Attesa e comforto

Attesa e conforto

Si sa che l’attesa logora più di una cattiva notizia. Per sostenere la sospensione è necessario continuare a implorare energia da quello Spirito, che è l’energia di Dio, la forza dell’amore.

Affidarci allo Spirito non cancella l’ansia, ma aiuta a elaborarla, e, in quanto è sofferenza, a sublimarla.

Cominciò a provare tristezza e angoscia. E disse loro: Triste è il mio spirito fino a morirne: rimanete qui e vegliate con me (Mt 26, 38). La vicinanza di un altro nei momenti angosciosi era stato un desiderio, non appagato, di Gesù sofferente. La vicinanza di una persona che comprenda, una stessa persona che di solito rassicura gli altri, ma che ora abbisogna di essere a sua volta rassicurata. Il sollievo, spesso, non può venire da dentro di noi, ma da chi riesce a star vicino senza ansia, senza neppure l’ansia che sorge in  chi tenta di rassicurare. Vicinanza pura, ma cordiale.

Allora, se qualcuno intuisce l’ambascia, sa che non si può impedire l’ambascia, ma soltanto accompagnarla, meglio se in silenzio. Gli apostoli presenti alla sofferenza di Gesù, non seppero sostenere il “loro maestro”. Allora interviene quell’amico sincero che è Dio. “Gli apparve un angelo dal cielo a confortarlo” (Lc 22, 43). Dio non si pone lontano dalle nostre angosce. In quanto Padre, sente di dover intervenire. E quante volte è intervenuto silenziosamente, senza che noi ce ne accorgessimo. Dio non ci abbandona, soprattutto quando noi ci abbandoniamo a lui. Certamente al nostro bisogno di avvertire subito l’aiuto, non è risposta immediatamente sentita. Ma lui lo fa.

 

Gesù libero

Gesù libero

Quando noi abbiamo scoperto che Gesù ci ha liberati da una religione del dovere (Legge o canoni) a una fede dell’amore e della libertà, il nostro cuore si è dilatato e anche il nostro parlare con gli altri è diventato sereno e pacificante.

Si continua a incontrare persone, educate dal catechismo per bambini, che anche da adulti portano la sofferenza di leggi imposte.

Non sono ancora passate dal “il cristiano deve fare” al “figlio di Dio è tuffato nell’amore”. Abbandonano la chiesa non perché trovano in essa l’amore di Dio, ma una Legge che costringe e soffoca.

Se oggi Paolo fosse tra di noi, sarebbe costretto a riscrivere la lettera ai Galati.

Il cristianesimo non è un cumulo di prescrizioni, ma un dono di libertà e di speranza per giungere alla libertà totale, dopo aver sperimentato la libertà della grazia.

Gesù resta sempre il nostro modello vivente. Egli non si atteneva a leggi repressive umane (anche Mosè era un uomo), ma quando doveva operare a beneficio delle persone, trascurava (se ne infischiava?) le prescrizioni legali. La sua risposta a coloro che lo redarguivano per aver guarito (lavorato!) in giorno di riposo, fu: “Il Padre opera sempre, e anch’io opero”. Il suo riferimento non era la Legge, ma la persona di Dio. Da lui abbiamo appreso a riferirci alla “persona di Cristo”.

 

Il correttore

Il correttore

Frequentemente tra le e-mail, che ricevo, trovo l’annuncio che Muslim, Ebrei e Cristiani si associano per favorire qualche beneficio sociale.

Si unisono al livello di religione, pur non potendo i cristiani svestirsi della fede. E quando, nella storia, hanno fatto prevalere la religione, abbiamo avuto le Crociate con l’emblema “Dio lo vuole”, emblema che compete con lo Jahveh potente degli Ebrei, o con l’”Allah akbar” dei terroristi islamici. Tutti “Dio che produce morte!”. Un Dio che non è quello di Gesù: il Padre che ama tutti e provvede alla salvezza di ogni uomo, suo figlio.

Le religioni possono incitare alla morte, perché sono creazione umana, quella che placa Dio con sacrifici; la fede è vita di Dio donata per la vita.

Qui si presenta una domanda, che spesso mi rivolgo: i salmi sono bellissimi frutti della religione, con il contorno di “puniscili, annientali, uccidili!”. Perché essi sono “comandati” ai cristiani affinché li recitino nella “preghiera ufficiale della chiesa”?

Recitando “coscientemente” i salmi non pensando ad altro (troppo spesso sono soltanto recitati), si è in armonia con l’organizzazione religiosa, e anche con la fede di Gesù?

È vero che chi si abitua al Vangelo, sente nascere in sé un correttore interno che dice: “Attenzione: ciò che pronunci è stato superato da Gesù!”. E allora il salmo, anche con le sue crudeltà, può diventare, come dice Paolo, pedagogo a Cristo. Ma è necessario fermarsi sul pedagogo?

 

Suicida di altri

Suicida di altri

Si sta discutendo in questi giorni sul suicidio assistito. La posizione di Gesù, per la propria vita e per la vita di ogni persona, è quella di affidarsi al Padre, perché la vita è partecipazione alla vita divina, non un’invenzione dell’uomo.

Dio crea la vita di ciascuna persona, che per statuto eterno è programmata da Dio, anche quando si serve del miracolo del coito umano per manifestarla.

Alcuni affermano che l’uomo può privarsi della vita, quando essa non è più (letteralmente!) dignitosa. Però la dignità non sta nelle cose. Il giorno è dignitoso e la notte no? La pioggia non è dignitosa e il sole invece sì? La salute è dignitosa e la malattia no?

È da come la persona vive le cose che in essa comunica dignità. La malattia vissuta con serenità e con convinzione retta è dignitosa quanto la salute vissuta con serenità. È come noi viviamo le realtà, che esse si colorano del nostro sentimento e del nostro pensiero.

La malattia è dignitosa, se noi sappiamo essere e fare bene gli ammalati. Mi desta compassione la pretesa dell’ammalato che rifiuta i parametri fisici e psichici della malattia.

Suicidio assistito, si va dicendo: assistito da chi? Da un medico.

Il medico è a servizio della vita.

C’è anche il Dr Mengele che uccide, da autentico assassino. Ho incontrato anche medici suicidi. Ma un medico che diventi “suicida di altre persone” mi sembra un po’ strano. Eppure egli è semplicemente un omicida: purtroppo suicida di altri.

 

Sono la serva del Signore

Sono la serva del Signore

La nostra salvezza si inizia con una maternità.

Maria è richiesta da Dio, di aprire al mondo la realizzazione della misericordia totale: il dono di Dio. Dio dona se stesso a noi per recuperarci a sé.

La maternità della donna è un regalo di Dio. Il ringraziamento per il dono di Dio, avviene attraverso il dono della maternità: avvenga di me secondo la tua parola.

Il contrasto lo troviamo nel primo peccato che si inizia da una donna, Eva.

Ogni maternità è una purificazione: partorirai con dolore. Eppure Dio per salvarci attraversa il corpo di una donna. Evidentemente soltanto la donna può offrire a Dio la maternità, necessaria a Dio per sfoderare la pienezza del suo amore e della sua misericordia.

In Maria si incontrano la scelta di Dio per l’uomo, e la scelta dell’uomo per incontrare Dio.

La diffusa devozione a Maria, anche dai non praticanti, non è solo il bisogno dell’eterno femmineo nel cuore umano, ma un’attrattiva divina alla salvezza. Si dice: attraverso Maria, il Padre raggiunge la creatura.

Maria stessa aveva percepito, che attraverso di lei, l’umanità poteva sperare: mi dichiareranno beata tutte le generazioni.

Benedetta tu fra le donne.

L’ammirazione per questa benedetta, facilmente apre il cuore all’amore. L’ammirare è un sentimento molto affine all’amore. Già la lode è un inizio di amore.

Anche per noi il celebrare la solennità di Maria, non è una semplice e fredda pratica, ma è una spinta ad entrare nel mistero di Maria, per incontrarci, in lei, con mistero di Gesù e del Padre.

 

Annunciare

Annunciare

Mi diceva una persona che lei non confessava Gesù a parole, ma solamente con il comportamento.

Gesù aveva detto: “Vedano le vostre opere buone, e rendano gloria al Padre”. Eppure aveva notato, in modo chiaro, l’ambivalenza delle opere stesse.

“Anche i peccatori fanno lo stesso”, “Anche i pubblicani fanno lo stesso”, “Anche i gentili fanno lo stesso” (Mt 5, 46-47).

Anche gli atei sono onesti, anche i musulmani pregano, anche gli zen amano il prossimo.

Affinché gli altri vedano le vostre opere buone, in quanto conseguenza della fede in Gesù, devono recare il timbro di Gesù, timbro che deve emergere dall’opera stessa.

Può darsi che il fermarsi alle sole opere, si riduca a un rifiuto di evangelizzare o di catechizzare. Può diventare una scusa per non parlare di Gesù o del Padre.

Gesù non è una mamma, che al figlio che si reca a scuola dice: “Ti raccomando, comportati bene!”. Egli non dice ai suoi: “Andate e predicate, ammaestrando…”. L’annuncio caratterizza, non una religione (che Gesù non ha fondato), ma una fede.

La comunità cristiana è una comunità di fede, non un club di benpensanti.

La fede è quella del Verbo; vocabolo che, vedi caso, indica parola.

I martiri sono quelli che hanno “confessato”, ossia hanno manifestato apertamente la loro appartenenza a Gesù.

 

Le fini

Le fini

Si festeggia la fine d’anno, probabilmente per dimenticare che finisce e non ritorna più: tristezza orpellata.

Di contro, si canta il Te Deum per ricordare la presenza benefica del Padre nell’averci accompagnato ed aiutato durante l’anno.

Sullo sfondo, comunque, si staglia la “fine”.

Per il credente è sempre ricordata una fine, vinta da una “necessaria” risurrezione. Gesù fine e principio.

La storia, secondo la sua prospettiva tecnica, ci presenta fini che sono state tragedie culturali e statali, e sulle ceneri della tragedia la nascita di nuove realtà.

La Grecia divorata da Roma, per dominare culturalmente la sua divoratrice. L’impero romano, invaso da quei barbari, che, grazie anche all’influsso della Chiesa irrorata di Risurrezione, creano – loro barbari! – una nuova civiltà Ora tocca all’Italia depauperata dalla denatalità. È triste e lampante il fenomeno delle giovani donne italiane, che si privano della più bella dote: la capacità di creare vite. Si esaltano nel creare cose morte: eserciti, costruzioni, perfino arte. Tutte opere prive di vita, come riconobbe Michelangelo, che pretendeva vivessero le sue statue.

Gli italiani non rammentano il destino di Sibari: nel pieno tripudio di una festa, annientata dai Romani.

Denatalità tripudiante, povera Italia! Il tuo declino è progettato da coloro che si dicono italiani: “Godi, fanciullo… ma la tua festa, ch’anco tardi a venir, non ti sia grave”.

 

Legge e libertà

Legge e libertà

Leggendo a cuore aperto l’episodio del paralitico guarito a Gerusalemme, da Gesù, trovo la lode della libertà.

Per i custodi della legalità, la grazia, il dono della guarigione, non è poi una cosa molto importante.

Gesù libera il paralitico dalla malattia: “Alzati” è comando che guarisce la persona; “Prendi la tua brandina” è superamento della legge rigida del riposo sabatico.

Per Gesù (e per noi con Gesù) l’uomo è un valore fisso, le leggi sono naturalmente applicabili o trascurabili. Se aiutano l’uomo e la società, ben vengano: anche Gesù al miracolato indica di recarsi all’allora ufficiale sanitario, che era il sacerdote del tempio. Se non aiutano oppure ostacolano l’autentica vita e la pace dell’uomo, è bene non badarci.

Evidentemente questo vale per tutte le leggi, anche per quelle imposte da qualsiasi autorità religiosa: Gesù, in diverse occasioni, ci ha impartito l’esempio.

Una legge può nuocere l’uomo, anche quando è causa di inconcepibile tormento psichico, come è il caso dei cosiddetti scrupoli.

La liberazione prodotta da Gesù non è un lento processo, ma una realtà subitanea. Nell’episodio citato leggiamo: “E immediatamente l’uomo ottenne la salute” (Gv 5, 9).

Questa immediatezza la troviamo frequentemente nell’intervento di Gesù: “Ti sono perdonati i tuoi peccati”, “Alzati e cammina”. Non invece con il cieco nato, al quale viene richiesta la collaborazione: “Va a lavarti”.

In ogni caso Gesù salva sempre.

 

Proiezione o scoperta?

Proiezione o scoperta?

Una persona mi ha chiesto se i miei “abbaini” ( quelli che io pubblico) sulla tenerezza di Dio è di tipo proiettivo. Non so che senso avesse per quella persona il termine proiettivo. Io lo sento e considero secondo le categorie della mia professione.

Per me il fenomeno proiettivo avviene se io proietto sull’altra persona una “immagine” mia, la quale vede nell’altro non quello che lui è, ma quello che io immagino lui sia.

È il classico caso di chi si alza, il mattino, con il piede sbagliato, ne resta irritato e scorge negli altri solo musi lunghi e possibili o nemici o fastidi: è il dire che ha la luna per traverso.

Quando la proiezione è rivolta verso Dio, creiamo di lui un’immagine che spesso non s’addice a Dio. Già i latini dicevano che “timor fecit deos” e le innumerevoli idolatrie creano gli dei dell’Olimpo, le mitologie di tutti i popoli.

Proprio per aiutare a vincere le nostre povere fantasie su Dio, Dio stesso rompe gli indugi e si mostra per quello che è “rivelandosi” in Gesù incarnato. Gesù non è una nostra proiezione, ma la realtà di Dio, quello che noi troviamo semplicemente nel Vangelo, quel Vangelo che neppure i “pii cristiani” conoscono almeno un po’.

Invece parlare della tenerezza di Dio, è l’accorgerci di questa dotazione “oggettiva” di Dio.

Dio ci ha creati uomini incompleti e desiderosi. Il desiderio ci fa scoprire (non proiettare) in Dio Infinito, quel “lato” del quale avevamo bisogno.

Non è proiezione, ma il realizzarsi ancora una volta delle parole di Agostino: “Ci hai creati rivolti a te, Signore, e il nostro cuore non si placa finché non arriva a te”.

 

Gesù ci parla

Gesù ci parla

Gesù si manifesta. Manifestando sè stesso, manifesta il Padre, rompendo la parete del mistero, infrangendone le oscurità che l’uomo ha condensato.

Oltre la manifestazione del suo operare (“credete almeno ai fatti!”), egli ama manifestarsi nel parlare.

Mi sembra che la sua parola si esplichi diversamente almeno in tre situazioni.

Gesù parla a “loro”, a tutti, spesso adoperando il linguaggio parabolico.

Gesù parla, nel privato, ai suoi, che egli istruisce in modo sempre più intimo fino alla profondità (altezza?) del discorso dell’ultima cena. Ivi il parlare è condito di enorme dolcezza e di luce soave.

Gesù parla davanti agli avversari, contrattaccandoli. Spesso in questo parlare polemico, escono parole di rivelazione dense, sublimi. È sufficiente scorrere anche superficialmente il Vangelo di Giovanni per costatarlo.

Comunque parli Gesù, deve trovare in noi scolari attenti, di quell’attenzione che è sorretta dallo Spirito Santo.

Eppure qualche cosa d’altro apprendiamo da Gesù, quando lasciamo che il Vangelo penetri in noi, nella sua chiesa. Il Vangelo è seme sparso in terra. Nella terra fermenta e si sviluppa. Nella nostra adesione semplice alla sua parola (senza se e senza ma), la Parola cresce in noi, se siamo disponibili, ora il trenta, ora il sessanta, ora il cento per uno.

È sempre luminosa la frase di S. Gregorio: la Scrittura cresce in chi la legge.

Il Vangelo non è verità conclusa, ma stimolo aperto al quotidiano.