Cammino chiaro

Cammino chiaro
Gesù invita a imboccare la porta stretta.
È invito a una vita penitente? È un implicito invito a non entrare? È una semplice indicazione di una situazione reale?
Certamente l’esito della porta stretta è entrare nella sua vita, mentre la porta larga, conduce alla dispersione.
Stretta, perché?
Anche perché indica un cammino ben orientato, mentre la porta slargata non sostiene i fianchi.
In che cosa consiste questa porta ristretta? Può darsi che noi ci sia già entrati, perché Gesù non è per l’aggiunta di sacrifici, come non voleva i suoi costretti al digiuno fuori tempo: “Sarà tolto lo sposo e allora digiuneranno”:
È un invito chiaro da non prendere alla leggera.
Questo invito l’evangelista Luca, lo pone in un contesto, che ci può orientare.
Gesù stava compiendo l’ultimo cammino verso Gerusalemme, dove avrebbe subito torture e morte. Quindi stava vivendo nella sua persona, la strettoia della prossima sofferenza. Stava sicuramente parlando di sé.
La frase è una risposta a un tale che gli chiese: “Sono pochi quelli che si salvano?”. Gesù indica di tenersi lontani dai molti, dalla massa, che non è interessata alla salvezza. La salvezza non è un regalo, da godere alla leggera. È un dono di Dio, e un impegno umano. Impegno personale, perché non è sufficiente un contatto superficiale (abbiamo udito la parola, o “incontrato te di passaggio”).
La porta stretta non è un corredo di sacrifici, ma una convinta sequela di Gesù.

Accogliere Gesù

Accogliere Gesù
Rifiutare Gesù è difficile, accoglierlo è ancora più difficile. Perché?
Ce lo indicano i Vangeli in diversi episodi. In Giovanni troviamo la gente che si accinge a lapidare Gesù. Gesù: “Per quale opera buona mi volete lapidare?”. Risposta: “Non ti lapidiamo per le tue opere buone, ma perché tu, uomo, ti fai Dio”.
Credo che sia commovente la posizione di Pietro. Pietro riconosce: “Tu sei il Figlio di Dio!”. Qui si nota tutto l’entusiasmo di un passionale. Poco dopo Gesù predice la passione ignominiosa e la risurrezione. Pietro si adombra: “Questo poi no!”.
Nella storia conosciamo un vasto movimento religioso, che si trova su questa posizione di sì e di no. È l’Islam. Il Corano accetta e riconosce la grandezza di Isas (Gesù), lo accetta anche come profeta. Ma con violenza rifiuta la divinità di Gesù e la sua risurrezione.
E noi? Forse ci piace vedere Gesù che ama, guarisce, insegna. Non c’è libro di storia, per quanto gestito da atei, che non riconosca quell’uomo straordinario che era Gesù. Ma poi, con i razionalisti, si rifiutano e si ridicolizzano i miracoli e la divinità di Gesù. Basti ricordare Voltaire e Renan.
Noi forse accettiamo Gesù come un santo straordinario. Perfino lo preghiamo quando ne abbiamo bisogno. Ma nel nostro accostarci a lui per abbracciarlo, trascuriamo la fede nella sua divinità, che si presenta nell’Eucarestia e nella “divinità” delle sue parole.
Trascuriamo di assorbire il Vangelo, perché la cara sua divinità, dono a noi, ci lascia perplessi?

Il Dio facile

Il Dio facile
Dopo aver lavorato per sei giorni, Dio si astenne da lavorare il settimo giorno (Gn 2, 2)
Gesù: “Il Padre ancora adesso opera” (Gv 6, 17).
Sono due momenti diversi e due modi diversi di vedere Dio.
Si sa che Gesù non fondò una nuova religione. Ce n’erano già a bizzeffe, e una tra le altre (come molti non corretti ecumenismi religiosi pretendono sia) non avrebbe avuto significato storico, né salvezza sicura.
Perfino la religione di Mosè, aveva aperto uno spiraglio nell’aprire la porta su Dio… ma lo vide soltanto “di spalle”, come dice la Scrittura. Gesù spalancò la porta, e non solo fece vedere Dio, ma anche portò tra gli uomini quel Dio, che, prima di Gesù, era soltanto un mistero.
Tranne la religione di Abramo, tutte le altre religioni hanno dovuto creare mitologie per immaginare la divinità, perdendo nella mitologia il Dio vivo e vero. Lo nota con forza S. Paolo nello scrivere ai Romani.
Gesù non poteva creare una religione, che per rassicurarsi esigeva la presenza di una mitologia fantastica. Gesù è per la verità pura e franca.
La religione può anche sollecitare la paura nell’uomo e… lo svegliarsi di Dio: “Svegliati, perché dormi, Signore?” (Sal. 44, 24). Gesù assicura che il Padre è sempre desto: “Il Padre mi ascolta sempre” (Cfr. Gv 11, 41).
Sono due maniere di accostarci a Dio. Con Gesù tutto risulta semplificato, perché chi vede Gesù vede il Padre. E vedere Gesù è facile: è sufficiente aprire gli occhi.

Il correttore

Il correttore
Frequentemente tra le e-mail, che ricevo, trovo l’annuncio che Muslim, Ebrei e Cristiani si associano per favorire qualche beneficio sociale.
Si unisono al livello di religione, pur non potendo i cristiani svestirsi della fede. E quando, nella storia, hanno fatto prevalere la religione, abbiamo avuto le Crociate con l’emblema “Dio lo vuole”, emblema che compete con lo Jahveh potente degli Ebrei, o con l’”Allah akbar” dei terroristi islamici. Tutti “Dio che produce morte!”. Un Dio che non è quello di Gesù: il Padre che ama tutti e provvede alla salvezza di ogni uomo, suo figlio.
Le religioni possono incitare alla morte, perché sono creazione umana, quella che placa Dio con sacrifici; la fede è vita di Dio per la vita.
Qui si presenta una domanda, che spesso mi rivolgo: I salmi sono bellissimi frutti della religione, con il contorno di “puniscili, annientali, uccidili!”. Perché essi sono “comandati” ai cristiani affinché li recitino nella “preghiera ufficiale della chiesa”?
Recitando “coscientemente” i salmi non pensando ad altro (troppo spesso sono soltanto recitati), si è in armonia con l’organizzazione religiosa, e anche con la fede di Gesù?
È vero che chi si abitua al Vangelo, sente nascere in sé un correttore interno che dice: “Attenzione: ciò che pronunci è stato superato da Gesù!”. E allora il salmo, anche con le sue crudeltà, può diventare, come dice Paolo, pedagogo a Cristo. Ma è necessario fermarsi sul pedagogo?

Cecità e luce

Cecità e luce
Mi rimbalza in mente una frase dal capitolo nono di S. Giovanni: “Per giudizio venni in questo mondo, affinché coloro che non vedono vedano, e coloro che vedono diventino ciechi” (Gv 9, 39). Quel Gesù che si dichiara “luce del mondo” genera cecità. Forse per la troppa luce contro occhi deboli? O perché occhi abituati a non vedere, eppure con pretese di vedere, riconoscano la propria incapacità?
Gesù aveva affermato di essere venuto non per giudicare, ma per salvare, è forse in contraddizione con se stesso? Mai più.
La frase sopra ricordata da Gesù era rivolta agli scribi, ossia ai teologi degli Ebrei. Questi opponevano la loro teologia, alle affermazioni di Gesù e allora esiste una teologia contro Dio? Un assurdo, nella contraddizione dei termini: una ricerca su Dio, che perde Dio.
Troviamo grandi teologie che sberciano su Dio. Ma esiste anche una piccola teologia formato personale, che si illude di vedere, e Gesù acceca?
Forse anche le nostre scoperte su Dio, possono precipitarci nella cecità. Certi nostri modi di rappresentarci Dio, possono cadere in teologie errate.
Gesù, nel capitolo nono di Giovanni, cercava di rettificare la concezione del Padre, basandosi sulla propria persona, sulla propria esperienza e sulla retta conoscenza.
Solo Gesù è sicuro e pieno di verità. Se noi desideriamo di non sviarci dalla verità, rileggiamo i capitoli del Vangelo, e vediamo se la nostra posizione esistenziale collima con le affermazioni di Gesù.

Custodi del fratello

Custodi del fratello
“Sono forse io il custode di mio fratello?” (Gn 4, 9). Così Caino, che pur aveva ucciso il fratello, di fronte a Dio, che l’interrogava, pretese di scusarsi.
Essere custodi di altri. Dio ci crea, affinché ognuno di noi sia “custode” di qualcuno.
Le madri e i padri, i medici, gli psicologi, i preti, i pizzicagnoli: sono tutti adibiti alla custodia di fratelli. Non possiamo affibbiare solo agli angeli custodi tale compito.
Anche con la semplice nostra preghiera a favore di altri esercitiamo la custodia. E il Padre non ci permette di morire, se il nostro compito di custodire non è esaurito.
Gesù, poco prima di terminare il suo compito in questa vita, prega il Padre: “Quando ero con loro, io li ho conservati nel tuo nome, [coloro] che mi hai dato e li ho custoditi e nessuno di loro si è perduto” (Gv 17, 12).
Finito il compito di custodire, Gesù affida i suoi alla custodia del Padre, che soccorre con il suo Spirito.
La missione di Gesù è passata a noi chiesa. Eppure è missione di tutti, nella loro situazione sociale, di custodire i fratelli. È compito e missione della polizia e dei politici. Anche questi non possono accontentarsi di successi, per grazia di Dio effimeri, ma sono obbligati al bene degli altri.
Non sempre è chiara la nostra missione di custodi. Spesso essa si esercita con la preghiera, con la parola, con lo scritto. Una cosa è sicura: il Padre ci fa vivere tutto il tempo necessario affinché possiamo completare la missione di custodi, prima di passare ad altri il testimone: proprio come fece Gesù.

Amore o potere?

Amore o potere?
Gesù ci incita, nella preghiera, a domandare che la volontà del Padre sia fatta in terra come è vissuta in cielo, ossia nel Padre stesso, che è nei cieli.
Quando l’uomo impone la sua “volontà” cade nel delitto o almeno nel peccato. La volontà dell’uomo si avvale del potere, di qualunque potere, genitoriale, civile, ecclesiastico. Dove domina il potere, si esclude la volontà del Padre. Il potere tende a opprimere e a sopprimere. Dio è Amore, esclusivamente Amore.
Nel ricordare la morte di Giovanni Battista, il Vangelo ci mostra il potere umano, eccitato da invidia e da vendetta, che, ovviamente, produce morte. Invece Dio è sempre il Dio della vita. Il potere non realizza la volontà di Dio in terra come essa è nei cieli.
Il potere dell’uomo sugli altri uomini, causa guerre, uxoricidi, stragi. Causa anche tristezze nelle famiglie, nei conventi, nei gruppi spontanei oppure organizzati.
Troppo spesso le leggi umane, che dovrebbero indicare comportamenti umani sociali, diventano soffocamento del prossimo.
Sto pensando anche alla politica, dove la fantasia del vincitore (nella guerra o nelle libere elezioni; quanto libere se fondate su illusioni dei mestatori?) diventa sofferenza del vinto, sia esso soltanto minoranza civica.
Prendere in mano il potere, è cancellare la volontà di Dio in terra. Gesù l’aveva semplicemente detto: “Uno solo è vostro Padre, quello celeste; … voi siete fratelli” (Mt 23, 8-9). I mezzi per coordinare la società, non devono trasformarsi in … decapitazione di Giovanni Battista.

Ama

Ama
Gesù ricorda, nel dialogo con i dottori della Legge mosaica, il precetto cardine, e lo fa suo: Ama Dio e ama il prossimo.
Gesù non impone pratiche, sorvola sugli obblighi del digiuno o della tassa per il tempio (che pure è la “casa di mio Padre”), Gesù penetra nell’intimo delle esigenze del Padre e delle esigenze fondamentali dell’uomo. Come il Padre è Amore, così il cuore dell’uomo è fatto per amare.
Quando Gesù richiama il precetto dell’amore, non fa altro che ridestare l’uomo a se stesso. L’uomo abbisogna di essere amato, perché egli ha bisogno di amare. Le relazioni umane sono intrise di amore, anche quando l’uomo si lascia vincere dall’odio.
Quando Gesù ricorda il precetto dell’amore, è come si dicesse: “Uomo e donna, tornate in voi stessi”.
Perciò l’Apostolo dichiara che i precetti di Dio non sono gravosi.
Per questo noi ci abbandoniamo in Gesù, che parla. Non solo parla, ma nel parlare ci trasmette e ci inocula la sua stessa forza gioiosa, che è lo Spirito Santo.
Il precetto dell’amore richiama l’uomo a se stesso, e richiama lo Spirito Santo nell’uomo. La parola di Gesù è efficace, perché in essa è veicolato lo Spirito Santo con la sua forza e con la sua dolcezza.
Troppe volte siamo invasi da risentimento, da odio, da tristezza. E Gesù: “Per essere sereno, sii semplicemente te stesso, risvegliando la carica d’amore, di cui il Creatore ti ha dotato”.

Come fa il Padre

Come fa il Padre
Gesù, per indicare il valore delle sue azioni, prende a esempio la cultura artigianale del suo tempo. Ogni azienda artigianale era ereditaria, e il figlio, che lavorava nell’azienda del padre, apprendeva il mestiere dal padre.
Perciò troviamo nel Vangelo di Giovanni: “Un figlio non fa nulla di sua iniziativa, deve vederlo fare dal padre. Così qualunque cosa questi faccia, anche il figlio la fa uguale. Il Padre infatti ama il Figlio e gli mostra ciò che egli fa, e gli mostrerà opere ancor più grandi di queste, in modo che voi ne rimarrete stupiti” (Gv 5, 19-20).
Perciò le guarigioni provocate da Gesù, sono affari di famiglia: semplicemente “tradizione familiare”.
Tradizione della sua famiglia oppure della nostra famiglia?
Come figli, anche noi ereditiamo tutto dal Padre, compresa la vita eterna. Come Gesù anche noi possiamo produrre una grande trasformazione. Gesù trasforma da un malato a un sano, da un morto a un vivente. Noi ogni giorno trasformiamo da pane e dal vino a presenza indiscutibile di Gesù.
Pochi fedeli sentono la gioia di unirsi in comunità eucaristica per “produrre” Gesù. La maggioranza dei praticanti (dei pochi praticanti!) si raduna per “ricevere” Gesù, ma solo rari credenti sono convinti di produrre, per dono dello Spirito, la presenza “reale e sostanziale” di Gesù.
Eppure dove sono due o tre radunati nel nome di Gesù, ivi sicuramente è presente Gesù.
Il miracolo quotidiano è nelle nostre mani, ma pare che non ce n’accorgiamo.

Affermazione o augurio

Affermazione o augurio
Da qualche anno ho smesso di “fare gli auguri” alle persone. Trovo la frase adatta ai pagani che si attendevano buone notizie dagli “auguri” esperti nell’interpretare i segni naturali per dedurre futuri buoni, ma futuri, quindi incerti.
Al posto degli auguri ho sempre inviato o espresso direttamente, le benedizioni. Di questo sono sicuro, perché inserito in Gesù, che è l’eterna benedizione di Dio.
Oggi, nella liturgia della messa di S. Tito, mi viene suggerita an-che la formula di benedizione. Essa è una delle formule usate da S. Paolo nel rivolgersi ai suoi interlocutori: “Grazia e pace da Dio”. La be-nedizione, che io comunico, viene da Dio, che ascolta sempre coloro che chiedono nel suo nome, con il suo cuore.
Nella Lettera a Timoteo, Paolo usa una formula ancor più piena: “Grazia, misericordia e pace”. Sempre “da Dio Padre e da Gesù Cristo Signore di noi”.
Ai Romani: Grazia a voi e pace. Ai Corinzi: Grazia a voi e pace. Ai Galati: grazia a voi e pace. Così pure agli Efesini, ai Filippesi, ai Tes-salonicesi e a Filemone.
Perché questo modo cristiano di salutare è stato perduto, o al-meno sostituito da una dossologia, come l’ormai caduto in disuso “Sia lodato Gesù Cristo”?
Anche all’inizio della Messa, quel secco e sicuro “grazia e pace” è diventato, almeno nella traduzione italiana, un desiderio: “Sia con voi”.
Preghiera e non affermazione di grazia e di dono. Come alla fine della Messa, a coloro che hanno appena ricevuto Gesù, si augura di es-sere benedetti.