Miseria e bontà

Miseria e bontà
Molto tempo fa leggevo un volumino, che insegnava a fare buon uso delle nostre miserie. Il nostro orgoglio ci spinge a “migliorare sempre”, presentandoci mete più o meno luminose, per occupare un posto “rispettato” nella società. Poi, ogni giorno accade che le nostre belle qualità si mostrano incrinate, e non intendono aggiustarsi. Emergono intanto i nostri limiti e i nostri difetti. Però curiamo di lasciarli in ombra, se non addirittura a negarli.
Talvolta mi trovo come quel contadino che non sapeva che farsi dello stallatico, schifoso e prezioso.
Nel bilancio personale ci troviamo con poche doti e con numerosi difetti. Il problema è: sono tutte cose mie, e che cosa fare per ricavarne un giovamento? Quale “buon uso” posso fare delle mie miserie, per guardarle e non negarle?
Ecco allora il Vangelo. Dio si compiace dei piccoli, aiuta i miseri, usa misericordia con i peccatori. Diventa situazione gradita a Gesù, il poter essere sempre medico dei malati. Che cosa farebbe il medico senza malati? Come Gesù potrebbe esercitare il suo “mestiere” di misericordioso, se non trovasse i miseri, con il loro bel bagaglio di miserie?
Per avere la bontà di Gesù, la sua commozione di Salvatore, è necessario che gli poniamo in mano i nostri limiti, la nostra piccolezza.
Scherzando sulla bontà di Dio per i miseri e i peccatori, qualcuno ha detto: “Allora pecchiamo di più e avremo più misericordia”. A me è sufficiente la miseria che mi trovo, e non andar in cerca di altre rogne.
23.05.17

Cristiani inquieti

Cristiani inquieti
Stefano era ostacolato proprio dai suoi più simili. Osserviamo. Il nome di Stefano non era ebraico come Simone e Giacomo. Era un nome greco (Corona). Quindi Stefano era un greco passato prima all’ebraismo e poi tra i discepoli di Gesù. I suoi avversari erano persone che non erano nate tra gli Ebrei. Liberti, cirenei, alessandrini, cilici, asiatici (Medio Oriente). Stefano, che proveniva dagli Ellenisti, fu costituito diacono proprio per aiutare le vedove degli Ellenisti, che, anche nelle comunità ebraiche aderenti a Cristo, erano trascurate.
Quindi la diatriba era sorta tra i “fedeli della porta”, cioè tra i pagani convertiti all’ebraismo prima e a Cristo poi. La diatriba fu portata davanti agli Ebrei autentici, cioè davanti al Sinedrio. Era allora una lite di famiglia, tra ellenisti tradizionalisti e quelli della nuova “setta”, che avevano aderito a Gesù.
Anche questa diatriba si inseriva in tutti i contrasti, che sorgevano dentro il gruppo aperto alla fede in Gesù. Ricordiamo che ci fu uno scontro anche tra Paolo e Pietro.
Gesù aveva predetto che dentro le stesse famiglie sarebbero sorti conflitti a causa sua.
Ricordando questo, tutta la storia cristiana ha sofferto di molte lotte, quasi sempre sfociate in eresie. Eresia = divisione.
Oggi nelle stesse comunità cristiane lotte si vedono. Anche nelle ristrette comunità di frati, le opposizioni sono palesi e dure. Ecco perché è arrivato il tempo dello scioglimento di molti ordini religiosi.
01.05.17

Dissoluzione e speranza

Dissoluzione e speranza
Gesù visse e operò dentro una società ebraico-romana, che si stava dissolvendo. Eppure, proprio lì, porta la salvezza. Non la salvezza politica di un popolo sofferente, ma la salvezza tramite la speranza in una situazione più profonda. In una situazione disperata, Gesù incuteva speranza. Non una speranza che ricostruisce un passato, ma una speranza che crea il nuovo futuro. Quale? I secoli ce lo dicono. Un futuro segnato da Dio: allora è giunto a voi il Regno di Dio.
Nelle difficoltà gravi, come il dissolvimento di una comunità religiosa, la speranza ci incita a guardare avanti. Almeno fidandoci di quel Gesù, uomo che ci indica nuove luci per il futuro. Ciò riguarda il piccolo mondo di un convento di Vicenza, ma riguarda in modo cogente e necessario il futuro di una Chiesa, che in qualche giorno vive bocconi.
Sicuramente una speranza durante un dissolvimento non è forza d’uomo, ma competenza unica dello Spirito Santo, della sola dinamica di Dio, che si effonde nel cuore degli uomini.
La speranza nel futuro, quando il presente ce lo nasconde o addirittura ce lo nega, è una virtù difficile, perfino impossibile, se non interviene l’amore soccorrevole del Padre. Il distaccarci da una situazione tenacemente sposata, è il vivere un lutto. E nel lutto, solo la speranza ci aiuta a scorgere le prospettive del futuro. È necessario individuare nel “residuato” del presente ciò che ci preannuncia una possibilità futura. Dopo il lutto e nel lutto si può già ricavare linee ancora vive per il futuro, linee che sono da un lato, nuove prospettive nel mondo, e da un lato credere nella prospettiva della Risurrezione in Gesù.
19.05.17

I due divorzi

I due divorzi
Due coniugi non hanno più nulla da comunicare. Il matrimonio è comunione. Quindi il matrimonio non regge.
La mancanza di comunione può recensire molte cause. Cessa-zione del falò dell’innamoramento. Intristimento di sentimenti. Esauri-mento della tensione fisica. Divergenza nel considerare la vita, la politica, la religione. Interesse per un’altra persona, che presenti nuova possibilità di avventure e riedizione di carica genitale. E mille altri motivi più o meno ideali o idealizzati.
Insomma i due non si capiscono più, non sanno penetrare nel mondo emotivo o ideale reciproco. Nemmeno l’interesse per i figli vibra sulla stessa corda sensitiva. Insomma di fatto sono distanti l’uno dall’altra, e gli stessi tentativi di ricuperare l’armonia a letto, li allontanano ancor di più.
Perciò ecco il divorzio.
Il divorzio più facile e più usuale è la separazione dei coniugi. Due strade per un periodo si sono accostate (non unite) e poi divergono, più o meno parallelamente. Evidentemente i due non si erano mai uniti, ossia nessuno dei due era davvero entrato nello spirito dell’altro, nonostante il decantato “Ci eravamo tanto amati!”.
L’altro divorzio avviene quando, maturando, ciascuno si separa dall’immagine posticcia che si era fatto dell’altro e di se stesso. L’incontro con l’altro-altro non c’era mai stato, perché ciascuno si era incontrato egoisticamente con ciò che lui stesso pensava o immaginava dell’altro.
A questo punto può avvenire un vero matrimonio, nella realtà e quindi nell’amore autentico.
15.02.14

Dinamica mistica

Dinamica mistica
La tensione mistica è la tensione umana verso la sperimentazione. Già da bambini lo sperimentare ciò che si vuol conoscere, ossia provare, vedere, constatare, è una spinta naturale. Dal pollice in bocca al voler toccare la fiamma della candelina è tutto una spinta a sperimentare. Il bambino, quando gli si parla di Gesù, vuol vedere e toccare Gesù.
Quando la vita si apre a nuovi orizzonti fisici, emotivi, spirituali, si vive la tensione a sperimentare: gioia, amore, sesso, preghiera. Nella preghiera si apre un bisogno di sperimentare il rapporto con l’Assoluto: è tensione mistica. La tensione all’assoluto (comunque la singola cultura lo interpreti) è insita nella vita. Lo sperimentare l’Assoluto, religioso, filosofico, di fede, spinge l’uomo verso l’Assoluto.
Ma questo Assoluto accetta il contatto, oppure tende ad allontanarsi dall’uomo, man mano che l’uomo gli si avvicina?
O anche: la mistica vive l’Assoluto in sé, oppure si accontenta di essere lei stessa il termine della propria tensione? Ossia le diverse esperienze mistiche possono essere autoreferenziali (rinchiudersi nel perimetro personale del mistico, come raggiungimento di una pace), oppure eteroreferenziale (aprirsi all’abbraccio con l’Altro).
Però l’Altro Assoluto cui si tende, è indifferente al contatto, risponde al contatto? Se l’Assoluto è filosofico resta indifferente al contatto, perché esso è fermo nell’iperuranio delle idee. Ma se l’Assoluto è personale, non può restare indifferente. Però due sono i modi del non restare indifferente: l’attendere che la persona lo raggiunga, oppure il venire incontro alla persona. 26.02.17

Ricco, condannato o salvatore

Ricco, condannato o salvatore
L’avidità dei ricchi sta distruggendo la natura. Forse pensano che, a terra distrutta, i loro soldi li faranno esenti dalla distruzione da essi provocata? Sotto questo aspetto, i ricchi sono i più disperati, come i drogati, gli alcolisti, gli incontinenti colpiti dall’AIDS. “Muoia io con tutti i Filistei!”.
Il ricco non sa amare. Questa è la sua maledizione. Non sapendo amare, egli vive vuoto e disperato in sé, si accontenta della propria ric-chezza, e riceve su di sé (ma è incapace di avvertirla) la minaccia cor-diale di Gesù: “Guai a voi, o ricchi!”.
Gesù invita anche il ricco, ma questi si allontana da Gesù. Perché aveva molte ricchezza: nota il Vangelo.
Il mondo è in pericolo a causa delle ricchezze accumulate. Anche le guerre sono attuate dai ricchi o da chi brama le ricchezze degli altri.
Eppure Dio aveva posto la ricchezza in mano dell’uomo, perché “coltivasse la terra” e non per distruggerla. La ricchezza, creata da Dio, è a servizio dell’uomo per completare l’opera della creazione, non per sopprimerla.
I poveri sono beati, sì perché non sono tentati a distruggere il creato. È vero che anche i poveri diventano ricchi rifiutati da Dio, quando imitano le perversità del ricco, dandosi a piccole o grandi azioni di van-dalismo.
La ricchezza, come la vita e la salute, è un dono, non per essere destinate all’accumulo, ma per servire alla vita, alla bellezza, al progres-so, alla carità. Il dono della ricchezza serve a suscitare nel ricco il rin-graziamento e la generosità, affinché ogni uomo tenda alla felicità e alla salvezza.
10.04.14

Il grido dei farisei

Il grido dei farisei
Si elevano alte grida contro il femminicidio. Grida elevate da solisti, anche importanti (Grasso, Mattarella, Boldrini, le tre cariche più importanti dello Stato) o anche da cori (associazioni, giornali…).
Finito di gridare, cosa perfino naturale e logica, ecco richiedere l’intervento delle leggi, della polizia, degli apparati.
Quando si realizza un morbo, si attivano due specie di medicine: combattere i sintomi della malattia e, se è possibile, individuare le cause, oppure rinforzare l’organismo per prepararlo a non ricadere.
Allora, prima di provvedere agli anticorpi (“anti” ossia lotta contro i sintomi) è necessario individuare le cause e, soprattutto, il “terreno” esposto alla malattia.
Esiste un terreno favorevole ai femminicidi? Un terreno sociale e individuale. Ossia una etica collettiva, e una morale personale. Ogni delitto, furto o omicidio, è favorito dal calo dell’etica e della morale.
Il parlamento italiano, nella sua alta moralità nel combattere l’avversario nello scoprire le sue pecche e poi cantarle al popolo, è in grado di essere un ente etico e morale? Le leggi devono appoggiarsi alla eticità e alla moralità.
I delitti sono deviazioni delle coscienze. Possono le leggi statali incrementare le coscienze nel loro compito etico? È aumento di moralità la permissività all’aborto, al divorzio, all’omeo, ad altro?
C’era una volta il Vangelo, che rinforzava la moralità. Ma, per amore del cielo, non parliamo di Vangelo a uno stato consacrato alla laicità! Quanto fariseismo!
04.08.16

 

Nessuna danza

Nessuna danza

Il culto ebraico, non era un culto statico, ma movimentato. Canti, danze, movimenti. Tale movimento è ricuperato nelle messe africane, nelle quali il clero stesso esegue passi di danza. Culto di tutto il corpo, che si esprime. Anche le vesti e gli addobbi sono pieni di colori in movimento.

Nel culto cattolico occidentale, tutto invece è stilizzato, e i movimenti sono ben localizzati. Se togliamo le processioni all’inizio, all’offertorio, alla comunione, tutto il movimento è eseguito restando sullo stesso posto, in piedi, in ginocchio, seduti. Perfino ai preti è indicato quando possono muovere le mani e quando devono restare stilizzati. Non è considerata la spontaneità del gesto, che normalmente accompagna le parole. Talvolta, nelle messe dedicate ai bambini scappa fuori un battito di mani.

Perfino il gesto di donarsi la pace, lo si permette solo con le persone che stanno accanto. Se io che sto nel secondo banco voglio esprimere la pace a una persona, che mi è antipatica e che sta nel quinto banco, non potrei muovermi.

I banchi che stanno tranquilli in chiesa, invitano a una cerimonia statica in chi “assiste”. Gli unici che si muovono, secondo le rubriche, sono i preti e gli ufficianti, e – tra la gente – l’insostituibile raccoglitore delle elemosine. Perciò la messa si configura più che a un “popolo che cammina” a un teatro con attori e spettatori.

Tutto è ben regolato, per render gloria a Dio, che ha creato un mondo in movimento.

Per grazia di Dio, oltre ai liturgisti, ci sono anche delle persone che non ingessano la spontaneità.

06.10.15

I lati del morire

  I lati del morire 

Fabo, il dj fermato da un incidente che lo ha incatenato in un letto: lui pieno di attività frenato per sempre. La sua creatività, una volta indirizzata a inventare nuove trovate e nuove gag per i suoi giochi, sembra che ora non sappia utilizzare il suo nuovo doloroso stato.

Utilizzare il silenzio è prima di tutto, rendere il silenzio l’ambiente privilegiato per la preghiera. Noi che abbiamo appreso dallo Spirito di Dio, la dolcezza della preghiera silenziosa, è bello che preghiamo con lui, per lui, e assieme con lui. Gesù insegna la bellezza della preghiera, quella che è esplosa sul Tabor; Gesù insegna a pregare, ciò che non sa fare per niente l’Associazione Coscioni, che sa indicare soltanto una cosiddetta morte dignitosa.

Anche il cardinale Martini, affetto da Parkinson, aspirava a un morire dignitoso, quasi elegante. Egli semplicemente morì morendo. Una partenza, non una fuga. Una partenza con meta, non una fuga nell’ignoto o nel nulla. La paura del nulla suggeriva al salmista di pregare per la vita, non per l’abisso dove non si può più lodare Dio.

Verso la realtà della morte si articola una variazione della nostra speranza. Sperare verso la morte per una morte dignitosa, e nella morte per un trovarsi a vedere Dio. Giovanni, Prima lettera: “Allora lo vedremo così come Egli [Dio] è”. Alla morte cessa lo sperare, come cessa la fede, e si innesta per sempre solo l’amore. Alla spogliazione del vivere con fede e con speranza, segue la immissione totale nell’amore”. Tendere a questo è morire elegantemente.

 

 

27.02.17

Orizzonti etici

Orizzonti etici

È un bene o un male avere intriso di motivi cristiani il diritto occidentale?

Nella comunità cristiana delle origini, le liti e le pendenze tra due credenti dovevano essere risolte all’interno della comunità. S. Paolo rimproverava quei credenti, i quali per avere giustizia adivano ai magistrati pagani. Questi erano inesperti per quanto riguardava la dinamica interna ai gruppi cristiani. Quando poi, dal secolo quarto e in seguito, la fede cristiana si trasforma in “religione” e questa perfino in “religione di Stato”, le usanze interne ai gruppi cristiani si espandono e il diritto ne viene impregnato.

Questo comporta una parità tra esigenze dei fedeli e leggi dello stato. Lentamente le esigenze dei fedeli, in molti settori, diventano non necessarie e lasciate in oblivione, per evitare il doppione, fino a tacere, spesso, davanti ai dettati giuridici.

A questo punto il dettato giuridico si riveste di una certa assolutezza, sottolineata in modo energico dopo il periodo dell’Illuminismo. Tanto assoluto da sconvolgere certe esigenze cristiane, che ritornano, quasi esuli, nel grembo della precettistica cristiana. Oggi, praticamente, siamo ritornati, sotto molti aspetti (compreso quello delle persecuzioni) alle misure della chiesa delle origini.

L’aver affidato la fede alla cristianità, ha procurato una situazione di pericolosità della fede. Il periodo gregoriano, che sembrava aver esaltato il “potere” della Chiesa, in realtà ha iniziato il depauperamento del senso evangelico. Non per nulla Gesù aveva messo in guardia i suoi, perché non fossero come i potenti di questo mondo.

07.09.14