Sfruttare il presente

Sfruttare il presente
Il futuro, ogni futuro è un dono di Dio, una passerella verso “la Patria”, Dio Padre. Percorrere in modo adeguato questa passerella viene dalla volontà di “fare ancora del bene”. Le circostanze della vita, il tempo per la preghiera, il sorriso da donare a tutti, l’amare gli amici, il sopportare le “persone moleste”, ecc..
Sopportare le persone moleste, forse non significa imitare l’imperturbabilità di S. Francesco di Sales, o di uno stoico, ma neppure scagliare sul prossimo la nostra naturale impazienza.
Lo stadio per vivere positivamente, nel sole o sotto la pioggia, è sempre disponibile. Ci attende il bene che possiamo ancora fare o vivere. Il futuro cristiano è sempre illuminato, perché sempre nelle mani di Dio. Non è bene sprecarlo, come non è bene sovraccaricarlo di azioni impossibili.
La vita che ci resta è dono di Dio, come la vita trascorsa. Questa riguarda la nostra riconoscenza a Dio (almeno per il fatto che siamo ancora vivi!), e quella riguarda la nostra speranza.
Viviamo sereni se alimentiamo riconoscenza e speranza. È quanto ci istilla il Padre nostro: lode e preghiera, sicurezza e cammino. Ad ogni modo possiamo vivere fruttuosamente il presente, proprio riportando nel presente che ci sfugge il passato riconoscente e il futuro sperduto. Il presente si nutre del presente che crede e ringrazia, e il futuro che ci attende nella speranza.
E proprio questa dinamica tra passato e futuro forma la sostanza del nostro cammino verso la patria; meglio: verso quell’incontro con il Padre, dalla cui bontà scaturisce questa nostra esistenza dinamica.20.04.17

Rimetti i debiti

Rimetti i debiti
“Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”: Guai a noi, se fosse proprio così alla lettera. Però Dio rimette i debiti “alla Dio!” non all’umana.
Forse il Vangelo e, perché no?, anche il greco ci aiutano.
Nel Vangelo troviamo scritto: “Se stai davanti all’altare per offrire il sacrificio, e lì ti ricordi che devi sanare un debito con il tuo prossimo, lascia lì l’offerta, prima ti devi riconciliare soddisfacendo al debito con il prossimo, poi torna all’altare per l’offerta”.
Ebbene la “lettera” e la “lettura” opportuna del testo evangelico, riproducono lo stesso insegnamento di Gesù. “Perdona i nostri debiti, poiché abbiamo perdonato (verbo al passato recente) ai nostri debitori”.
Allora Dio perdona i nostri peccati al di là di quanto noi chiediamo. E noi diciamo che da parte nostra quel pochino che dovevamo compiere l’abbiamo compiuto.
Sarebbe un bel pasticcio se Dio misurasse il suo perdono sul modello del nostro perdono.
Forse ricorrendo al testo greco possiamo capire meglio nel Padre nostro l’avverarsi del riprendere il sacrificio dopo la composizione con il fratello. Il verbo “noi perdoniamo” è un passato ma non conchiuso, come è il passato dell’aoristo, ma è un passato che influisce sul presente. Quasi è come dire “poiché noi stiamo perdonando”. Un perdono che sta influendo nel presente, pur avendo le radici nel passato. Un perdono spalmato nel tempo. Dio non è soggetto al tempo.
14.10.16

Siamo risorti

Siamo risorti
Ci dicono, anche i musulmani, che la risurrezione nostra è destinata al futuro. Sento cantare, ai funerali cristiani: “Io credo: risorgerò” Paolo invece mi assicura: “Siete risorti in Cristo”. Cioè la nostra risurrezione è già avvenuta, ora attendiamo semplicemente la sua manifestazione, che attende la nostra morte, e poi la fine dei tempi per assumere nella persona risorta, anche la completezza dell’unione soma-psiche.
“Se voi siete risuscitati insieme al Cristo, cercate le cose in alto, dove è il Cristo che siede alla destra di Dio, pensate alle cose in alto, non alle cose sulla terra. Siete morti infatti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio. Quando Cristo apparirà, la vita vostra, allora anche voi con lui sarete mostrati nella gloria” (Col 3, 1-4).
Il testo è chiaro. Siamo già risorti in Gesù, essendo corpo di Cristo e membra delle sue membra. La sua sublime realtà è già la nostra realtà. È il nostro vivere nel tempo, è un vivere da risorti.
Noi viviamo già nel mistero integrale di Gesù. Certamente il passaggio psichico dalla fede alla percezione immediata del contenuto della fede, non è automatico, e probabilmente è necessaria una percezione tanto pura e potente, che solo dopo la nostra morte sarà chiaramente possibile e attuale.
Certamente Gesù, che viene in noi nell’Eucarestia, è il Gesù risorto, che si attua anche come viatico, senza per nulla perdere il suo statuto di Risorto. Da Risorto accede al nostro mistero di risorti, ma sempre restando noi nei pericoli del tempo.04.02.2016

Profeti verso Cristo

Profeti verso Gesù
Nella liturgia cattolica o cristiana, si declamano spesso le profezie dell’Antico Testamento per indicare una continuità tra la profezia precristiana, e quella iniziata da Gesù, profeta di Dio e Parola di Dio, apice di qualsiasi profezia, che si possa trovare nelle religioni disperse nel mondo.
Ogni profezia umana o è reale suggerimento di Dio, o almeno è un presunto avviso di Dio, per avviare al Cristo, può essere vista o indirizzata verso la propria completezza, se riportata davanti alla Parola di Gesù. Sotto questo aspetto ogni profezia, anche quella pronunciata dopo la venuta di Gesù, può essere considerata pre-cristiana, ossia in attesa di essere “completata” dalla presenza e dalla parola di Gesù.
A noi cristiani non compete il compito di condannare le profezie, sorte o nell’ambito religioso o in quello filosofico, ma di completarle con la vita e con la parola di Gesù. Si possono considerare le profezie religiose, non come opposte (guerra di religione), ma come misteriosamente tendenti verso Gesù. “Una cosa ancora ti manca…”.
Lo sguardo di fede è sguardo di Gesù e dello Spirito partecipato all’uomo. Lo sguardo di Gesù è proteso non a combattere, ma ad abbracciare. “Non sono venuto per condannare, ma per salvare!”.
Mi chiedo se le stragi dell’Inquisizione o anche del Sant’Ufficio, erano per salvare o per condannare. Quando la Chiesa, organismo del Corpo di Cristo, si trasforma in “società perfetta” (vedi il Diritto pubblico del Cardinale Ottaviani), allora tutti i peccati, le incoerenze, le condanne, sono resi possibili, perché catalogati come “volontà di Dio”. Gesù è salvatore, non presidente del Sant’Ufficio.05.03.17

La confidenza

La confidenza
Confidare al Signore i nostri affanni, ed egli ci guarirà. Resta poi la nostra sospensione, che è suggerita dal “Come ci guarirà?”. Qui è l’incaglio, che può aumentare la confidenza, oppure la fa franare.
La fiducia e la speranza nel nostro Padre, non si esauriscono nel pensarle e neppure nell’ammetterle, ma nel “buttarci”. Buttarci a occhi chiusi nelle misteriose braccia del Padre. Il che, per noi paurosi, non è troppo agevole, seppure è necessario. Talvolta non riusciamo neppure ad abbandonarci al sonno, l’abbandono a Dio, pur essendo di qualità diversa, non raramente si affianca al nostro non riuscire ad abbandonarci al sonno.
Il bambino spontaneamente si abbandona nelle braccia della madre dopo la poppata, però quell’abbandonarsi l’abbiamo obliterato da tempo… ossia da quando ci siamo dimenticati di essere anche bambini, perché preoccupazioni o rancori o sofferenze turbano i nostro sonni. Eppure la guarigione sta proprio nel nostro riprendere l’abbandonarci (con gli ipnotici?). e proprio nell’esercizio dell’abbandono a Dio, si consolida la nostra speranza e la nostra confidenza.
Sicuramente in un bagno sociale dove la stimolazione “a fare o a drogarci) è continua, è fatale il perdere la consuetudine all’abbandono, e, quindi, l’ostacolo alla speranza.
Fortunatamente lo Spirito Santo è vivo e attivo anche in una società esagitata come la nostra. La preghiera a lui, si trasforma in inizio di confidenza e di abbandono. La fiducia nello Spirito ci conduce a rivivere la speranza e… l’abbandono confidenziale.16.03.17

Potenza d’amore

Potenza d’amore
Quando la nostra vita è posta a contatto di più persone, allora è l’occasione che si dilati la carità. Il Padre ne è l’esempio: più si moltiplica l’umanità, più si estende il suo amore per l’uomo.
I genitori sono tali per estendere l’esercizio del loro amore: dalla coppia ai figli.
L’elezione di un superiore, è la vocazione a estendere l’amore, non a esercitare un comando per il comando, ma per sottomettere la stessa capacità di comandare alle esigenze dell’amore.
Il potere è ambiguo e ambivalente: se sottoposto all’egoismo o all’ambizione, il potere è letale, genera guerre, eccidi, oppressione o semplici (per modo di dite) sofferenze personali. Se si allea alla carità o è suscitato dall’amore, allora, soprattutto in Gesù, genera misericordia, miracoli, restituzione di vita a Lazzaro.
Gesù l’aveva detto che i potenti non si devono annidare tra i suoi discepoli. Invece ci tocca costatare quanto potere senza amore viene esercitato all’interno anche (e più, dato che il potere ecclesiastico si ammanta della religiosità che… può mandare all’inferno) della “Chiesa di Gesù”, istituita da Gesù “non per condannare, ma per salvare”. Ciò deve avvenire, perché la Chiesa è il Gesù, presente nel tempo.
Allora tragiche domande: “Perché l’Inquisizione, i roghi degli eretici, le scomuniche, gli anatemi?”.
Chiedere sempre a Dio la forza, ma solo affinché il nostro amore sia sempre più potente. L’amore che non si stanca mai a crescere, fino a trovarsi pieno di Spirito Santo. Il Padre è onnipotente sì, ma in quanto Padre.
14.03.17

Perdono e amore

Perdono e amore
Due incapacità appesantiscono il nostro procedere, con serenità e con salute, nella vita: l’incapacità di perdonare davvero, e l’incapacità di amare Dio.
Perdonare l’altro, è più del semplice scusare. La scusa, pur benefica e positiva, si ferma alla superficie intellettiva, il perdono penetra il cuore. Fino a che la scusa, anche molto benevola, non si allaccia al cuore, la pace non riesce a inondarci.
Perdonare è una importante azione dell’Amore di Dio verso di noi. Egli ci comprende, perché ci ama dopo averci creati, e amandoci davvero penetra nel nostro cuore, sempre anche a nostra insaputa. Apprezzare l’essere perdonati è anche apprendere il perdono, gustarlo. La prima reazione per un perdono ricevuto, è la leggerezza, la distensione. È questa la sensazione che si prova, quando la fede ci assicura del perdono di Dio? Esercitarsi nella gioia del perdono è il godere per “la tua salvezza” come dice il salmo 50.
L’altra incapacità della nostra povera vita, è quella di non riuscire ad amare Dio. È vero che un primo atto di amore del bambino è quello di avere bisogno della madre e delle sue prestazioni: è un amore inconscio ma reale. E allora noi siamo davvero convinti di aver completamente bisogno di Dio, in ogni circostanza e in ogni azione? Senza accorgerci noi ci stacchiamo dal bisogno di Dio, per “arrangiarci”. È uno staccarci dalla corrente vitale, da quel soffio di Dio, che diede la vita ad Adamo, già ben formato come statua, ma priva di vita.
Il primo movimento di amore a Dio: è proprio lo sfruttare il suo Spirito in noi.15.04.17

Perdono e amore

Perdono e amore
Due incapacità appesantiscono il nostro procedere, con serenità e con salute, nella vita: l’incapacità di perdonare davvero, e l’incapacità di amare Dio.
Perdonare l’altro, è più del semplice scusare. La scusa, pur benefica e positiva, si ferma alla superficie intellettiva, il perdono penetra il cuore. Fino a che la scusa, anche molto benevola, non si allaccia al cuore, la pace non riesce a inondarci.
Perdonare è una importante azione dell’Amore di Dio verso di noi. Egli ci comprende, perché ci ama dopo averci creati, e amandoci davvero penetra nel nostro cuore, sempre anche a nostra insaputa. Apprezzare l’essere perdonati è anche apprendere il perdono, gustarlo. La prima reazione per un perdono ricevuto, è la leggerezza, la distensione. È questa la sensazione che si prova, quando la fede ci assicura del perdono di Dio? Esercitarsi nella gioia del perdono è il godere per “la tua salvezza” come dice il salmo 50.
L’altra incapacità della nostra povera vita, è quella di non riuscire ad amare Dio. È vero che un primo atto di amore del bambino è quello di avere bisogno della madre e delle sue prestazioni: è un amore inconscio ma reale. E allora noi siamo davvero convinti di aver completamente bisogno di Dio, in ogni circostanza e in ogni azione? Senza accorgerci noi ci stacchiamo dal bisogno di Dio, per “arrangiarci”. È uno staccarci dalla corrente vitale, da quel soffio di Dio, che diede la vita ad Adamo, già ben formato come statua, ma priva di vita.
Il primo movimento di amore a Dio: è proprio lo sfruttare il suo Spirito in noi.15.04.17

Perdono e amore
Due incapacità appesantiscono il nostro procedere, con serenità e con salute, nella vita: l’incapacità di perdonare davvero, e l’incapacità di amare Dio.
Perdonare l’altro, è più del semplice scusare. La scusa, pur benefica e positiva, si ferma alla superficie intellettiva, il perdono penetra il cuore. Fino a che la scusa, anche molto benevola, non si allaccia al cuore, la pace non riesce a inondarci.
Perdonare è una importante azione dell’Amore di Dio verso di noi. Egli ci comprende, perché ci ama dopo averci creati, e amandoci davvero penetra nel nostro cuore, sempre anche a nostra insaputa. Apprezzare l’essere perdonati è anche apprendere il perdono, gustarlo. La prima reazione per un perdono ricevuto, è la leggerezza, la distensione. È questa la sensazione che si prova, quando la fede ci assicura del perdono di Dio? Esercitarsi nella gioia del perdono è il godere per “la tua salvezza” come dice il salmo 50.
L’altra incapacità della nostra povera vita, è quella di non riuscire ad amare Dio. È vero che un primo atto di amore del bambino è quello di avere bisogno della madre e delle sue prestazioni: è un amore inconscio ma reale. E allora noi siamo davvero convinti di aver completamente bisogno di Dio, in ogni circostanza e in ogni azione? Senza accorgerci noi ci stacchiamo dal bisogno di Dio, per “arrangiarci”. È uno staccarci dalla corrente vitale, da quel soffio di Dio, che diede la vita ad Adamo, già ben formato come statua, ma priva di vita.
Il primo movimento di amore a Dio: è proprio lo sfruttare il suo Spirito in noi.15.04.17

Rabbia e speranza

Rabbia e speranza
Possono accordarsi questi due sentimenti? Non è più coerente, come fa il salmo, pianto e speranza? Può armonizzarsi con il Padre l’unione tra rabbia e speranza?
Quando Gesù si adirava contro i farisei (razza di vipere), sperava anche per loro? Se troviamo questa unione in Gesù, allora ci armonizziamo con i nostri sentimenti.
Nel quattro Vangeli si ricorda un episodio di collera, così prorompente che diventa distruzione: saltano all’aria banchi di commercianti, si cacciano animali, Gesù inveisce. È solo collera e basta? Perché subito dopo parla della propria risurrezione e anticipa: “La mia casa sarà chiamata casa di preghiera” (Mt 21, 13). Notiamo che il greco è espresso con un futuro. La collera si unisce alla profezia ottimista.
Se con lui, perché non con noi?
Collera perfino contro i nostri errori, eppure da congiungersi con la speranza, che si fa preghiera: non ci indurre nella tentazione.
Collera contro chi ci fa soffrire, colleghi o superiori, laici e religiosi. Collera libera di esprimersi in mille modi, ma mai staccarla dalla speranza. Soprattutto che il Padre sa trovare le risorse per intervenire a sanare le situazioni perfino con la Risurrezione. Speranza che si unisce alla preghiera.
È necessario trasformare gli errori degli altri, che procurano dolore, non solo nel pianto, ma anche in quella rabbia, che muove all’azione riparatrice, e così evita la “distruzione del persecutore”. Il subentrare della speranza, fatta preghiera, rasserena e guida sensatamente l’azione.22.04.17