La ritorsione

La ritorsione
Un insegnamento salvifico, pieno dello Spirito di carità, lo leggiamo alla fine degli Atti degli Apostoli.
Paolo si trova a Roma agli arresti domiciliari, in attesa di essere giudicato dal tribunale imperiale.
Egli ha reclamato di essere giudicato a Roma, per sfuggire a una giustizia sommaria e al linciaggio per lapidazione, intentato dai Giudei, che si opponevano alla risurrezione di Gesù, proclamata da Paolo.
Or bene, Paolo poteva accusare i Giudei, per liberarsi dalla condanna. Egli invece proclama: “Non voglio accusare la mia gente”. Ossia egli distingue il difendere se stesso, dall’accusare gli altri.
È questa una distinzione molto fine, ma di una portata consistente nel realizzare la parola di Gesù, che dice di amare i nemici.
Difendere noi, senza offendere gli altri. Non è un agire facile, eppure necessario per la vita del cristiano.
Anche Gesù, durante i tre processi intentati contro di lui (Sinedrio, Erode, Pilato), si difende chiarendo e indicando meramente la propria posizione. Non era facile, ma lui ci riuscì bellamente.
Per me, e forse per noi, non è facile, quando siamo accusati oppure offesi, non ritorcere sugli altri, mentre ci offendono, le stesse accuse. Tanto più che quando siamo accusati, l’accusatore è afflitto dagli stessi mali, che egli rimprovera a noi. Gesù lo sapeva, quando ricordò la faccenda del bruscolo e della trave. Eppure non siamo mai dispensati dal “pregare per i nemici”.07.06.14

Padre nostro

Padre nostro
Padre nostro, sia santificato il tuo nome. Gesù ci stimola a riconoscere divino il nome di Dio, l’unico Dio vivo e vero. Riconoscerlo sotto quale aspetto? Quello di “Dio onnipotente, eterno, Signore del cielo e della terra”? Sì, anche questo. Però è opportuno osservare che Gesù ha appena riconosciuto chiarissimamente, e lo ha espresso, che Dio è il Padre. Quindi riconoscere divino (santo!) il nome (l’essenza) del Padre.
Tutti i titoli, attribuiti a Dio dalla cultura ebraica sono autentici, però Gesù estrae da essi e lo pone in evidenza il titolo (e l’essenza) del Padre.
Su questo imposta la sua vita, perché lui fa la volontà del Padre, che lo ha mandato. Quando insegna a pregare parte dal Padre, perché lui viene dal Padre, e ogni realtà è una realtà cosiddetta filiale. Il Padre crea, e ciò che è creato da un Padre, è timbrato di qualità filiale. Quanto più chiaro è colui che si sente e si riconosce il Figlio, e svela a noi uomini la nostra realtà di figli di Dio.
Padre nostro: quindi Padre di tutti, Padre che ama tutti, perché suoi figli: da qui scaturisce la fraternità universale, che si trova dentro le pieghe intime di ogni uomo.
Mi viene tristemente da sorridere quando ricordo che i rivoluzionari di Parigi urlarono la scoperta della “fraternité”, come figlia non di un amore, ma di una rivoluzione, prodotta nel sangue e nella morte: che bella “fraternité”28.
11.16

Meno estremismi

Meno estremismi
Ci fu un piccolo Galileo, che si chiamava Hahnemann. Galileo fu osteggiato dalla scienza, dalla filosofia e dalla teologia del suo tempo: l’ufficialità (e, ancor peggio, la Chiesa) si oppose! Scherzando, anche dopo la scomunica, disse: “Eppur si muove”, parlando della terra. Mi sembra che le scomuniche contro l’omeopatia, la naturopatia, e le “medicine alternative”, siano appunto la scienza odierna ufficiale e le case farmaceutiche, che stanno un po’ ripetendo la scienza ufficiale di allora. E gli omeopati dicono: “Eppur guarisce!”.
È vero che Hahnemann era un oppositore al vecchio slogan medico, alquanto battagliero: “Contrariis contraria curantur”, e proclami “Similia similiis curantur”.
È bello che le tanto raccomandate vaccinazioni sono più su una linea omeopatica, che sulla linea “combattiva” che intende, in qualche modo, trasformare il corpo umano in un minuscolo campo di battaglia, dove un male ravvisato si combatte con l’anti-doto, cioè con quello che gli si oppone, lasciando alla fine, l’organismo poco o tanto indebolito.
È vero che non sempre avviene questo. Ma questo, in prospettiva, può accadere.
Forse la strada migliore, come in ogni circostanza della vita, è quella di vederne le connessioni, i reciproci influssi e i reciproci aiuti, senza alcuna demonizzazione. Così l’azione collaterale e preventiva dell’un apporto, giovi a rendere meno ostico l’altro apporto. Ogni persona poi sceglie ciò che le aggrada, tenendo conto della propria esperienza e dell’esperienza di “tutte” le scienze, le quali sono sempre in evoluzione, proprio come l’uomo. 26.11.16

Ancora un passo

Ancora un passo
Dubito che si stia aspettando troppo ad ammettere al sacerdozio persone sposate e a conferire il diaconato alle donne. Proprio come era all’origine, quando i credenti in Gesù si moltiplicavano in modo esponenziale, poiché lo Spirito Santo non rifuggiva dal non celibato degli Apostoli, dei presbiteri, dei Papi. Il celibato è un valore, ma il bisogno dei fedeli non è da meno.
Pregare per le vocazioni è un’opera sublime, ma non è necessario pregare per “quel” tipo di sacerdozio. Siamo entrati in una nuova splendente era, dopo quell’inatteso “buona sera” di Papa Francesco. È arrivato il momento della non attesa: la gente e Gesù hanno fretta.
Perché non iniziare dal servirsi del carisma di quei sacerdoti, dovuti a interrompere il loro compito, soltanto perché hanno seguito la loro naturale tendenza ad amare e ad essere amati?
Il celibato è e rimane una scelta monastica, tanto benedetta nella storia. Ma perché renderla condizione irrinunciabile al servizio ecclesiale? Tra gli Apostoli (badiamo: scelti da Gesù!) troviamo gli sposati. Gesù rivolgeva il suo “Vieni e seguimi” a coloro che incontrava. Tra gli Ebrei del suo tempo, quasi la totalità dei maschi era sposata. Gesù difese, davanti all’opinione pubblica, coloro che si erano “castrati” per il Regno dei Cieli, tra i quali lui era il primo. Il “materiale” umano, dal quale Gesù estrasse i suoi collaboratori, era gente sposata, gente che, come Pietro, aveva anche una “suocera”, quella che Gesù non sfuggì, ma guarì dalla febbre.23.04.17

Intanto siamo noi la parola

Intanto siamo noi la Parola 31
Attendiamo il giorno nel quale la traduzione del Vangelo dal greco sia affidata a un vero filologo. Probabilmente io quel giorno non lo vedrò, ma ugualmente lo auspico di vero cuore.
Anche il tentativo di Lutero non è riuscito a donarci il sapore, filologicamente accettabile, di gustare la parola di Dio, nella sua freschezza e nel suo “entusiasmo”. Vangelo è la comunicazione di una inattesa grande gioia. Già subito dopo la nascita di Gesù, un annunziatore disse ai pastori: “Vi comunico una grande gioia”.
Perché per comprendere il Vangelo non è possibile una “presa diretta”? Certamente i Vangeli furono scritti in “lingua corrente” ossia in “coiné”, lingua da tutti compresa, perfino dai rozzi romani, che rimanendo rozzi, hanno poi sentito il bisogno di tradurlo in latino, latino allora corrente, sulla bocca anche dei rozzi militari e dei pratici commercianti. Purché sia traduzione, per allora, scorrevole. La Parola divenne uomo. Parola umana dunque.
È molto bello offrire la nostra parola alla Parola di Dio, perché rimanga sempre nostra. Noi, chiesa, riecheggiando la Parola del Verbo, manteniamo il Verbo tra di noi. Il Verbo divenne carne, e diviene quotidianamente carne nella nostra povera voce. Soprattutto facciamolo diventare carne umana nel nostro amore. Tutto quanto avviene in un “membro” del Corpo di Cristo, avviene in Cristo. È mistero, ed è la nostra realtà, quella che viviamo anche senza conoscerla. Eppure avviene, e in noi lo Spirito la ravvisa, e ci comunica invisibile il suo valore, il suo sentire, il suo essere.25.04.17

ntanto siamo noi la parola

Intanto siamo noi la Parola 31
Attendiamo il giorno nel quale la traduzione del Vangelo dal greco sia affidata a un vero filologo. Probabilmente io quel giorno non lo vedrò, ma ugualmente lo auspico di vero cuore.
Anche il tentativo di Lutero non è riuscito a donarci il sapore, filologicamente accettabile, di gustare la parola di Dio, nella sua freschezza e nel suo “entusiasmo”. Vangelo è la comunicazione di una inattesa grande gioia. Già subito dopo la nascita di Gesù, un annunziatore disse ai pastori: “Vi comunico una grande gioia”.
Perché per comprendere il Vangelo non è possibile una “presa diretta”? Certamente i Vangeli furono scritti in “lingua corrente” ossia in “coiné”, lingua da tutti compresa, perfino dai rozzi romani, che rimanendo rozzi, hanno poi sentito il bisogno di tradurlo in latino, latino allora corrente, sulla bocca anche dei rozzi militari e dei pratici commercianti. Purché sia traduzione, per allora, scorrevole. La Parola divenne uomo. Parola umana dunque.
È molto bello offrire la nostra parola alla Parola di Dio, perché rimanga sempre nostra. Noi, chiesa, riecheggiando la Parola del Verbo, manteniamo il Verbo tra di noi. Il Verbo divenne carne, e diviene quotidianamente carne nella nostra povera voce. Soprattutto facciamolo diventare carne umana nel nostro amore. Tutto quanto avviene in un “membro” del Corpo di Cristo, avviene in Cristo. È mistero, ed è la nostra realtà, quella che viviamo anche senza conoscerla. Eppure avviene, e in noi lo Spirito la ravvisa, e ci comunica invisibile il suo valore, il suo sentire, il suo essere.25.04.17

Intanto siamo noi la parola

Intanto siamo noi la Parola
Attendiamo il giorno nel quale la traduzione del Vangelo dal greco sia affidata a un vero filologo. Probabilmente io quel giorno non lo vedrò, ma ugualmente lo auspico di vero cuore.
Anche il tentativo di Lutero non è riuscito a donarci il sapore, filologicamente accettabile, di gustare la parola di Dio, nella sua freschezza e nel suo “entusiasmo”. Vangelo è la comunicazione di una inattesa grande gioia. Già subito dopo la nascita di Gesù, un annunziatore disse ai pastori: “Vi comunico una grande gioia”.
Perché per comprendere il Vangelo non è possibile una “presa diretta”? Certamente i Vangeli furono scritti in “lingua corrente” ossia in “coiné”, lingua da tutti compresa, perfino dai rozzi romani, che rimanendo rozzi, hanno poi sentito il bisogno di tradurlo in latino, latino allora corrente, sulla bocca anche dei rozzi militari e dei pratici commercianti. Purché sia traduzione, per allora, scorrevole. La Parola divenne uomo. Parola umana dunque.
È molto bello offrire la nostra parola alla Parola di Dio, perché rimanga sempre nostra. Noi, chiesa, riecheggiando la Parola del Verbo, manteniamo il Verbo tra di noi. Il Verbo divenne carne, e diviene quotidianamente carne nella nostra povera voce. Soprattutto facciamolo diventare carne umana nel nostro amore. Tutto quanto avviene in un “membro” del Corpo di Cristo, avviene in Cristo. È mistero, ed è la nostra realtà, quella che viviamo anche senza conoscerla. Eppure avviene, e in noi lo Spirito la ravvisa, e ci comunica invisibile il suo valore, il suo sentire, il suo essere.25.04.17

Due per altri

Due per altri
Due persone, donna e uomo, si incontrano e provano un’attrattiva reciproca, decidono di vivere insieme.
Credono di volersi bene, perché tra di loro scorre una reciproca intesa. Verso dove li conduce tale intesa?
Essa può limitarsi all’attraimento tra loro due, all’avvincere a sé l’altra persona. È il grande amore? Si può onestamente dubitare, perché le due persone potrebbero semplicemente servirsi l’una dell’altra, e circoscrivere il loro dichiarato grande amore, in un recinto di reciproco egoismo.
Molte persone ho incontrato nella vita, le quali coltivano uno o mille contatti. Solo per avvincere a sé molte più persone che possono. Questo può avvenire ovunque: a scuola, nell’ufficio, nei club, nelle associazioni e tra i preti e i frati.
Il passo verso la maturità umana, e perciò cristiana, è quello di unirsi tra persone per collaborare assieme per raggiungere scopi che superano le persone stesse.
È questa la maturità per attuare un serio e reale matrimonio. Amarsi per procreare ed educare, principalmente nella fede. Nella fede, non per il culto (preghiere e messa), ma per conoscere e amare Gesù in se stesso e nei fratelli.
Inoltre ogni vera amicizia, per essere vera e produttiva, deve intrecciarsi per produrre bontà, carità, salvezza per gli amici e per coloro che abbisognano di essere aiutati e salvati. E non sono pochi!
Certi amori folli, non sono amori, ma egoismi, tanto egoismi che spesso sfociano nell’uccisione dell’altro, o, che è lo stesso, con la strumentalizzazione dell’altro alle nostre passioni, o almeno ai nostri piani.
08.11.15

L’unità finale

L’unità finale
Le religioni devono incontrarsi per salvare il mondo, dopo le distruzioni dei diversi illuministi distruttivi. Le religioni si oppongono non per l’universale bisogno umano di salvezza, ma per le granitiche costruzioni di dogmi contrapposti.
È scontato che la verità ci farà liberi, ma non le molte interpretazioni della verità, fissate in sentenze incontrovertibili. Sentenze frutto di culture, ma non di rivelazione; frutto di profezie parziali, ma non della luce di Dio.
La verità è una: l’uomo che desidera la salvezza “dall’alto”, e Dio che si dona per salvare l’uomo. Dio si dona, come si è donato fin dall’inizio. Il mito di Adamo ci ricorda il dono di Dio all’uomo, Dio che “conversa” con Adamo, che si svela ad Adamo, donando anche indicazioni comportamentali ed etiche, per restare in contatto con il suo conversare.
L’impronta del colloquio iniziale, è rimasta nell’uomo, anche quando l’uomo decise di essere ramingo da Dio!
Quando mi riaffaccio alla povera storia umana, mi viene da sorridere sulla rivoluzione francese, che pretese di creare un nuovo cammino civile imponendo la “fraternité” come nuova fondamentale risorsa umana, scordandosi che fino ad allora gli uomini si vivevano fratelli, perché figli dello stesso Padre.
L’impronta indelebile di Dio, precedente ogni dogmatismo, è la creazione, anche quella dell’uomo, dalla quale nessuno può sfuggire. Riandare all’origine per vivere il presente. Anche l’Islam dovette ricorrere a un’origine per sentirsi sicura: Abramo. Ma Gesù ci dice, per rassicurarci: “Prima di Abramo, io sono”. 26.12.15

Simpatia in Gesù

Simpatia in Gesù
Durante il Concilio Vaticano secondo, si legge una pagina del tutto contraria alla “massa dannata” della quale scrive S. Agostino e che, fino a non molto tempo fa, era entrata nella liturgia. Questa pagina si esprime come la salvezza di Dio attraverso Gesù, si estenda e si ramifichi in ogni dinamica di tipo religioso, sia tra i credenti monoteisti, sia tra ogni altro sistema religioso. Gesù è il Gesù di tutti, sia di coloro che lo conoscono e lo accettano, sia tra quelli che lo conoscono ma non l’accettano, sia tra coloro che non sono arrivati alla sua conoscenza.
Quest’ultima categoria è destinata a scomparire lentamente, grazie anche al nuovo sistema delle comunicazioni sociali.
In tutte è presente Gesù, o come esplicitamente conosciuto e accolto, oppure come preparazione implicita o esplicita della sua accoglienza, una volta conosciuto. Comunque sempre presente in ogni manifestazione religiosa, essendo egli la salvezza attuale di ogni ricerca e attuazione religiosa.
La bellezza di questa dichiarazione conciliare ci rende simpatiche tutte le forme religiose: in esse possiamo trovare quel Gesù, che amiamo.
Se poi consideriamo che il non ancora scoprire che le religioni non cristiane, mancano di Gesù esplicito, ciò le rende povere della vera povertà esistenziale. Allora ci accorgiamo che Gesù le ama, perché è venuto per salvare i poveri e i peccatori. I poveri di Gesù riconosciuto e accolto, soffrono della povertà più accentuata nella gerarchia della povertà. E ciò rende il nostro cuore più sensibile e orante.
18.01.2016