Amare i nemici

Amare i nemici  

Gesù ci dona un’indicazione, che si presenta strana, persino – a parer nostro – contradditoria: “Amare i nemici”. Se sono indegni di amore, come significa il vocabolo, perché costringerli a cambiare situazione?

Secondo i nostri (non intelligentissimi) criteri, qui stridono note stonate.

Però non guasta rammentare che Gesù è Dio, quindi creatore di nuove realtà: “Ecco faccio nuove tutte le cose”.

Per Gesù il nemico amato, cessa di essere nemico. È il miracolo della carità “cristiana”, ossia di Cristo.

Forse noi ci dimentichiamo che nel credente vibra l’energia di Cristo, che usa dire Spirito Santo.

Quando Gesù ci indica di amare i nemici, con l’indicazione immette in noi la forza per realizzare la sua parola.

Amando i nemici, nella forza di Gesù, creiamo una nuova misteriosa realtà.

L’amare il nemico, cancella l’inimicizia; almeno la parte di inimicizia, che cova in noi, come una serpe.

Evidentemente amare i nemici, è indicato a quelli che vogliono vivere e vivono da “cristiani”. Coloro che il Padre aiuta, con il suo Spirito, affinché scovino nel proprio intimo i fermenti della creazione e della salvezza, fermenti attivi sia nella creatura, uscita dalle mani amorose del Padre, sia nel credente partecipe dell’amore di Gesù.

“L’amore più grande è donare la vita per gli amici”, non una vita dormiente. Dare la vita per gli amici. Lui continua a donarcela. Ecco l’Eucarestia e il Vangelo.

Ostacoli al dialogo

Ostacoli al dialogo 

Comunicare tra persone è uno dei doni e dei privilegi della natura umana. Il metodo più usato è la comunicazione verbale: il grande dono della parola. Soltanto gli uomini si capiscono parlando. Gli animali talvolta si intendono con i suoni.

Però non tutti sanno comunicare opportunamente. Infatti il comunicare deve essere bidirezionale: parlare e ascoltare.

Purtroppo sorgono ostacoli alla comunicazione, perché due estremi impediscono l’intendersi a parole: il mutismo e la logorrea.

Il mutismo si oppone al parlare; la logorrea è nemica dichiarata dell’ascoltare.

Non è raro incontrare persone che parlano a iosa continuamente, impedendo l’intervento dell’interlocutore.

Il mutismo è difesa eccessiva della propria interiorità. Talvolta è autentica assenza di ideazione. Può dipendere da una insicurezza delle proprie idee, o dalla volontà di dire all’altro il bisogno di essere lasciati in pace. Socialmente il mutismo spesso è tollerato dall’interlocutore (si fa per dire: interlocutore). La logorrea indispone molto di più: tra il popolo le donne logorroiche, sono tacciate da “comari”.

Socialmente è meno tollerata la logorrea che non il mutismo.

Esiste una situazione particolarmente abbruttita a causa della logorrea: il rapporto cosiddetto psicoterapeutico, nel quale una persona ha da “raccontare” per tutta l’ora.

Evidentemente non si tratta di “terapia”.

17.01.20

La reazione di fede

La reazione di fede  

Gesù è sempre nuovo, quando lo incontriamo per viverlo e amarlo.

Nel Vangelo di Giovanni (c. 7), vediamo una doppia reazione davanti a lui e alla sua parola (la parola di Gesù può essere scambiata per una dottrina soltanto?).

Le reazioni: “Questo è davvero il profeta”. “Questi è il Cristo” (comunque interpretato). Contro queste affermazioni, ecco il solito dubbio: “Il Cristo viene forse dalla Galilea?”.

Il contatto semplice con Gesù, porta a vedere il profeta o il Cristo. La riflessione su base del già conosciuto, fa germogliare il dubbio. La dottrina contro la semplice esperienza. Notiamo: si tratta non di una dottrina campata in aria, ma basata sull’insegnamento “religioso” degli scribi.

L’insegnamento e l’avvertimento per me sono netti: lasciarmi trascinare dalla parola di Gesù, e non pretendere di strascinare Gesù dentro i miei poveri concetti.

Al mio desiderio vitale di essere pervaso dalla salvezza e dall’amore di Gesù, deve corrispondere un lasciare che la sua parola (il Logos!) mi permei. Al suo contatto (non solo l’Eucarestia è contatto impensabile con Gesù, ma anche il Vangelo certamente) la fede soltanto mi salda a lui, quella fede che si trasforma in preghiera del cuore.

La mia “ricerca esegetica” per sapere se è nato in Galilea, deve essere cancellata dal mio immediato percepire il mio Gesù della fede.

E allora ogni contatto è novità

Il futuro della speranza

Il futuro della speranza  

Da ora in avanti non peccare. Sappiamo che sono parole uscite dalla misericordia di un cuore, che conosce e “apprezza” le nostre debolezze, tra queste anche l’inciampare nel peccato.

Gesù non si arresta nel passato forse neppure per condannarlo (io non ti condanno), ma guarda alle possibilità affermate nel futuro: non peccare da ora in avanti.

A tutti noi si apre un futuro radioso: l’escatologia di risurrezione. Lo sguardo del credente preferisce il futuro, dove ci attende il Signore.

L’uomo non può far altro che voltarsi indietro: ed ecco l’esigenza della ricerca storica. Il Risorto ci indica la risurrezione, da lui contagiata a tutti noi.

Purtroppo spesso trascuriamo lo sguardo cristiano. Perfino in alcuni funerali, “cristiani” solo perché celebrati in luogo “sacro”. Spesso la gente, e anche il prete, si soffermano nel riandare ai meriti e ai demeriti del “povero cadavere”, che se li sente cascare addosso, mentre lui sta assaporando un’altra dimensione: quella della speranza attuata.

La morte è un confine: di qua la storia passata; di là l’eterno presente.

È bello e consolante vivere il “di qua” già illuminato di eterno, di fulgore divino. Proprio come lo viveva Gesù, il quale già strappava assaggi di eterno nel suo essere, nel suo parlare, nel suo operare, in modo speciale attraverso i miracoli, piccoli sprazzi di risurrezione.

Non è possibile affermare, come sembrano pretendere alcuni politici, che il futuro è nelle nostre mani, perché il futuro è solamente nelle mani di Dio. Però esso diventa nostro se ci affidiamo alle mani del Padre, e a Gesù Risorto.

Nella Luce trovare la Luce

Nella Luce trovare la Luce

Tutti siamo caduti nell’errore dei Magi.

Noi, nelle nostre povere riflessioni, e anche non pochi teologi e filosofi e scrittori nei loro “vangeli apocrifi”.

L’errore dei Magi ha provocato la strage degli innocenti.

Essi ricevettero un avviso non umano, che sapeva decisamente di situazione straordinaria. Obbediscono allo stimolo speciale, ma poi interpretano l’avviso che era nato un re, secondo il criterio umano: un re sta nei palazzi.

È vero che non avevano capito bene di che re si trattava. Quindi, secondo calcoli umani, si recano dall’unico re dei paraggi e si imbattono in una persona poco pia, in quell’Erode, capace solo di omicidi.

Il testo di Matteo rileva bene: abbandonano Erode ed ecco riapparire la stella.

Per raggiungere Gesù, alla prima luce, si aggiunge una nuova luce dello stesso genere. La seconda luce, completa la prima.

Le illuminazioni che vengono da Dio si trovano solo riportandole a Dio stesso.

Gli stimoli, che Dio ci offre (e sono innumerevoli!) devono essere illuminati dalla parola di Dio. E fino a quando non troviamo nel Vangelo o nella tradizione la luce autentica, è bene rimanere nella sospensione della preghiera e del rileggere il Nuovo Testamento, e anche l’Antico, che è sempre “Parola di Dio”.

Impariamo dall’errore dei Magi, a cercare la luce, in colui che si autodefinì: “Luce”.

Certamente anche per noi: “Quando rividero la stella, godettero grandemente”.

 

Dio si spiega con Dio

Dio si spiega con Dio

Sto scorrendo un libro, che ha la bella intenzione di scoprire la carica di guarigione inclusa nel Vangelo, ma finisce di servirsi del Vangelo per desumere indicazioni psicanalitiche.

Ho capito uno dei motivi, per il quale il Padre ha prolungato la mia vita: pentirmi dei peccati passati e affidarmi con tutto me stesso alla dolce misericordia del Padre.

Ricordo che molti decenni fa ho scritto: “Il Vangelo secondo Rogers”. Desideravo trovare nel Vangelo ciò che Rogers scriveva, e così mi sfuggiva ciò che il Vangelo mi diceva.

Poi la bontà di Dio (e alcuni blaterano che lo Spirito Santo non esiste) mi ha fatto vedere una cosa elementare, spesso dimenticata, che cioè la Parola di Dio è adeguatamente spiegata solamente dalla Parola di Dio.

Allora ho iniziato a cercare chiarezza in S. Giovanni, nel ricorrere a S. Luca, e quella di S. Luca in S. Matteo, e quella di S. Matteo in S. Paolo, e quella di S. Paolo in S. Giovanni nell’Apocalisse, e quella dell’Apocalisse nel Vangelo vivente nella Chiesa, nella quale il Verbo di Dio è sempre presente e illuminante.

Spesso certe situazioni del Nuovo Testamento sono illuminate dall’Antico Testamento, che – vedi il caso! – è pure Parola di Dio.

Non so se quanto sto scrivendo echeggia alla lontana, e in dimensioni molto rimpicciolite, quanto scrisse quel grande nelle sue “Confessioni”.

Eppure il dono della vecchiaia permette di vedere oggi, ciò che ieri sfuggiva.

 

Gioia del pregare

Gioia del pregare

Una gioia intensa è vissuta da noi, che siamo di Gesù, cioè – come dice Paolo – quelli di Cristo. È la gioia interna alla preghiera (evidentemente, non necessariamente alle preghiere).

La gioia di crederci, saperci, viverci nel contatto con il Padre.

Già il salmo ci avvertiva che Dio si fa presente ogni volta che lo invochiamo.

Dopo la realizzazione inedita di Dio-Padre, come Gesù ce l’ha rivelato, quando invochiamo il Padre, il Padre è già presente e noi ci immergiamo soavemente in lui.

Immersi nel Padre, non per modo di dire, ma realmente. Tu, Padre, sei qui con me, mi vedi, mi accogli, mi ami. Quando questo tuo figlio si immette in te, tu rinnovi per lui, tutto l’affetto immenso. Possiamo quasi immaginare e dire che ti facciamo il piacere di riviverti Padre, Padre che ama.

La dolcezza del pregare!

Una nuova aria calda, un nuovo entusiasmo, una nuova gioia si effondono nel nostro cuore. E allora ci sentiamo dolcemente commossi (certe volte fino alle lacrime) nelle braccia del Padre.

Riusciamo perfino a intuire, perché Gesù trascorresse le notti in preghiera. Come si fa a staccarsi dalla beatitudine dell’essere tuffati nel Padre?

Quando pregate, non blaterate molte parole, ma semplicemente dite: “Padre, è santa la tua persona!”. Immersi nella santità (divinità) del Padre, siamo divinizzati.

 

Andare con Gesù

Andare con Gesù

Dove vado io, voi non potete venire. Così afferma Gesù, parlando con i Giudei.

Che cosa impedisce i Giudei nel seguire Gesù? La religione? No: ne avevano anche troppa, nel seguire la Legge di Mosè. Ricordiamo S. Paolo, che rammentava il proprio fervore giovanile nell’adeguarsi alla Legge fino a perseguitare i cristiani… con molto fervore.

Semplice la risposta: i Giudei non credevano davvero. Senza fede, si è concretamente atei, nonostante le “immagini” di Dio che riusciamo a compitare. Immagini personali o immagini sociali. Immagine è sinonimo di idolo. Idolatria è assenza di fede.

La nostra idolatria personale si esprime facilmente: io Dio lo penso così. La fede dice semplicemente: Dio, il Dio vero e reale, è il Dio di Gesù. I Giudei rifiutando Gesù, rifiutavano il Dio di Gesù, e, per conseguenza, Gesù-Dio.

“Voi non potete venire”. Soltanto seguendo Gesù (“dove vado io”), si incontra semplicemente Dio.

Soltanto noi, felicemente aderenti a Gesù, possiamo “contattare” di persona il Dio vero, l’unico vero Dio!

Lo possiamo e lo dobbiamo contattare, seguendo Gesù e impersonandoci in lui, anche per chi non sa contattarlo, perché “voi non potete venire”.

Il nostro contatto vitale con Gesù si realizza nella fede (promossa e attivata dallo Spirito), che è la gioia del Padre, della quale è pervasa la nostra vita.

 

Anticipo di Paradiso

Anticipo di Paradiso

Pregare è l’anticipo del Paradiso.

Percepiamo così che vien fatta la volontà (amore intimo) del Padre come in cielo, così anche in terra.

Il pregare, a cuore aperto e commosso, è il trovarci nel Regno che viene. Regno che si sta attuando.

Dal pregare dipende la capacità di trovarci già nell’immensità del Padre, il suo Regno, e di credere con fiducia nella dimensione escatologica.

Dal pregare sgorgano le nostre azioni, quelle che Gesù vuole siano palesi. Vedano le vostre opere buone, e riconoscano in esse la presenza anche in terra del “suo regno”.

Il pregare è il tuffo in Dio, affinché “rinnovi la nostra giovinezza”.

Dentro il pregare è nascosto il giubilo di gustare il Vangelo.

Possiamo pregare senza pronunciare preghiere, perché la nostra semplice vita – se non la deturpiamo con le nostre sciocchezze – è già radicalmente preghiera: gloria di Dio è l’uomo vivente.

Il nostro camminare, il nostro rivolgerci al Padre, assaporando la sua luce, la pace sua, la sua generosità, la sua misericordia, tutto è preghiera, vissuta nello Spirito.

Quando preghiamo il Padre cala un lembo di cielo sulla terra, e anche attraverso di noi, il mondo si illumina.

Il pregare è agevole, naturale. Sottrarci alla preghiera (che è diffusa nella nostra giornata) è lasciare il mondo nella tenebra.

Quanto è buono il Padre!

 

Il Padre e oltre

Il Padre e oltre

Il Padre procede sempre oltre. Ce lo dimostra Gesù nell’episodio della resurrezione di Lazzaro.

I giudei dicono: “Non poteva costui, che ha aperto gli occhi al cieco, far sì che questi non morisse?“ E’ il minimo che si esige da un guaritore: risanare un malato.

Un passo oltre è compiuto da Maria, la sorella del morto: Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto”. Non solo guarito, ma anche strappato alla morte.

E Marta, l’altra sorella aggiunge: “So che risorgerà nell’ultimo giorno”. Una aspettativa oltre la malattia.

Gesù procede: “Io sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se morto, vivrà.” Ecco il “resto” che Gesù riserva a sé per il bene degli uomini, Gesù è quell’aggiunta alla nostra visuale delle cose. Quell’oltre che ogni giorno porta il sorriso sul nostro continuo tramontare.

La fede è abbandono sereno all’opera di Dio. L’Onnipotente che tutto può, sempre secondo la sua visuale misericordiosa. Anche il morire dell’uomo, è un dono: sottrarre l’uomo a ulteriori mali, disseminati nel vivere, e beatificarlo della diretta partecipazione di Dio. Quella partecipazione che, quando davvero ci pensiamo, ci riempie di beata commozione.

Accorgerci del quotidiano oltre di Dio, Padre buonissimo, e affidarci semplicemente alla sua opera, ci rassicura. E allora il nostro riflettere, il nostro operare, il nostro credere si svilupperanno nella serenità.