Il tempo

Il tempo
Il tempo per qualche cultura è un mostro che ingoia tutto per distruggerlo.
La storia lo ricupera anche come maestro di vita.
La psicologia lo legge nella dinamica del presente.
Alcuni non osano definirlo, perché sfugge ogni momento a qualsiasi definizione.
La Rivelazione ci presenta Dio e Gesù, come signori degli anni, del tempo, dei secoli. Richiamiamo i riti del Sabato Santo.
La Rivelazione cristiana ci assicura che il tempo non si scioglie con il passare delle ore, ma esso è “archiviato” presso Dio, e là lo ritroveremo dopo la morte e la risurrezione.
Nulla della nostra povera vita è insignificante, perché il Padre ci segue ogni momento. Ogni nostra azione per lui è significativa. Anche quando noi non siamo coscienti, la nostra vita ha un significato per Dio, in Dio, significato che non si estingue.
Il nostro tempo, come vuole il filosofo, è lo stesso nostro essere (Sein und Zeit). Eppure, nel cuore di Dio, il nostro tempo ha un valore che non è limitato “nel tempo”.
È consolante che nulla di noi è insignificante per Dio. Gesù stesso, nella parabola del giudizio finale, richiama il tempo a testimonianza del bene attuato e del male commesso.
L’Apostolo ci invita a “redimere il tempo”, perché incombono giorni cattivi.
È bello essere convinti che nulla di quanto compiamo nel tempo è privo di riconoscenza a Dio. Sia che mangiate sia che beviate, fatelo nel nome del Signore.

Distruzione e risurrezione

Distruzione e risurrezione

Gesù ci indica di fidarci di Lui in ogni circostanza, anche nelle circostanze tragiche, quando abbiamo la chiara impressione che tutto sta rovinando.
Egli ci ricorda situazioni estreme di guerre, distruzioni, terremoti. Ci ricorda questi eventi spesso irreparabili, per esortare alla fine: “Alzate il capo, perché la vostra liberazione è prossima”.
Non si tratta quindi di fare lo struzzo, nelle vicende dolorose o catastrofiche, ma di “guardare oltre”, ossia di alzare il capo.
Anche la fuga può essere indicata: “fuggite in altra città”. Però deve dominare la speranza: alzare il capo.
Al crollare di ciò che ci rassicurava, nasce naturalmente l’ansia, e con essa la depressione e anche la disperazione. Gesù, che ci ama davvero, non è solo il rifugio e il consolatore, ma anche lo stimolatore: “Alzate il capo!”. Non vi fermate su quanto avete perduto, non fermatevi troppo a leccarvi le ferite (anche cercando compassione nell’amico o nello psicologo), ma alzate la testa, drizzatevi e scrutate oltre.
Gesù, per sé e per tutti, ha indicato il rimedio della risurrezione, durante la quale ci si rizza e si canta. Lo sfondo ultimo della vita in Gesù, non è la tomba, ma nel sapere che gli angeli rovesciarono la lapide della tomba: “Non è qui: è risorto”.
Non per nulla l’Apostolo ci ricorda: “Siete risorti e la vostra vita è nascosta in Cristo”.

Il Padre attira

Il Padre attira

Nessuno può venire da me, se il Padre non gli è dato dal Padre.

Noi crediamo e ci affidiamo a Gesù. Ebbene, questa confidenza è un dono del Padre. I nostri “sforzi” per alimentare la nostra misera fede, non sono in grado di avvicinarci a Gesù, se il Padre non attira.

L’amore del Padre verso il Figlio è tale, che vuole unire al proprio amore, anche l’amore di tutti i suoi figli verso il Figlio.

Perché il Padre ci tiene tanto al Figlio? Non è semplice rispondere, se non crediamo all’amore intrinseco della Trinità. In questo dolcissimo vortice interno a Dio, anche noi siamo invitati e accolti dal Padre.

Lasciarci attirare dal Padre verso il Figlio è vita eterna, oggi sperimentata, sebbene soltanto in modo incipiente, nell’attesa della “soluzione” definitiva alla “fine”, che è il vero inizio.

Perderci in Gesù, perché il Padre lo vuole e lo attua, coincide con il compiere la volontà di Dio. Quella volontà, appunto, che si fa in terra come in cielo.

Ci hanno insegnato di esclamare di far la volontà di Dio, quando ci capita un mattone sulla testa. Purtroppo hanno dimenticato che la prima volontà di Dio è il godimento di appartenere a Gesù. Il Verbo si è incarnato per questo: Gesù che appartiene all’umanità, affinché in lui l’umanità prenda gioiosa coscienza di appartenere al Padre.

Il Padre ci attira a Gesù; Gesù ci attira al Padre.

 

La posizione del credente

La posizione del credente
Molte volte (troppe nella mia vita) ho udito le persone, che si reputano lungimiranti e superiori, la quali sentenziano che le religioni, cristiana compresa!, sono uguali.
Mi sembra quasi inutile ripetere che il cristianesimo non è la “vera” religione (come si studiava un tempo) che si oppone alle altre religioni, quindi false, ma è una realtà costitutivamente unica.
Avvicinare persone di altre credenze è umanamente corretto e umanamente positivo; ma ciò non può comportare un giudizio sbrigativo e superficiale sulle “religioni” tout court.
Gesù, stimava e trattava con persone di varia religione: accostava ebrei e samaritani, farisei e greci (ossia idolatri). Da Gesù, noi suoi fedeli, impariamo ad avvicinare e a stimare tutti, come Gesù stimava il “buon” samaritano. Gesù intrecciava un dialogo con tutti.
Sì, ma …
Gesù non approvava tutto e tutti. Ricordiamo gli scontri con gli scribi.
Eppure la sua posizione è limpida, così come è espressa da Giovanni nel riferire il dialogo di Gesù con la Samaritana.
“Credimi, donna, viene un’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre … i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: infatti il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e coloro che lo adorano, in spirito e verità devono adorarlo” (Gv 4, 21-24). Dalle religioni umane, alla partecipazione di Dio.

Paura e amore

Paura e amore
“Signore, allontanati da me, che sono peccatore”: esclamò Pietro.
“Sono venuto per i peccatori”: affermò Gesù.
A chi dei due dare ragione?
A Pietro, che agiva sinceramente, secondo la sua coscienza di uomo religioso?
A Gesù, che agiva per incarico di Dio?
La religiosità, sicuramente sincera, di Pietro, lo allontanava da quel grande profeta, che era Gesù. L’amore immenso di Dio, immisurabile, reale e misterioso, avvicinava il Padre alla creatura, che è davvero sua fin dalla nascita.
La religione discosta da Dio. La fede accosta Dio all’uomo. La religione teme Dio e il sacro. La fede accoglie e abbraccia Dio, con affetto di figli.
Osservo purtroppo quanta infiltrazione di sacralità religiosa ha corrotto la facilità amorosa della fede.
Nella fede di molti credenti ha più valore una religione apotropaica, che non l’amorevolezza dei figli.
Perfino in quello squisito dono divino dei sacramenti, troviamo strisce tristi di venature di religione terrorizzante.
Vangelo e sacramenti (traduzione pratica del Vangelo) sono espressioni del dono di Dio, e molti trascurano il Vangelo e rifuggono, per paura del sacrilegio, dai sacramenti. Per grazia, il Padre conosce i nostri cuori!

Eucarestia e trasformazione

Eucarestia e trasformazione
Ciò che Dio accosta, trasforma nello stesso dono che Dio elargisce. Perciò la Madonna graziata è trasformata in “piena di grazia”.
Gesù, nel suo amore lungimirante, ha voluto offrirsi a noi, non solo nella sua vita (sono cibo di vita, tanto che chi mangia di me, vivrà di me), ma per sempre.
È la bellezza dell’Eucarestia. Anche Manzoni l’aveva intuito, scrivendo sull’Eucarestia: “Confuso il tuo col mio, t’offro il tuo stesso cuor”.
L’Eucarestia quotidiana nutre e trasforma. La ricezione dell’Eucarestia (Corpo e Sangue dello stesso Cristo!) non è soltanto un’accoglienza del “divino ospite” (come si leggeva nei libri devozionali), ma è l’unione di due offerte. Gesù si offre per averci, noi ci offriamo per averlo.
Però questo “avere” è lontano dal senso di possesso, perché esso è profonda partecipazione nell’essere.
Questa profonda totalità, non ha nulla del devozionismo, o della pratica di un’azione. Ho sempre presente l’indicazione delle promesse per lucrare un’indulgenza. Per lucrare l’indulgenza del due Novembre, era prescritta una visita alla chiesa, dopo essersi confessati, comunicati, e dopo aver recitato qualche preghiera.
L’Eucarestia, il dono di Gesù stesso, diventava un prerequisito per lucrare il dono di “qualche beneficio o grazia”.
La trasformazione vitale dell’Eucarestia, sembrava non avesse avuto valore in sé.
La nostra Eucarestia quotidiana ci trasforma in Gesù.

Il dono del Padre

Il dono del Padre
Uno dei più generosi doni, che il Padre ci ha elargito, è la preghiera di Gesù, riportata nel Vangelo di Giovanni, al capitolo 17.
È una preghiera che ogni volta che la incontriamo fa stringere il cuore di gioia. Non vorrei che molti cristiani la evitassero per non morire letteralmente di gioia.
È una struggente preghiera di Gesù. Eppure, poiché noi siamo uno con Gesù, è di diritto una preghiera nostra.
Quindi preghiera cristica e preghiera cristiana.
Essa è sublime, e noi, ingolfati nella nostra ovvia piccolezza, temiamo che non si addica a noi. Però Gesù stesso ci ha compiegati in quella stessa sua preghiera.
Purtroppo tra le preghiere quotidiane suggerite dai manualini di pietà, messi nelle mani dei “credenti”, questa sublime e profonda preghiera non compare mai.
Forse quella preghiera, profumata di infinito, temiamo di lordarla con le nostre mani. Proprio come temiamo di corrompere l’Eucarestia con la nostra vita di peccatori.
La preghiera di Gesù è la prima preghiera cristiana, vissuta dal nostro “capocordata”.
È vero che quando iniziamo a rendere nostra quella preghiera di Gesù, ci prende la vertigine dell’abisso.
“Padre, è giunta l’ora”. È un introdurci nella sconfinatezza dell’oltre. Eppure in quell’oltre il Padre ci abbraccia con amore.

La grande mostra

La grande mostra

Sono organizzate bellissime mostre di autori celebri: pitture, architetture. E poi concerti, e concorsi, e singoli pittori. Tutto bello, e tutto costoso per organizzatori e visitatori o comunque partecipanti.

Io ho la possibilità quotidiana di vedere le meraviglie di un grande autore. Gratuitamente, come gratuitamente è stata allestita questa grandiosa mostra: la natura.

Il sole, il verde, i colori, le strutture, i sapori, ecc. di questa offerta da godere come e quando si vuole.

Ha un solo grande difetto: essa è troppo facilmente accessibile, e come ogni cosa donata, perde valore proprio perché donata. Un po’ come Gesù, il quale è donato, e perciò molti lo trascurano, e si rivolgono a cose di molto meno valore, come la magia, ma che vale, perché il mago si fa pagare.

La grande mostra, allestita dal Creatore, e che è semplicemente l’universo, della quale non ci accorgiamo.

Le ferie sono occasione per immergerci nel contemplare questa sublime opera artistica e anche scientifica. Però per troppe persone le ferie valgono per la balera o per le notti bianche, ossia per le notti non notti.

Il Padre, quando ci sentiamo uniti a lui, ci educa a godere del suo capolavoro. La scuola laica, deve insegnare l’alfabeto e i numeri, e trascura l’insegnamento a godere dell’opera di Dio. Sembra che la laicità, spesso sfociante nel laicismo, sia l’apice dell’intelligenza umana, perché rifiuta di riconoscere l’autore del mondo, grazie al quale Dio aiuta e ama anche i laici.

Far respirare il bambino

Far respirare il bambino
Gesù ci avverte di non porre ostacoli ai bambini, perché i loro angeli vedono la faccia del Padre: i bambini sono al contatto diretto con il Padre. Tutti i bambini in Europa, in Asia, in Africa, in America. Il contatto naturale e spontaneo tra bambino e Dio avviene ovunque. Sarà poi la cultura o l’educazione a ostacolare quel contatto basilare, naturale.
E che dire del nostro personale bambino? Anch’io bambino avevo il mio angelo che guardava il Padre. Di quel bambino che cosa resta ancora in me?
La scienza mi indica che l’infanzia lascia tracce dinamiche nella vita degli adulti e dei vecchi. Questi risvegliano il bambino, che giace in loro. Rimbambire non è un verbo dispregiativo. È Provvidenza.
Il bambino, che è vivace, sebbene nascosto, in me, è continua invocazione al Padre. Zittire la sua voce comporta lo zittire il cuore.
Noi soffochiamo questo bambino grazie alla nostra sottomissione a Cartesio o a qualche altro come lui. Essi ci hanno indicato a uccidere il bambino con la nostra razionalità.
Però la poesia e la fede ci salvano da questa catastrofe.
Già la poesia sfora la razionalità, e gode oltre di essa. E la fede sforza anche la poesia, per incontrarci con l’Infinito, con Dio.
Grazie al bambino che vibra in noi, siamo ancora capaci di commuoverci al contatto con il Padre. Commozione attuata quotidianamente anche dall’Eucarestia.

Tutto va in gloria

Tutto va in gloria
“Sia che mangiate, sia che beviate o qualsiasi cosa facciate, fate tutto per la gloria di Dio” (1 Cor 10, 31). Sono queste parole suggerite dallo Spirito per la chiesa. È consolante esser convinti che nella vita del credente non esistono parentesi vuote, inutili, fuori dell’ambiente di quel Padre che ama.
Il contesto, in cui Paolo scrisse il brano presente, era per rassicurare i Corinzi, affinché non si lasciassero turbare con indicazioni di tabù. Per lui, nel credente, non esistono momenti atei. Questo è consolante per quei credenti che temono l’insignificanza della loro vita, se non è volutamente indirizzata a conseguire scopi precisi. È importante che tutto avvenga per la gloria di Dio. E, siccome la gloria di Dio è l’uomo vivente, quello che si fa per la vita, lo si fa per la gloria di Dio: il mangiare, il bere, il dormire, il respirare.
Il credente non trascorre momenti inutili, né da giovane né da vecchio.
Quando eravamo bambini ci insegnavano, durante le preghiere del mattino, di consacrare a Dio la nostra giornata. La liturgia spesso ci invita a offrire la giornata a Dio. Oggi sappiamo che tutta la nostra vita è gloria di Dio e che è opportuno ricordarci questa verità, per far sbocciare il nostro sorriso e la nostra serenità.
Credo non sia disdicevole il ricordarci che quando ci prepariamo la colazione, o quando la cuoca prepara il pranzo, questo è allestire motivi per fare tutto per la gloria di Dio.