Il sollievo del perdono

Il sollievo del perdono
La confessione è un sacramento per la pace non per il tormento. Essa è sacramento per la fede, non tribunale per la condanna. È via alla misericordia di Dio, non abisso di tenebre.
Perciò è un bene distinguere tra accusa di peccati, o descrizione di azioni malfatte. Lo scrupolo nel voler descrivere per acquistare una pace fittizia e che ci fa convincere che solo la descrizione del peccato e delle sue circostanze è necessaria al perdono è un inganno del nostro sentire, non una richiesta di Dio.
Accusa quindi, non descrizione. Accusa sentita come riaccostamento a Dio, alla sua bontà, convinti che a Dio interessa il cuore che ritorna, non il romanzo ben descritto. Dio è una persona seria.
Con gli intimi, che ci conoscono, basta uno sguardo per capirci reciprocamente. E Dio non è nostro intimo? Quel Dio che vede di noi ciò che nemmeno noi vediamo?
Dio, tra le molte cose di noi, vede anche la nostra paura o la nostra vergogna nell’esprime alcune nostre brutture, che ci riesce difficile manifestare a un confessore. Egli, nel perdonarci tiene conto anche di esse, e non vuole torturarci, imponendo una dolorosa descrizione.
La confessione è sacramento di misericordia, non tribunale di condanna. La stessa confessione sacramentale la viviamo con sentimenti diversi se ci accostiamo a un tribunale, oppure a un abbraccio del Padre. A Gesù bastava una donna in pianto, per regalare il suo perdono, mentre i commensali farisei stavano ricordando chi e che tipo di donna era “quella”. Loro vedono le azioni colpevoli, Gesù vede il cuore afflitto (pianto) e amante.
21.03.17

Liberazione e gioia

Liberazione e gioia
Gesù diede la sua “anima” in riscatto per molti. È la vita, tutta la vita per beneficare gli uomini. Riscatto in greco “lutron”. Il riscatto dei prigionieri (nel nostro caso: peccato, ignoranza, sottomissione agli elementi del mondo) Gesù lo versa facendosi lui prigioniero al loro posto, o, come si esprime S. Paolo, divenendo lui peccato per liberare coloro che erano (e sono) schiavi del peccato.
Ha donato la “vita”, ossia tutto se stesso, e non solamente la morte. Infatti è venuto non per condannare, ma per salvare. Nulla della sua vita si esenta al compito della salvezza, quasi lasciando alla sua morte questa incombenza.
Certamente la gioia della liberazione attuata da Gesù, non può e non deve diventare la tristezza di una sottomissione sofferta sotto il piede di chi comanda, in qualsiasi ruolo di comandante egli sia posto. Il potere, ogni potere compreso quello che deriva dalla sacralità, non deve opporsi alla libertà regalata da Gesù. Ogni oppressione è offesa contro il liberatore.
Che dire della presunta sottomissione delle coscienze a qualsiasi legge, che non sia la “legge della libertà” acquistata da Cristo, come si esprime l’Apostolo, e, in lui, si esprime lo Spirito Santo? La legge di Gesù è legge di libertà e perciò è “legge perfetta” (Cfr Gc 1, 25).
La legge che libera, non sottomette, ma esalta, perché eleva al piano di Dio: essa non genera dolore e tristezza, ma gioia. Quando le leggi e i comandi degli uomini, anche superiori, generano tristezza, esse vengono da Dio?
23.03.17

Disperazione personale e sociale

Disperazione personale e sociale
La disperazione induce a vendicarci anche di noi stessi. Non ho conseguito quel bene psichico, fisico, sociale, religioso che mi ero proposto? Cado allora nello sconforto della disfatta, e accompagno quasi istintivamente la disfatta peggiorandola. Non ho raggiunto la passione per la donna o per l’uomo? Allora o mi getto dalla finestra o getto il partner dalla finestra. Suicidio oppure omicidio, o tutti e due.
Non ho raggiunto la perfezione morale o religiosa, immaginata durante la mia adolescenza? Allora distruggo me in quanto religioso, proclamandomi ateo; oppure distruggo la mia vita morale, dandomi all’orgia o peggio. È quanto i giornali riferiscono accaduto nella diocesi di Padova, di Napoli, o di Vicenza, proprio all’interno del clero. La disperazione rende suicidi moralmente.
Disperazione. C’è salvezza? Sempre, se si aprono gli occhi e si guarda verso il cielo. Allora si vedono le braccia di Dio aperte, e lo si ringrazia anche per l’incidente, che ha presentato agli occhi di tutti la rovina della disperazione. Allora o si progetta rivalse e vendette, o si apre alla confidenza sia nel Padre, che nelle persone che possono capire e perdonare i nostri errori.
La corruzione dei costumi (ladrerie e dissesti sessuali) si accompagna all’aumento dei suicidi. Sono essi le due facce di una società disperata. I santi e i credenti non si rivolgono né a suicidi fisici, né a suicidi morali. In loro c’è l’accettazione delle proprie debolezze e della “connessa necessariamente” misericordia di Dio.
Quanta disperazione serpeggia nelle cosiddette legislazioni moralmente permissive!
19.02.2016

Credo: risorgerò

Credo: risorgerò
So, poiché credo, di essere risorto in Gesù. Questa realtà come incide nella mia vita? La “sento” mia davvero? Gusto per il fatto di essere risorto? La risurrezione di Gesù mi coinvolge? Mi dona sicurezza?
Non so nulla, eppure ho sempre puntato sulla Risurrezione, sapendo che essa è il fulcro della mia esistenza di povero redento. Non esiste una “misurazione” dell’essere risorti. Esiste certezza intellettiva e speranza affettiva: probabilmente è questo il seme piccolo, che testimonia sulla mia fede.
Gesù Risorto è il mio vanto in quanto cristiano: questo lo vivo davvero, e questo lo comunico agli altri e lo condivido con le persone con le quali sono collegato da affetto, trovando anche felicemente persone che lo condividono con me.
Immersione in Gesù Risorto, felicitazione con lui. Festa per il culmine della salvezza da lui raggiunta e a noi prospettata e assicurata. Molti sofferenti si rivolgono ai radicali per avere morte. Noi ci gloriamo in Gesù per avere vita. Lì la disperazione che ci fa morti, per un desiderio dubbio di liberazione. Qui la speranza si fa attesa per una certezza di una libertà, anche nel pieno della sofferenza. Come avvenne di Gesù, che fu talmente sicuro della sua vita da trascinare con sé il ladro crocifisso e implorante.
Quanta tristezza e pena verso coloro che cercano e producono morte! E quanta consolazione per noi che crediamo a una vita indelebile, mettendoci di fronte al nostro specchio immortale, a Gesù morto e risorto. La nostra preghiera è per la vita, sicuri che la vita ci ghermirà. Per sempre!
15.04.17

La grazia del colloquio

La grazia del colloquio
Un colloquio autentico aiuta le due persone a prendere coscienza di se stesse. Tale è il colloquio di Gesù con la Samaritana. Dalle prime battute incerte, eppure sincere, si arriva alla fine allo svelarsi di Gesù. Il colloquio confidente non lascia le due persone indifferenti, soprattutto se le persone, nel colloquio, sono stimolate a stimarsi. La stima ricevuta libera dall’autodifesa, rende la comunicazione sciolta perché non c’è nulla da nascondere a una persona che ci stima e che noi stimiamo.
Il colloquio si fa libero, e da noi esce spontaneamente ciò che in quel momento sentiamo. Di più: spesso nel colloquio sciolto si ridestano in noi sentimenti e percezioni, che avevamo dimenticate e ci comunichiamo, riprendendo come una nuova percezione e padronanza di noi. Il colloquio è capace di ridestare a noi una più chiara percezione di noi. Nel colloquio semplice e sincero riguadagniamo proprio noi stessi e ci offriamo spontaneamente all’interlocutore. Il colloquio è una reciproca rivelazione.
È quanto accadde a Gesù e alla Samaritana in quell’incontro al pozzo di Sicar. La Samaritana si accorge di ciò che ha fatto, e Gesù si mostra il Messia: è colui che ti parla.
Gesù viene a scoprire anche che, proprio trattando con la donna, gli riesce di fare la volontà del Padre (superamento della fame) e di scoprire i campi biondeggianti di messi. Lui stimola la fede della donna, la donna lo spinge a mostrarsi: vedo che sei un profeta. Da notare anche le titubanze e lo schermirsi iniziale: a poco a poco, superando nell’accendersi progressivo del colloquio. Colloquio come svelamento: egli conversò con l’uomo!
19.03.17

Missioni 2

Missioni 2
La primaria missione del battezzato e di ogni missionario cristiano è quella di annunciare Gesù: morto risorto Salvatore. “Venni da voi per annunciare Cristo, e questi crocifisso”, ribadiva S. Paolo alla Comunità di Corinto.
Gesù è sempre accompagnato dalla verità e dalla carità. Trinomio missionario: Gesù, verità, carità. Trinomio di pari valore, senza prevaricazioni, perché l’identico Gesù è verità e amore. Dove si realizza, in nome di Gesù, la verità o la carità, ivi si attua Gesù.
E’ opportuno realizzare anche il beneficio sociale nel nome di Gesù. Tuttavia può essere un nome detto sottovoce: “Tutto il bene che avete fatto a uno che ne ha bisogno, l’avete fatto a me!”. Più di qualche missione si apre come azione di solidarietà, eppure è lo stesso modo di esercitare la solidarietà, che acquista uno speciale colore, quando chi esercita la solidarietà vive cristianamente il suo operare. C’è il timbro di volontario cristiano, anche se mai dichiarato, in chi solidarizza spinto dalla fede e dalla carità di Cristo.
Questo timbro è vissuto in modo visibile nei gruppi missionari, che aiutano tutte le opere dei missionari stessi. Alcuni gruppi, o persone, che sostentano i missionari, mirano a sostenere soltanto l’assistenza sociale operata nelle missioni. Opera buona, questa, ma incompleta a livello di coscienza. Fortunatamente l’amore di nostro Padre sa aggiustare le cose, perché i sostentati sono anch’essi tutti suoi figli.
Comunque, fare il bene produce sempre bene, perché Gesù sta nel povero, nel sofferente, nell’affamato.
GCM 07.11.14

Anima, oggi

Anima, oggi
Nella regola, scritta da S. Francesco e che, necessariamente rispecchiala mentalità del suo tempo, è indicato (e probabilmente) comandato di obbedire a tutti gli ordini, che non sono contrari “alla sua anima e alla nostra regola”.
Di strappi alla regola, appoggiati dalla Santa Sede, ci sono stati a bizzeffe. Per esempio, quello di potere “toccare” e servirsi del denaro.
Come calare nel nostro tempo, nelle scoperte scientifiche, filosofiche e teologiche di oggi, il dettato di S. Francesco?
Di certo e per sempre della regola francescana è l’inizio nella Regola: “Osservare il santo Vangelo”. Tutto il resto, nei secoli, ha subito molte, e talvolta, contradditorie, variazioni.
Con le molte scoperte psicologiche e fisiologiche, oggi che cosa significa “anima” e, per conseguenza, “contraria all’anima”?
Oggi per anima si può ancora intendere quella parte che è opposta al corpo, e che è una specie di aggiunta al corpo stesso?
Oggi si preferisce parlare di soma e di psiche, come situazione concreta nel parlare dell’essere umano. Che cosa è contrario alla psiche? Tutto ciò che offende la nostra vita somatica, emozionale, intellettiva, e spirituale. Ogni trauma che colpisce uno di questi “livelli”, colpisce la vita (anima di allora) dell’uomo.
Allora contrario all’anima, è ogni situazione antiumana, che ferisce la psiche o il soma.
Quindi ogni imposizione disarmonica con la persona è “contraria all’anima”, anche le imposizioni cosiddette ufficiali..
06.10.16

Missioni 1

Missioni.1
La Chiesa è missionaria, perché tale l’ha voluta Gesù. “Andate e annunciate”. Essa è stata voluta per l’annuncio, e, diventata Chiesa, è sempre timbrata dalla parola, consacrata a parlare.
Parlare agli uomini affamati di pane, di verità, di Dio. “Dacci il pane quotidiano”. “Lo Spirito vi introdurrà in tutta la verità”. “Chi mangia me, vivrà senza fine.”
Il missionario è portatore di Dio (Eucarestia), di verità (Vangelo), di pane (“mi avete dato da mangiare”). Aiutare le missioni è aiutare l’opera di Gesù nel mondo, l’opera di salvezza dell’uomo, spinto da tre tipi di fame: pane, verità, Gesù.
Aiutare i missionari è un impegno che include la socialità e la beneficenza, ma le supera, come scriveva anche Teresa di Calcutta. E il superamento è nel donare la verità (Vangelo diffuso con la parola detta, scritta, visiva), e soprattutto donare Gesù, sempre presente tra noi, in modo strano e sublime, nell’Eucarestia.
L’aiuto alle missioni è aiuto alla vita in molte maniere: mense, elemosine, adozioni a distanza, educazione. E’ anche aiuto a sostenere la propagazione della verità (conferenze, stampa, pubblicità). E’ soprattutto aiuto a mantenere presente e operante Gesù tra noi, anche per mezzo dell’Eucarestia. La grande missionaria moderna, Teresa di Calcutta, non trascurava la quotidiana adorazione all’Eucarestia.
Chi aiuta i missionari può privilegiare uno dei settori da aiutare (spesso emerge il settore dell’assistenza sociale), ma deve sempre coordinarsi con il settore della verità e dell’Eucarestia.
06.11.14

Eucarestia stimolo alla festa

Eucarestia stimolo alla festa
Proprio l’”eucharistein” fonda ed esprime l’autentico linguaggio liturgico della Chiesa dell’inizio. Eucarestia come entusiasmo, il ringraziamento come cifra dei cristiani che si radunavano a cena nel ricordo del Risorto.
Perché ringraziamento? Perché era tradizione ebraica, passata alle comunità delle origini, e perché Gesù stesso iniziava il suo rivolgersi al Padre: “Ti ringrazio, Padre, perché…”. È il senso della “beracha” (benedizione) diffuso tra gli ebrei e tra i cristiani delle origini.
Ringraziare fin dall’inizio è indice di una partecipazione affettiva, che sorgeva dalla riconoscenza. Si sa che si è riconoscenti per aver gustato un bene, non per esprimere il risultato freddo di una logica: ho avuto un bene, quindi ho l’obbligo di ringraziare.
Le liturgie domestiche dei cristiani hanno continuato per lungo tempo e sono state le uniche liturgie dell’inizio: una azione nel gruppo, in casa (più tardi nei titoli, ossia nella case capienti), un raduno familiare. Tra conoscenti, che si vivevano fratelli in Gesù.
Non sempre era fissato un giorno stabilito; quando decidevano di incontrarsi per i cristiani era festa, la festa del ringraziamento. Ossia: non era l’Eucarestia che si faceva in un giorno di festa, ma l’Eucarestia era la festa. Tanto più che non in tutto l’impero romano era in vigore il tempo scandito per sette. La settimana si è fatta sentire sotto l’influsso ebraico-cristiano.
Però nei raduni eucaristici, lentamente, si è inserito il simposion (brindisi) dentro il pasto comune (pane). Così si è specificata meglio la presenza del pane e del vino.
28.09.16

Espansione e fuga 4

Espansione e fuga 4
Accenniamo alla trafila dei passaggi dinamici verso una comunità conventuale viva: il vivere insieme, l’accorgerci dell’altro nelle sue capacità personali e sociali, l’amicizia sfruttando le affinità di genere, la fratellanza costruita sebbene non sempre del tutto non naturale.
E’ un tragitto laico, psicodinamico, non cristiano? Purtroppo gli spiritualisti lo affermano, denigrando la psicologia. In realtà questi passaggi, in chi crede, sono accompagnati da preghiera e si vivono come frutto squisito dello Spirito Santo. Paolo dice cose affini nella lettera ai Galati.
Quando una comunità di genere uguale, è giunta alla fraternità, che è azione dell’uomo e dello Spirito, allora resta il completamento, anche questo stimolato dallo Spirito Santo. Una comunità che si vuol bene, oltre al trattarsi bene, è pronta all’espansione nella carità verso quanti non fanno parte della comunità: opere sociali, culturali, pastorali, impregnate di fratellanza anche quando sono attività del singolo.
Chi esce da un contesto di amore, porta sempre con sé l’effluvio dell’amore. Esce dal convento non per fuggire, ma per espandere il calore conventuale.
E reciprocamente l’affetto che gode fuori comunità, donatogli da altri, egli lo ingloba nella stessa comunità. Infatti egli esporta l’affetto, lo semina, e lo raccoglie per arricchirne la fraternità. Proprio da ciò si nota se un fratello è bene inserito nel proprio gruppo, perché l’affetto che vive al contatto con gli altri, non è sequestrato e fa parte della fuga, ma è comunicato, frutto dell’espansione, ossia dell’azione dello Spirito Santo in ogni cuore.
GCM 18.06.13