Speranza in ginocchio

Speranza in ginocchio
La speranza del cristiano si indirizza verso Dio e verso gli uomini, opera di Dio.
La speranza spesso si presenta di non facile attuazione, soprattutto quando gli eventi la ostacolano.
La speranza nelle promesse di Dio, si affievolisce per stanchezza, la stanchezza dell’attendere. Però non tende ad estinguersi. Ma a sorreggerla è opera di Spirito Santo: si dice, appunto, che essa è “virtù teologale”. Lasciando perdere il vocabolo “virtù”, che è di forte ambiguità: basti pensare che era vero uomo (vir) l’eroe che uccideva. Comunque il riferimento alla forza, che viene solo da Dio, è presente nella speranza.
Perciò a differenza delle virtù, comunque intese, le quali si “esercitano”, ossia richiedono rafforzamento attraverso lo sforzo dell’esercizio, la speranza cristiana si vive soprattutto nella preghiera.
Chiedere a Dio, che il suo Spirito sostenga e alimenti la nostra speranza. Ogni speranza, che attenui i dolori della vita, e che illumini il futuro nel Padre.
Sperare per attenuare i dolori nella vita, era il modo di rivolgersi a Gesù e di pregare. Gesù guariva la persona. Non aveva imparato da Aristotele a dividere l’uomo in anima e corpo. Lui aveva a che fare con uomini e con donne concreti, i quali nelle sofferenze si volgevano a lui per essere alleggeriti.
Il nostro sperare è solo affinché lui ci salvi: dai mali, dai persecutori, dai sadici, dalle paure, dalle nostre invidie e gelosie. Liberaci dal male. Quale? Ogni male, perché ogni male fa diminuire la integrità della sua persona e aumentare la quota della sua paura.
15.05.17

Speranza in ginocchio

Speranza in ginocchio
La speranza del cristiano si indirizza verso Dio e verso gli uomini, opera di Dio.
La speranza spesso si presenta di non facile attuazione, soprattutto quando gli eventi la ostacolano.
La speranza nelle promesse di Dio, si affievolisce per stanchezza, la stanchezza dell’attendere. Però non tende ad estinguersi. Ma a sorreggerla è opera di Spirito Santo: si dice, appunto, che essa è “virtù teologale”. Lasciando perdere il vocabolo “virtù”, che è di forte ambiguità: basti pensare che era vero uomo (vir) l’eroe che uccideva. Comunque il riferimento alla forza, che viene solo da Dio, è presente nella speranza.
Perciò a differenza delle virtù, comunque intese, le quali si “esercitano”, ossia richiedono rafforzamento attraverso lo sforzo dell’esercizio, la speranza cristiana si vive soprattutto nella preghiera.
Chiedere a Dio, che il suo Spirito sostenga e alimenti la nostra speranza. Ogni speranza, che attenui i dolori della vita, e che illumini il futuro nel Padre.
Sperare per attenuare i dolori nella vita, era il modo di rivolgersi a Gesù e di pregare. Gesù guariva la persona. Non aveva imparato da Aristotele a dividere l’uomo in anima e corpo. Lui aveva a che fare con uomini e con donne concreti, i quali nelle sofferenze si volgevano a lui per essere alleggeriti.
Il nostro sperare è solo affinché lui ci salvi: dai mali, dai persecutori, dai sadici, dalle paure, dalle nostre invidie e gelosie. Liberaci dal male. Quale? Ogni male, perché ogni male fa diminuire la integrità della sua persona e aumentare la quota della sua paura.
15.05.17

Teologia e finitudine

Teologia e finitudine
Perché, come scrive qualche autore, esiste una “dignità teologica della finitudine”?
L’essere creati “incompleti”, ossia finiti acquista un valore, se lo si considera con l’occhio “teologico”, ossia con l’occhio che “guarda Dio”.
Guardare Dio è possibile in molti modi: con la riflessione, con lo sguardo poetico sul mondo, con l’accostamento ai dettati profetici, ma principalmente guardando Gesù: “Chi vede me, vede il Padre”.
Perciò la finitudine, la nostra povertà (nel tempo, nelle qualità, nelle possibilità…) è un fatto teologico, tanto valido che la povertà, secondo le parole di Gesù, è beatificata. La finitudine, di per sé, è segnata dall’assenza, da ciò che manca. Manchevoli ci ha voluti Dio (cfr. il cap. 8 della Lettera ai Romani, dove si parla della vanità della creazione). Creati manchevoli, ma non condannati alla manchevolezza, perché la “vacuità” del nostro esistere, è un vuoto dinamico, un vuoto che attende di essere riempito: un vuoto funzionale.
La funzione del vuoto, è necessariamente quella di essere riempito. È il vuoto della creazione che attende e reclama di diventare la rivelazione dei figli di Dio. È il vuoto non della disperazione e del suicidio, ma della speranza e della vita.
La dignità della finitudine è insita nella sua funzione di accoglienza di Dio. Quel Dio accolto nello stesso corpo di Gesù, che quasi sequestra Dio nel mondo umano. È sempre Gesù colui che immette in noi quella infinità di Dio, che lui stesso possiede, e prolunga in noi l’accoglienza di Dio, che lo ha fatto l’Uomo-Dio.
12.09.14

 

Rottamare

Rottamare
La tentazione di tutti i rottamatori sociali è proprio quella di rotta-mare… per poi necessariamente essere rottamati.
Lenin rottama lo zar, e crea uno zarismo assolutista, camuffato da comunismo, capace di creare in alcuni l’arrivismo, in altri la dispera-zione.
Alessandro Magno, il grande rottamatore di regni, che alla loro morte si riframmentano in stati diversi e spesso contrapposti.
Hitler il rottamatore della Germania già rottamata dalla prima guerra, e poi rottamata dalla seconda guerra mondiale. Egli sfoga il pro-prio delirio di rottamazione massacrando milioni di ebrei, di cristiani, di polacchi, ecc..
Arriva Gesù, il grande innovatore della religione e della storia. Lui non rottama. Il Battista aveva proclamato: “Convertitevi, il regno dei cieli è vicino”. Gesù proclama: “Convertitevi, il regno dei cieli è vicino!”.
Di più, pur cosciente di apportare grandi novità, che perfezionano i valori precedenti e li esaltano, dice chiaramente: “Non pensate che io sia venuto ad abrogare (greco: katalusai, corrisponde al rottamare) la legge o i profeti, non sono venuto per abrogare, ma per completare” (Mt 5, 17).
Le persone intelligenti, come Gesù, studiano l’esistente, per e-strarre da esso le possibilità ancora non utilizzate. Egli fa così con ogni persona. La “rivelazione” non è solo svelare qualche cosa di nuovo di Dio, ma anche far riflettere l’uomo sui grandi residui di potenzialità di fe-de, ancora chiusi nel suo interno.
Questo è un illuminante richiamo al nostro modo errato di proce-dere. Noi siamo portati a vedere negli altri ciò che essi devono evitare o correggere, ma non ci impegniamo a cercare e a trovare negli altri le loro innegabili risorse per il bene.
26.01.14

Non mugugnare, ma muoversi

Non mugugnare, ma muoversi
Quando soffriamo di una sofferenza causata da chi non ci comprende, diventiamo parte dei poveri, che in nome di Dio, operano per la propria dignità? Quali i sussidi di questa operazione di richiesta del riconoscimento della nostra “dignità cristiana” di poveri, di perseguitati? È volontà di Dio abbassare la testa, oppure opporci, con azioni non offensive di alcuno, per proclamare i diritti della nostra dignità?
Può una legge umana, o una scelta di vita, annullare i nostri diritti fondamentali di persone?
Quando Gesù ricorda la beatitudine dei poveri, degli umili o umiliati, dei sofferenti, tutto ciò impedisce di muoverci, affinché prevalga la giustizia del rispetto, dal momento che per Gesù anche la giustizia rientra nelle beatitudini?
No: Gesù consola mettendo in rapporto la “povertà” con il Regno di Dio. Non per una consolazione sterile e buonista, ma per indicare che proprio la povertà deve diventare l’annuncio del Regno, forza che si muove, proprio perché appartiene al Regno di Dio. Quello che è destinato a crescere, come il seme gettato in terra (forse povertà?) per svilupparsi.
Il Regno di Dio non è cibo o bevanda, ma è giustizia, carità, gioia. Chi appartiene al Regno, non entra in un ricovero, ma in un campo aperto. “Guardate le messi che si sviluppano!”.
Chi è nel Regno, come Gesù, denuncia le ingiustizie e gli errori anche delle autorità: “Guai a voi!”. E, in quanto è possibile, alla denuncia si unisce l’attività. Dove c’è un errore, c’è satana, e Cristo dice di vincere il satana.
18.10.16

La debolezza forte

La debolezza forte
Hitler, che non sa cambiare per tempo, porta la Germania allo sconquasso. Così sta accadendo al nostro istituto. Stava per accadere alla Chiesa, ed ecco la provvidenziale presenza di papa Francesco, tanto criticato e osteggiato dai tradizionalisti. Francesco si sottrae alla tradizione falsa voluta dagli uomini e apre una nuova speranza per la chiesa. Distruggendo lentamente, egli salva.
Un debole si fa forte, quando si pente. La confessione, anche dei politici, i quali credevano di avere il mondo in mano, li rende forti, come la confessione sacramentale. Da peccatori, quindi sconfitti, a santi, quindi vittoriosi.
Il grande valore del ricredersi, e la piccolezza tragica del “non si torna indietro”, tanto decantato ed esaltato da noi, questa grandezza del “pentimento” ci aiuta a capire il “convertitevi e credete al Vangelo!”. Non si tratta di tornare indietro stupidamente, ma di proseguire dalla conversione alla novità del Vangelo.
Giuseppe, il marito di Maria, è spesso preso in giro, perché creduto un grande uomo. Noi guardando in lui, piccolo uomo aggrovigliato e dallo sguardo corto, scopriamo la sua vera statura, quella stimolata da Dio: tra le tue paure, Dio ti invita a non temere di prendere con te tua moglie! Allora Giuseppe è rivestito dalla vera grandezza, quella che viene dalla conversione, quella che viene da una nuova prospettiva: “Ciò che è venuto in lei viene da Spirito Santo!”.
Anche noi deboli, se guardiamo la nostra vita secondo la misericordiosa ottica di Dio, diventiamo sicuri.
18.12.16

 

Solo Lui

Solo lui!
Uno il Padre, uno il Maestro, una la guida. Non esistono altri padri, altri maestri, altre guide. Padre unico, con il cuore e la saggezza del Padre. Il cuore suo si rivela a noi, tramite il Maestro Gesù. La guida del Padre si umanizza in Gesù nostra guida.
Si depotenziano così tutti gli scribi odierni, ossia i “maitres a penser”: i maestri di pensiero, i Marx, i Keynes, Aristotele e Tommaso d’Aquino, Kant ed Hegel, sono lucciole in confronto al sole, e lucciole in quanto riescono a ripetere qualche cosa del sole, altrimenti si dissolvono nelle tenebre.
Gesù è Maestro, in quanto lui non soltanto ci indica la strada per raggiungere Dio, ma lui è la strada stessa: metterci in lui è già cammino verso il Padre, cammino non incerto, ma sicuro assolutamente. Quando vedo una persona accogliere la comunione eucaristica, mi viene spontaneo pensare: “Ecco una persona che sta imboccando la via sicura”. Sì, perché i sacramenti non sono forme magiche (dico una parola e salta fuori lo spiritello), ma appassionata aderenza a Gesù, “con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le energie”.
Gesù Maestro e Guida: luce alla mente, appoggio nell’agire. Un appoggio che, se gli ci affidiamo, ci sostiene e rende il nostro camminare nel tempo, sempre percorribile. Se camminassi in una valle oscura, tu sei con me; il tuo vincastro e la tua guida mi imprimono sicurezza.
Si apre perciò davanti a noi la domanda: “Mi fido davvero di Dio? Dopo aver espresso a lui i miei dolori, le mie gioie, i miei desideri, mi lascio andare alla sua bontà e alla sua guida?”. Allora la preghiera si riempie di confidenza e di serenità: in Lui!
14.03.17

Purtroppo!

Purtroppo!
Papa Francesco per facilitare la convivenza, dettava l’uso di alcune parole: buon giorno, prego, grazie, scusa.
Io desidero ricordare un semplice avverbio: purtroppo!
Eppure esso è un avverbio che potrebbe cambiare il nostro parlare degli altri. Spesso ricordiamo qualche loro episodio, per criticarlo e, quindi, per condannarlo. Anzi, a quanto odo, il ricordo degli altri è indirizzato per condannare le loro azioni, sebbene la condanna si esprima in una canzonatura, più o meno lepida.
Il ricordo, quindi, è distruttivo.
Anche le parole di Gesù preferiamo leggere sotto l’aspetto di condanna. Quel “guai a voi, farisei che interpretate la legge”, spesso è letto come una marcata condanna per la falsità del comportamento dei farisei. Eppure il “guai” ha il senso di un “Ahivoi!” secondo la nostra sensibilità, se essa si è lasciata convertire.
Allora il “guai” evangelico lo sentiremmo più un grido di dolore, che una sentenza di condanna. Gesù ha pur detto, parlando della sua vita: “Non ho l’incarico di condannare, ma quello di salvare!”.
Ebbene, quando noi ricordiamo qualche sbaglio e qualche malefatta del nostro prossimo (“chi è senza peccato scagli la prima pietra!”), speriamo di non giudicare, ma di commiserare. “Purtroppo Tizio ha commesso quell’errore!”. Il “purtroppo” ci porterebbe dalla parte di colui, che è venuto per salvare e non per condannare. Ma quante volte ci siamo posti fuori la traiettoria del Salvatore e della sua salvezza!
30.08.14

 

Rispose errate

Risposte errate
Il profeta Amos, a modo suo conferma la teoria “S – T” (stimolo – risposta). Egli richiama molti esempi. Tra questi, il ruggito del leone, che incute paura. Anche la voce dei profeti deve produrre una risposta, positiva o negativa.
Anche il rifiuto della parola di Dio, è una risposta allo stimolo, un agire.
Esiste un rifiuto subdolo e frequente, frutto di furbizia, e quindi di scarsa intelligenza e di nessuna lealtà. Ne incontriamo conferma ogni giorno.
I farisei e gli erodiani si accostano a Gesù, lo blandiscono lodandolo (“tu sei maestro che affermi la verità“) e gli tendono un trabocchetto: “E’ lecito pagare le tasse all’imperatore?”.
La domanda era diretta ad ottenere la risposta di Gesù, non per amore di verità, ma per estrapolarla e usarla contro Gesù. Alla furbizia degli interroganti, Gesù risponde con un’intelligenza che spiazza gli avversari.
Oggi il papa parla, dicendo molte cose in un contesto preciso. Non pochi giornalisti, estrapolano le sue frasi per inserirle in un altro contesto, quasi sempre lontano od opposto alle chiare intenzioni del papa.
Proprio ieri il papa ha affermato di ritenersi inadatto a giudicare le persone che si dedicano all’omosessualità; le sue parole sono state citate come approvazione dell’omosessualità!
L’estrapolazione di un brano per usarlo a proprio piacimento, senza sincerarsi della intenzioni dell’autore, è uno dei modi più indecenti di fare letteratura, filosofia o politica.
L’estrapolazione di brani delle Scritture ha perfino promosso le eresie e gli scismi. Questo tipo di reazione negativa alle parole profetiche di Dio, spesso è propria di coloro che abbandonano la fede, perché credono più alle proprie parole che a quelle di Dio.
GCM 01.07.14

 

Paura bivalente

Paura bivalente
Amore e odio. L’amore accosta, l’odio allontana. Nel confronto di due individui, amore e odio sono poli estremi. Si trova una posizione intermedia, che non è né amore, né odio, ma può spingere o all’amore o all’odio. Questa posizione è la paura.
L’incontro tra due persone non è mai incontro di pieno amore, soprattutto quando due persone si incontrano la prima volta. Esse, perfino senza accorgersene, scrutano l’altra, e sono in posizione sospesa: è semplice paura dell’altra: che cosa mi verrà da lei.
Se l’altra persona ha potere, anche solo esterno, allora la paura si fa guardinga, in qualche modo armata. Questa situazione può perdurare una vita. Quindi il rapporto non potrà essere di amore, e non è neppure di vero odio: è un rapporto di sfiducia, ed è un incedere tra le uova.
Oggi (e sempre) la paura serpeggia tra la gente e nei nostri cuori. La paura è uno stato precario, sempre pronto a lanciarsi nell’amore o innestare ostilità. Dipende molto dall’ambiente.
Se l’uomo o la donna paurosa trovano accoglienza si sciolgono e si aprono all’amore. È il caso di molte persone all’incontro con Papa Francesco. Se essi notano freddezza oppure ostilità, si armano di ostilità e anche di odio. L’ostilità o è un portato dell’odio oppure porta all’odio.
La missione di Gesù è quella di aprire all’amore. “Non abbiate paura, non temete”: Cristo affabilmente rassicura e avvia all’amore. Non paura di castigo (“Non sono incaricato di condannare”), ma confidenza aperta all’amore (“Sono venuto per salvare”).
Salvezza: indirizzare qui le nostre paure.
26.02.16