Dio visibilmente

Dio visibilmente  

Davanti al dinamico e all’eccesso della natura, e, tenendo presente anche l’ipotesi comune di una rivelazione primordiale (Dio che conferisce con Adamo), l’uomo si è trovato sempre davanti alla presenza misteriosa del divino.

La tendenza umana a rendere definibile il mistero, ha sempre cercato di scoprire la faccia di quest’essere occulto. Dopo la rivelazione ad Abramo, una certa definizione di Dio si tentò, fino alla rivelazione di Dio al “suo” popolo.

Tuttavia era fatale alla persona umana avvicinarsi a Dio utilizzando le proprie facoltà, tra queste i cinque sensi. Questi, per essere appagati abbisognano di vedere, di toccare, di udire. Ed ecco la ricerca di una definizione, di una immagine di Dio. Allora tutto ciò che era arcano per l’uomo fu rivestito per poter essere collocato.

Le cose misteriose, come il sole, la vita delle piante e degli animali, l’organizzazione familiare e statuale, tornarono utili per dare una faccia al divino misterioso. Si formò allora la mitologia e si formò l’idolatria.

Perfino il popolo della rivelazione pre-cristiana ebbe necessità di “collocare” il divino (arca, tempio).

Il Padre, nel suo amore, avendo lui creato i sensi anche per essere conosciuto attraverso di essi, volle mostrarsi sensibilmente e visualmente all’uomo, anche per appagarne il bisogno di vedere.

Ed ecco il dono dell’incarnazione: Gesù.

Nel covid la speranza

Nel covid, la speranza  

Trascorriamo un periodo aggravato dalla preoccupazione, o anche dal terrore, per il covid-19. E tuttavia, all’interno di questa bruma, rispunta una parola, di cui è costellata la Parola di Dio, Antico e Nuovo Testamento: beato, beati. Il termine “felice”, che vanta un significato analogo e che pure è presente nella Bibbia, vanta una frequenza meno numerosa.

La preferenza del termine “beato” forse è dovuta al fatto che il “beato” include una qualche relazione con Dio, mentre la felicità sembra riferirsi di più all’uomo.

Nella tragedia del covid, parlare di beatitudine potrebbe sembrare uno scherno, un sarcasmo; eppure proprio ora è il suo posto.

Se ricordiamo la prima beatitudine di Gesù, pensiamo a un sarcasmo oppure a una diversa apertura?

Beati i poveri! Certo che l’accostamento dei due termini sembra un’assurdità: felicità e povertà! È ironia oppure realtà?

Proprio il motivo di questa beatitudine ci pone subito all’interno di una diversa prospettiva: “Di essi è il Regno dei cieli”. Regno dei cieli è semplicemente “Dio”.

La prospettiva di Gesù, è la prospettiva di chi vede tutta la realtà, ogni realtà, e non solo “il fattore sconosciuto” come si diceva nel passato.

La povertà è stimolo alla speranza oltre che al pianto. La speranza è frutto dello Spirito Santo.

Proprio perché lo Spirito agisce in noi, la povertà diventa beatitudine.

Ammantare di Gesù

Ammantare di Gesù  

Gesù non contraddice la Legge, bensì la completa. La completa non solo “indicando” (fu detto, ma io vi dico) ma riempiendola di sé. Ci indica di guardare ogni bontà e ogni situazione immettendovi in essa la nostra fede in Gesù presente, che dà valore divino alla bontà umana.

È costume cristiano lo scoprire l’opera di Dio dentro l’agire umano. Nulla di quanto è nell’uomo o nella creazione sfugge alla mano del Padre. Si canta: “Cieli e terra sono pieni della tua gloria!”. Non è un mero modo di dire, bensì una profonda consolante realtà: nulla di noi sfugge all’attenzione provvidenziale di nostro Padre.

Chi trascura la presenza del Padre, viene “dal basso” (per dirla assieme con Gesù); chi sente e scopre nella realtà l’azione del Padre, viene “dall’alto”.

Insomma, riecheggiando i salmi e il Vangelo, dallo spirito, se crediamo davvero; oppure dalla carne, se ci fidiamo di noi o dei molti arruffapopoli della cosiddetta “cultura”, o dalla politica urlata.

È entusiasmante e consolante vivere ogni realtà, ammantata dalla presenza del “Verbo del Padre”. Allora le giornate diventano luminose, e l’attesa di ricongiungersi al Padre, soave e corroborante.

Con Gesù, trascorriamo i giorni della nostra vita, continuamente percependo Dio presente, operante, consolante.

Gloria di Dio

Gloria di Dio  

La gloria di Dio è l’uomo vivente: così la vera parola. Il cinico aggiunge: Si vede che Dio s’accontenta di poco!

Non so se il signor cinico riesce a creare qualunque oggetto dal nulla.

Ammiriamo i creatori nell’arte e nella scienza. È bene. Resta un “però”. Però scienza e arte producono anche cose meravigliose, partendo però dall’esistente. Se il cinico riuscisse a creare anche una sola mosca “dal nulla”, allora tutta l’umanità lo esalterebbe.

L’uomo vivente raduna in sé tutte le meraviglie create. Esistenza, materia, vita, intelligenza, spirito. E Dio, il creatore, non può vedere nell’uomo la sintesi della sua gloria?

Però il Nuovo Testamento ci presenta l’Uomo nella sua completezza nella persona di Gesù.

“Glorificami, Padre, con la gloria che ebbi fin dall’inizio”. Gesù è l’apice e il prototipo della gloria di Dio nella creazione. Tutto fu fatto per mezzo di lui e per lui.

Il cinico con la sua presunta perspicacia arriva dove arriva. Dio, nel suo Verbo, crea cieli e terra, animali e finalmente l’uomo.

Ma non gli basta ancora, e in Gesù divinizza l’uomo, che così è la gloria di Dio impersonata.

Noi, creature implicate esistenzialmente nel Verbo e nello Spirito, siamo trasparenti di Dio, anche nella nostra umile posizione.

Non solo “esistenzialmente”, ma pure operativamente. Penso a quanta grazia di Dio si trova nel cosmo, e in maniera più intensa, nella chiesa di Dio, dove ogni credente – non solo il prete – vive e opera la grazia di Dio.

Corpo vivo

Corpo vivo  

Paolo rimproverò Pietro: così apprendiamo dagli scritti di Paolo.

Dalla Scrittura apprendiamo che Pietro è colui sul quale Gesù appoggia la sua chiesa. Allora Pietro è unica roccia, oppure la sua autorità è rinforzata dal “rapporto” con Gesù e con gli altri cosiddetti “apostoli”?

Allora la chiesa è strettamente monarchica e gerarchica, oppure la chiesa è comunità, nella quale si collocano persone con “incarichi” diversi, supportati dallo Spirito Santo?

I termini “monarchia” e “democrazia” sono davvero applicabili alla realtà vivente della chiesa di Gesù?

Insomma, altro è lo stato del Vaticano, altro è il Corpo di Cristo.

Gesù parla della “mia chiesa (o raduno dei convocati)”. Lo Spirito, tramite S. Paolo, vede in questa “chiesa” lo stesso corpo di Cristo, vivente nel tempo.

L’organizzazione di un ente, anche di indole religiosa, è un sistema fisso e statico. Il corpo è una realtà viva, sempre dinamica, di un dinamismo complesso e vivente.

Per specificare il dinamismo del Corpo di Cristo, Paolo si serve proprio della strutturazione viva di un organismo, all’interno del quale ogni membro esercita una funzione specifica, che influisce sulla vita e sull’attività di tutto l’organismo. Così troviamo scritto nella Lettera ai Romani (Rm 12, 4 ss.).

In parole povere: la chiesa di Gesù non può essere confinata nel clero o nei vescovi e neppure nel papa. Anzi, come noi abbisogniamo del supporto di vescovi e di preti, così vescovi e preti abbisognano del nostro apporto. Anche Pietro è aiutato da Paolo.

Preghiera

Preghiera  

Riflettendo sulla preghiera, mi torna alla memoria quel “elevatio mentis in Deum”, appreso a scuola.

Oggi mi chiedo: obbligo, sfizio, dono?

L’obbligo riguarda la preghiera o la recita delle preghiere? I santi mi dicono: chi prega si salva, chi non prega si danna. E allora?

I chierici e i religiosi sono obbligati alla recita delle ore canoniche. Recita obbligata, è lo stesso di “pregare”? Mi sovviene la barzelletta udita quando avevo sedici anni (ho presente anche chi me la raccontò e che adesso gode della visione del Padre). Diceva: i canonici, obbligati alla recita delle ore, stavano appunto recitando le ore, quando scoppiò un furibondo temporale. Allora chiusero la recita delle ore per mettersi a pregare.

Preghiera può essere uno sfizio o un meccanismo. Qualche persona per conciliare il sonno, si mette a recitare le preghiere. Spero che tale recita non sostituisca la conta delle pecore o delle forme di varia numerazione. Certamente qui si tratta di uso di formule, non di preghiera.

La preghiera, che è semplice dialogo con il Padre o con Gesù nello Spirito Santo, è un dolce dono di Dio: adesso, caro figlio, parliamoci: siamo famiglia!

È il dono dell’apertura di Dio a noi!

È di estrema semplicità e di grande gioia. Conversare con il Padre, con Gesù. E conversare immediato: essere coscienti del nostro continuo e immediato contatto con Dio aperto a noi.

Contatto immediato con l’Infinito Padre.

Con Dio non c’è la noia dell’anticamera.

Dio è di famiglia, perché noi siamo la famiglia del “Padre”.

Gesù rassicura

Gesù rassicura  

Laddove il Vangelo ricorda la trasfigurazione di Gesù, troviamo anche il comportamento dei tre apostoli scelti per poi testimoniare sia Gesù sia il proprio vissuto.

Alla voce autorevole che gli indica di “ascoltare”, ossia di sottomettersi, essi cadono per lo spavento. Sono esterrefatti: grande spavento, questo dice il testo.

È questa la solita reazione di fronte all’inatteso? È la percezione di un divino pesante? C’è quasi una rispondenza tra l’”ascoltatelo” e la paura?

A questo punto ecco Gesù, quel Gesù che pure li aveva invitati.

Sembra quasi che Gesù si interponga tra il “sublime” e la paura umana davanti al mistero.

Il Vangelo così ricorda Gesù: si avvicinò, li toccò e disse: “Alzatevi: non temete!”.

In Gesù si risolve la contraddizione tra la paura del mistero, e la povertà umana. Dove si trova la paura davanti al divino (ricordiamo le ricerche di R. Otto?) l’intervento di Gesù porta la serenità, la pace.

La religione, in tutte le sue forme, genera paura, incertezza, smarrimento, scrupoli. La presenza di Gesù, di persona oppure tramite la fede, che è sempre sorretta dallo Spirito Santo, genera e regala pace.

Gesù si avvicinò! Dopo la Risurrezione è sempre vicino: l’Eucarestia ce lo conduce vicino e intimo.

Gesù li toccò, quasi a svegliare in essi il senso della umana materialità.

Poi disse: ancora una volta la sua parola crea, produce.

Credenti e religiosi

Credenti e religiosi  

Dio non lo si adora a Gerusalemme (il tempio), né su Garizzim (altro tempio), ma nello spirito e nella verità. Di questo ci assicura Gesù, secondo il Vangelo di Giovanni.

Gesù non ha fondato una religione; ne aveva già troppo della religione nella quale s’era trovato a vivere. Era così insofferente da trasgredire il nucleo di quella religione, tanto da non tener conto dell’apice di essa: il riposo del sabato.

L’avevano capito bene i cristiani del primo tempo, che si radunavano per il “ricordo” di Gesù, e andavano al tempio per praticare la religione.

Gesù viveva la libertà dalle istituzioni, trasgredendo, per esempio, il sabato, e indicava alle persone tale trasgressione, indicando ai guariti di accollarsi la barella, ciò che i sacerdoti non riuscivano a digerire.

Il tentativo di “religionizzare” la rivelazione, tra l’altro ha anche influito sulle eresie.

Certe osservanze religiose, assunte anche dalla “chiesa”, possono anche aiutare la fede in Gesù, ma corrono anche il pericolo di sostituire la fede.

Allora, staccare ogni atto dalla fede? Distinguere sì, per non affidare alle religioni, la salvezza che si attua soltanto nella fede. Al caso, servirsi di atti religiosi, se favoriscono la penetrazione della fede. Però essere convinti che siamo salvati dalla fede, che ci lega a Gesù e tramite lui al Padre.

Scambiare “chiesa” (raduno dei chiamati da Gesù per continuare la sua vita) per una religione tra le altre, ingenera un grave errore di prospettiva.

Spiare Dio

Spiare Dio  

La cosiddetta “lectio divina” è un particolare accostamento alla Parola di Dio, specialmente a quella donata dal Padre nel Nuovo Testamento.

Non è un mero accostamento a un testo, ma un accostamento alla Persona del Padre, attraverso l’unione con Gesù.

Non è una lettura secca, sebbene si inizia con la lettura di un testo.

La disposizione adatta è quella di leggere il testo divino per conoscerlo sempre più chiaramente. Si legge non per curiosità, ma si legge per ammirare la presenza e la bontà del Padre.

Quindi si ringrazia per sentirci introdotti per amare.

Conoscere, ammirare, ringraziare, amare.

Ogni accostamento a Dio, è accostamento d’amore per amare, proprio nel costatare di essere amati.

La lettura della Parola di Dio, deve tener presente che il Padre ci parla con amore, per ingenerare in noi l’amore, suscitandolo dal profondo del nostro essere, creato da Dio.

Il leggere la Parola del Padre, non può arrestarsi nell’appagare una curiosità, ma deve giungere sempre all’incontro con una persona, se desideriamo incontrare la Parola di Dio per ciò che essa è.

Comunque è vero che della conoscenza del Padre, anche tramite il Figlio, vivo nella Scrittura, non potremo mai saziarci totalmente. Oggi riusciamo a cogliere qualche cosa, come spiando attraverso il buco della serratura, attendendo lo spalancarsi della porta, alla nostra morte.

Casi o persone

Casi o persone  

Il Vangelo riporta frequentemente il racconto delle guarigioni, operate da Gesù.

Prima di guarire, Gesù prende contatto personale con il guarito. Lo prende per mano, gli chiede: “Vuoi guarire?”; ode la richiesta.

Perfino quando la metrorragica guarisce, toccando di soppiatto il lembo del vestito di Gesù, Gesù dopo attacca il colloquio.

Gesù, infatti, non guarisce la gamba, il braccio, l’occhio, ma la persona, restituendola alla sua integrità.

Di converso ho potuto osservare nel settore psicologico e medico.

Ho incontrato degli psicologi, che curavano un “caso”. Il caso era l’occasione per applicare una tecnica appresa a scuola. Lo psicologo ha seguito semplicemente un caso. Fortunatamente però, la persona ha incontrato lo psicologo che si è interessato della persona in difficoltà, restituendola al suo modo di gustare la vita.

Ho visto anche correnti, non poche, tra i medici (e in modo esorbitante nella cultura farmaceutica), nelle quali si vuol guarire la malattia, disinteressandosi, per esempio nel “caso del n. 12”, della persona, e interessandosi della malattia.

Avviene anche a scuola, dove lo svolgimento del programma (anche per timore dell’ispezione) è più importante, se non unico, a scapito della formazione delle persone. Prima i programmi e poi, se ci stanno dentro, anche le persone.

E nell’industria, nell’amministrazione, nell’esercito, e perfino spesso nelle comunità religiose, prima i programmi, poi forse le persone.