La verità irrita

La verità irrita
La verità, pronunciata da Gesù, il Verbo eterno, non solo non convince chi non è dei suoi (le “mie” pecore ascoltano la “mia” voce), ma, per somma contraddizione, è scambiata per bestemmia. Succede davanti al Sinedrio, dove Gesù è trascinato legato, come risposta chiara.
Il sommo sacerdote interroga: “Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto?”. Gesù aveva una sola risposta: “Sì”. Non poteva aver risposte contrarie alla verità di Dio, che Lui impersonava. Lui non era figlio di Dei falsi e bugiardi.
Egli poteva anche non rispondere, come fece più tardi davanti a Pilato, e come aveva fatto poc’anzi davanti alle accuse che gli erano lanciate.
Gesù pronunciò, quindi, la verità su se stesso. Risultato? L’adorazione, come aveva fatto il cieco guarito? L’entusiasmo della gente? No: Gesù si trovava davanti all’autorità, ed era invitato a dire la verità di rivelazione. Perciò doveva rispondere al modo voluto dall’autorità, cui interessa non la verità, ma l’obbedienza al potere.
Perciò il potere sentenzia: “Ha detto la verità? Quindi ha bestemmiato!”.
Per sottolineare la purezza dell’autorità, il Sommo Sacerdote agisce proprio da prete: si straccia le vesti.
La verità di Gesù offende. Perfino le piccole nostre verità, come ci ricorda la canzone, fanno male.
I martiri muoiono perché non possono non affermare che Gesù è Dio.
La domanda: noi riusciamo a dire la verità su Gesù e su noi stessi? Oppure la verità brucia e scotta, e quindi, tra l’altro, bruciamo o nascondiamo i crocifissi?

Vivere per essere amati

Vivere per essere amati
Il Padre mi ama adesso per ciò che sono, non per ciò che vorrei essere. Il Padre è intelligente ed è più concreto di me.
Ricordo che nel primo anno di collegio, ci spingevano a scrivere nel nostro diario: “Voglio esser santo, grande santo, subito santo!”. Quale infamia per un bimbo decenne! Eppure quelle frasi era opportuno scriverle, perché il diario doveva essere firmato da un superiore alquanto burbero, che non sopportava bambini vispi e intelligenti.
Il Padre mi ama semplicemente per ciò che sono in questo momento, mentre sto scrivendo le mie riflessioni. Per amarmi il Padre non abbisogna delle mie opere sublimi, ma per amarmi gli basta che io ci sia, perché Lui mi ha fatto essere. Quasi quasi aveva bisogno che io ci sia per “attivare” il suo amore.
Gesù, che ora è con me nell’amore del Padre, se ne intendeva della volontà e del cuore del Padre. Difatti faceva tutto ciò che era gradito al Padre. Ebbene affermava di essere commissionato di salvare, e non di giudicare.
Insomma è l’amore, che interessa al Padre, perché dal Padre si sprigiona l’amore per noi, per me.
Per meritare l’amore del Padre, non devo far nulla, fuorché vivere. Però l’amore del Padre non ci lascia inerti, ma continuamente scorre. Devo vivere per essere amato: la vita mia ha sempre uno scopo: l’amore del Padre.
Rabbrividisco alla notizia che alcuni vorrebbero approvare una legge, che attribuisce alla persona di chiudere l’esistenza, se la trova “inutile”. Per al Padre siamo tutti e sempre utili.

Vita: tra lode e peccato

Vita: tra lode e peccato
Come è strano il presente!
Io sto camminando per mantenere efficace la mia vita. La mia vita è dono di Dio, e, per chi la vive bene, è lode a Dio che ha creato la vita, affinché gli uomini vivessero. Nel mio passeggiare vivo ogni mio passo come gioia di riconoscenza al Padre, come atto di lode e di ringraziamento, e questo mi allarga il cuore, perché scopro il motivo per cui vivo.
Attorno a questa mia festa, per quanto modesta, sento scorrere la morte. Ne parlano le radio, ne scrivono i giornali, nel gode il laicismo: è il “diritto alla morte”. Per me la morte è una fase della vita e della lode al Padre. Per loro è un decidere una fine, uno spegnere la vita: il diritto a procurarsi l’annullamento. I diritti nascono per aiutare il miglioramento dell’esistenza, per loro (i laicisti) è un’occasione per peggiorare l’esistenza, fino a distruggerla.
Ciò che meraviglia è che coloro che hanno abolito la pena di morte “per l’umanità”, ora vogliono la morte “per umanità” come dicono.
Questo non desta indignazione, ma genera una grande tristezza per questo moltiplicare di catafalchi.
Capisco, per una società nella quale domina il denaro, l’assistenza al malato è più costosa della sua soppressione. Costa meno una iniezione di acido letale, che anni di nutrimento con il sondino.
Il suicidio assistito non è un delitto contro la vita soltanto, ma un’offesa contro quella gloria di Dio, che è l’uomo vivente.

Vuoi guarire?

Vuoi guarire?
Presso la piscina delle pecore, a Gerusalemme, Gesù si accosta a un uomo paralizzato da trentotto anni. Si trova quell’uomo in quell’occasione davanti a Gesù.
Gesù gli rivolge una domanda, che alla nostra superficialità appare ovvia, inutile: “Vuoi guarire?”. A noi sembra fiato sprecato. Ma non è così.
Per alcuni studi psicologici la malattia può essere occasione di “guadagno” sociale e psichico. L’esser dispensato dal lavorare, dal procurarsi il cibo, da accudire alla casa, da fare il bagno personale; e inoltre il godersi l’ozio, l’attenzione degli altri, la voglia di comandare ai familiari, agli amici, agli infermieri.
Gesù chiede al paralizzato se è disposto a “cambiare vita” quella vita che si protraeva da ben trentotto anni.
A una persona che da tempo dice di soffrire, la domanda non è oziosa. Ci si può abituare anche al… cattivo tempo.
Il paralitico affida la sua guarigione ad altri: “Non ho nessuno!”. Gesù invece chiede la risposta personale del paralitico.
Sulla volontà del paralitico di guarire Gesù inetta la propria onnipotenza di Dio guaritore.
Vuoi guarire? Vuoi davvero cambiare la tua situazione?
È una domanda, quella di Gesù, che si rivolge anche alla nostra situazione quotidiana, fisica e psichica. È una domanda, soprattutto rivolta a noi peccatori, capace di stanare le motivazioni che ci consigliano di peccare. La domanda è:: Che cosa difendi di te attraverso il peccato? Quale giovamento ne ricavi?

Fede e religione

Fede e religione
Guai a voi, scribi e farisei! È l’amore di Gesù che li avverte in modo chiaro, anche perché esprime il motivo del suo serio avvertimento.
In poche parole Gesù invita a non impedire la fede, dietro la scusa della religione, del culto, della pratica liturgica. La religione resa assoluta si oppone alla fede, quando non pretende di sottomettere la fede, quando una certa teologia pretende di rendere la fede una parte della religione, come accade, per esempio, nell’Islam.
In alcune circostanze sembra che la religione pretenda di sostituire la fede.
Quanta quota di scriba e di fariseo si è insediata in me e in te, tanto da zittire la fede?
Da piccolo non mi chiedevano: “Ti sei affidato a Gesù?”, ma mi chiedevano: “Hai detto le preghiere?”. E, dette a malavoglia le preghiere, mi assicuravano che la mia fede era al sicuro. E questo, in altri modi e in altre direzioni, mi veniva ripetuto in seminario e oltre.
Recitato il breviario sembrava che io fossi a posto con la mia fede, tanto che in confessione dovevo accusare l’omissione delle Lodi, ma non il rinfocolamento mancato della fede.
Gesù, salvami, affinché io non oda la tua parola: “Guai a te, scriba e fariseo, teologo e liturgo!”.
“Guai a te!”. Ma ecco spuntare accanto ai tuoi avvertimenti e alle tue riprensioni, la grandezza della tua misericordia, perché sei venuto per salvare, non per condannare.

Legge e amore.

Legge e amore
I due piani: quello della legge, e quello del cuore.
Leggiamo, e apprendiamo per viverlo, nel Vangelo, il racconto (ma è mero racconto?) di quella peccatrice che si prostra ai piedi di Gesù, entrata non invitata, in casa del fariseo.
Gesù confronta i due piani: da un lato il pediluvio, il bacio di accoglienza, il profumo, dall’altro le lacrime ai piedi, i baci ai piedi, i profumi ai piedi. Per Gesù la “cura” dei suoi piedi, prevale sul rito del fariseo, rito inoltre non eseguito.
Una donna piange e opera, e di fronte a uno che giudica Gesù, per aver accettato il contatto con una peccatrice. Gesù mostra che anche le leggi umane e mosaiche, possono esser elevate in maniera diversa, quando sono dettate dal sentimento. Il fariseo osserva la Legge, la donna segue l’impulso di un cuore pentito.
È così bello seguire l’impulso del cuore, quando siamo colpiti dalla bontà di Dio, o anche solo di qualcuno che ci sta davanti!
Il cuore, le emozioni, i sentimenti non sono cavalli bizzarri, ma seguono leggi interne, che l’intelletto fatica a riconoscere. Queste leggi sono moltiplicate per mille, quando il cuore è mosso da Gesù, da Dio.
La Rivelazione di Dio in Gesù, percorre strade, che la teologia può anche intuire, ma difficilmente riesce a descrivere. Gesù, quando parla del Padre e dell’opera del Padre a lui affidata, talvolta cita le frasi di Mosè o dei profeti, però le spiega in modo nuovo: il modo della salvezza.

Completezza di amore

Completezza di amore
Gesù, ricordando ai farisei il precetto dell’amore a Dio e al prossimo, inquadra la sua risposta sulle esigenze della Legge e dei Profeti. Ne riconosce la validità religiosa e salvifica. Eppure non è tutto.
Quando Gesù parla con il giovane che lo dice “Maestro buono”, Gesù prima gli chiede se ha osservato la religione dei padri. Conseguito questo, Gesù afferma: “Ti manca ancora un altro passo”. E questo “per conseguire la vita eterna”.
La completezza viene da un passo successivo: “Vendi quello che hai e dona il ricavato ai poveri; poi vieni e seguimi”.
Prima una realizzazione dell’amore al prossimo, ai poveri. Poi la libertà nel seguire Gesù. Qui finalmente si concreta la vita eterna. Aderire a Gesù. Anche il Buddhismo indica la carità della compassione, una bella forma di carità, ma non indica altri passi, se non un’intenzionale sequela al Buddha (come ingenuamente ha creduto di fare qualche calciatore famoso).
Gesù pone il completamento di ogni amore a Dio e al prossimo, nel seguire visceralmente Gesù stesso. Del resto, immedesimandoci con Gesù nell’amore, ci incontriamo con l’Uomo e con Dio, gli oggetti dell’amore, indicato dalla legge e dai Profeti.
Quanto siamo graziati noi cristiani, che in Gesù, troviamo la concreta semplificazione e concretamento dell’amore. Non sforzi teologici, filosofici o ascetici, ma abbraccio a una persona. Non arrampicarci verso chissà che vette, ma abbracciare Lui, che ci sta a fianco.

Gesù sta con i peccatori

Gesù sta con i peccatori
“Costui accoglie i peccatori e mangia con loro” (Lc 5, 1). È la critica contro Gesù, pronunciata dai benpensanti del suo tempo. Insomma, Gesù si mischia con i peccatori.
Ecco perché Gesù non si allontana mai da me. Egli si mescola nella miseria, perché sa di poterla guarire. Lui santo vive con i santi, eppure è un santo che si inserisce tra i peccatori, tra di noi, ai quali vuol comunicare la misericordia; non una misericordia di chi si degna, e, degnandosi, umilia; ma una misericordia che contagia di gioia e di festa. Gesù, come il Padre, non ci aiuta umiliandosi e umiliando, ma coinvolgendoci nel suo amore verso il Padre e verso noi, sue creature.
Gesù mangia con i peccatori, condivide con loro il cibo. Però anche Gesù ci introduce nel suo mangiare eucaristico, per farci condividere il suo cibo. Per i farisei il mangiare con i peccatori infettava Gesù. Per Gesù il farsi mangiare da noi, dona vita, serenità, forza alla nostra vita, ci fa vivere della sua stessa vita, che è comunione con il Padre, nello Spirito.
Gesù entra nella squallida osteria della nostra esistenza peccatrice, e ci accende la sua luce, propaga il suo calore.
Gesù penetra la nostra vita povera e anche peccaminosa, e qui inocula la serenità e la gioia della speranza; speranza, frutto dello Spirito, e perciò più forte di ogni nostra paura, e di ogni nostra umiliazione.
Entrando in noi, anche quando noi ci stanchiamo di sperare, egli spera in noi.
Gesù mangia con me peccatore, e mi spinge a mangiare con lui, santo.

Il Padre qui

Il Padre qui
Sperimentata grande riconoscenza si sprigiona verso Dio, quando il Dio altissimo viene a noi come famiglia, nella quale lui è davvero Padre, e noi siamo davvero figli.
Ricordo un mio compagno d’infanzia che parlando di Dio, usava sempre il vocabolo “Altissimo”. Cioè il lontanissimo, al quale non si sa come arrivare.
E poi mi accorgo (ossia lo Spirito di Gesù mi induce ad accorgermi) che il Padre è qui con me, mi segue mentre scrivo, guarda il mio cuore, mi comunica la sua gioia, nell’essere a contatto con me, e con tutti, perché suoi figli.
La vicinanza continua del Padre per farmi comprendere quanto mi ama. La nostra vita non è valida per ciò che noi facciamo (il che non va scartato), ma per l’immissione dello Spirito di Gesù, nel mio operare, nel mio pregare, e semplicemente nel mio stesso vivere.
Il suo amore vicino, ci commuove ogni volta che ce ne ricordiamo e, nel nostro piccolo, lo pensiamo.
Quanto più lo ringraziamo, tanto più scopriamo nuovi motivi per ringraziarlo. Ringraziamento inesauribile per un amore inesauribile. Un amore da vivere nella libertà da ogni costrizione, perfino anche liturgica.
Gesù ci insegna a superare il sacro della legge religiosa, per vivere l’amore libero di figli, lui il Figlio, inizio ed emblema del nostro rapporto con il Padre.
Quanto è bello essere figli di Dio! Tutto diventa luce, e si colora di amore, solo di amore!

La gloria

La gloria
Ti ringraziamo per la tua gloria immensa: proclamiamo ogni domenica, forse non pensandoci su, perché caratteristica delle formule è il dispensare dal riflettere. Purtroppo, la liturgia cattolica è zeppa di formule, sulle quali sembra reggersi.
Ringraziare Dio per ciò che lui è. Ha senso? Di solito lo ringraziamo per ciò che lui dona.
Ci siamo mai chiesto: e se lui non ci fosse? Sarebbe il buio, l’abisso, il nulla.
È vero che Dio non può non esserci: è ovvio. Però il ringraziarlo, perché lui è, quale significato acquista?
Talvolta ci viene da ringraziare una persona cara e premurosa, perché semplicemente è. Ho udito una sposa dire la frase: “Se tu non ci fossi, come me la caverei?”.
Ringraziare il Padre, perché lui è, ci dona calore e sicurezza. Siccome lui è e ci ama e ci segue, e ci promette di comunicarci ciò che lui solo è in grado di comunicare (vita eterna), la nostra vita è ringraziamento, è adorazione.
Lui è, e non ci sentiamo disorientati, né abbandonati, perché lui è la sicurezza che regge il mondo. Se lui non ci fosse, non avremmo più il giorno e la notte, ma il caos. Lui è, e la sua Provvidenza mantiene e guida il mondo.
È tanto bello che Dio ci sia, perché ci rende sicuri di avere un Padre che ci ama, e che è in mezzo a noi, anche con la presenza “umana” di Gesù.
Ti adoriamo e ti ringraziamo per la tua gloria, immensa, quella che ci avvolge e ci commuove.