condivisione dell’Eucarestia.

Perdono facile

Perdono facile
Taluni, dopo il ravvedimento per le colpe o per i peccati commessi nel passato, continuano a torturarsi, quasi ignorando se il Signore li aveva “davvero” perdonati, o se il loro pentimento è di tale fattura da meritare il perdono di Dio.
Un episodio del Vangelo di Luca e uno riportato nel Vangelo di Giovanni sono dimenticati da chi si tortura per il male commesso. Di corsa, ricordo che il tormento può essere causato da alcuni fattori. Uno: sono veramente pentito e la confessione mi ha liberato? L’altro: continuo a convincermi che ciò che ho fatto non va ricordato, sebbene emerge spesso e io non mi pento, ma mi sforzo di convincermi che non era un male autentico.
Il primo episodio è di una semplicità stupenda: “Signore, ricordati di me, quando sarai nel tuo regno”. “Oggi sarai con me nel Paradiso”. Una speditezza stupenda: chiedi perdono e ti capita subito il Paradiso! Il pentimento semplice donato a Gesù, introduce subito nella gloria di Dio.
D’altro canto, ecco l’adultera sul punto di essere lapidata. “Io non ti condanno; però non peccare più”. Dove la sicurezza del perdono si aggancia non a ulteriori pentimenti, ma alla novità del comportamento.
È facile essere perdonati da Dio. Quel Dio che legge nel cuore del ladrone pentito, e nell’angoscia della donna condannata a morte. Quel Dio che non è sadico, tanto da godere del maciullarsi psichico degli erranti, ma vede in loro il bisogno di purificazione e di pace.

Abitare la terra

Abitare la terra
Crescete, moltiplicatevi, e popolate la terra.
Perciò è nella volontà di Dio che la terra sia occupata dagli “uomini che crescono”. Il popolo italiano diminuisce, sta trascurando l’indicazione di Dio. In compenso gli Arabi in Italia crescono. Siccome “il bel suolo italiano” deve essere popolato, il fenomeno della crescita e del popolamento, che deve obbedire a Dio, è attuato dai musulmani.
È tragicamente ridicolo il politico (forse forse si fregia del titolo di “politico”) che difende la decrescita degli Italiani (aborto, eutanasia, divorzio) e pretende di impedire l’entrata degli stranieri, che automaticamente diventano italiani (le leggi arrivano sempre in ritardo), per il solo fatto che vivono nell’Italia. Il comando di popolare il mondo è più importante dell’indicazione di chi deve popolare questo mondo fino a che esso esisterà.
La storia ce lo dice chiaramente. L’impero romano decadente (perché “troppo civile”) e agonizzante (perché incosciente dei destini storici), voleva respingere le forze fresche, sebbene ancora tumultuose, dei “barbari”, per mantenere l’ordine romano in piedi. Ed ecco noi qui, discendenti di quei barbari. Quei barbari sembrano aver concluso il loro compito di “popolo italiano ed europeo” e fanno largamente e inconsciamente posto ai nuovi “barbari”. L’unico desiderio che questi nuovi non imitino gli Unni, ma entrino ordinatamente, sebbene frange loro vorrebbero ripetere le distruzioni degli Unni o dei Vandali: il terrorismo che distrugge per sostituire e insediarsi.