Monoteisti chiari e sinceri

Monoteisti chiari e sinceri
Il monoteismo è ambiguo nel designare l’immagine dell’unico Dio. È ambiguo perché è contradditorio. Eppure esiste un’armonia di fondo nei monoteisti.
È autentico il bisogno umano di un Dio, come chiaro riferimento. È autentica e anche condivisa la religiosità, inserita nell’uomo dal creatore. Sono affini molto alcune manifestazioni mistiche, vissute nei singoli contesti religiosi, di preghiera e di contemplazione. La verità unica dei monoteisti non sta nei credi o nelle credenze, come si esprimono nei vari contesti, dentro i quali l’unica verità è nel Cristo, messaggero autentico e autentificato da Dio, tramite la vita e la risurrezione di Gesù.
Perciò la nostra “voglia” ecumenica si rivolge direttamente alle persone, accettandole cordialmente anche per le loro incompletezze, e proprio per le loro incompletezze, perché ricordiamo il nostro Gesù, che è venuto a cercare proprio ciò che era perduto (ricordo adesso un quadro di Manessier!), e per metterselo sulle spalle per condurlo al sicuro.
L’ecumenismo non è l’abbraccio chiudendo gli occhi, ma il cordiale incontro al figlio di Dio, che ancora non vede. Se siamo di Gesù, apparteniamo a colui che sa rendere la vista ai ciechi. Gesù quando guariva i ciechi non si ergeva superiore davanti a un povero disgraziato, ma anche allora viveva per servire, non per essere servito.
Monoteisti con tutte le profonde differenze, ma sempre con l’amore che salva, perché sempre corredato di rispetto.
30.07.18

Il corpaccio

Il corpaccio!
Mi sovviene quell’educatore (?!) religioso, il quale dovendo educare dei ragazzi alla “spiritualità” (quale?) li rimproverava perché loro pensavano solo al “corpaccio” (autentico!), senza valorizzare il corpaccio e, quindi, denigrandolo il più possibile. Ora penso a quell’educatore, che, in cielo, sorriderà con me sul suo passato stile. Difatti non scrivo contro di lui, anche perché ho bisogno delle sue preghiere, ma semplicemente prendendo uno spunto dalle sue parole.
Corpaccio, questo magnifico organismo, voluto così complicato e ammirevole da nostro Padre? Non è lui che, composto il corpo di Adamo, ne fu soddisfatto?
Poteva Dio progettare l’Incarnazione e la Risurrezione, in uno strumento degenere indegno di Dio? Potevano gli apostoli propagare la Risurrezione e Gesù, senza le gambe del loro “corpo”?
Il corpo è magnifico e santo, perché uscito dalle mani del Padre.
Sono gli uomini, nella loro nobilissima pazzia a denigrare l’opera di Dio, a bruttarla, e a brutalizzarla. La cura stupida della faccia, la chirurgia estetica, l’ubriachezza, il vizio e lo stravizio, i delitti, la sessualità disordinata e brutale, la mercificazione del corpo, ecc. ecc. Sono invenzioni per trasformare il corpo in corpaccio, l’opera di Dio trasformata in opera del diavolo, il brutto per eccellenza!
Il corpo è una realtà bella, di cui Gesù si serve per comunicarci il suo amore, e che Gesù eleva a “tempio dello Spirito Santo”, completandone la dignità e la bellezza. Noi siamo fieri del nostro corpo, conservandolo tempio di Dio!
19.02.18

Interpretazioni distorte

Interpretazioni distorte
Nella pagina del Vangelo si legge che è capitato a Gesù, quello che capita quotidianamente alle persone di buona volontà.
Un cittadino qualsiasi compie un’impresa, che giova alla cittadinanza, eppure c’è l’assessore che è pronto a indicare: quel tale opera per farsi vedere.
Non dico che questo possa accadere, no: dico solo che è accaduto. Infatti la botte dà il vino che ha.
Una madre non si ferma a spettegolare (eccezione sì, ma esistente), cerca di educare e di vestire bene i suoi figli. Allora le sue “amiche più intime” sono pronte a notare: “Lo fa per farsi vedere!”. Non riescono a riconoscere che gli altri possano agire con semplicità e con retta intenzione. Dalla loro botte è uscito il vino, che vi era entro.
Gesù forse non conosceva le botti di rovere, perché parlava di otri nuovi e di otri vecchi. Però diceva, con altre parole, la stessa “saggezza” delle botti. “Tu vedi il bruscolo nell’occhio del fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio”.
L’episodio riportato nel brano evangelico, è quello nel quale si narra di Gesù, che continua a cacciare i demoni. Si parla di un “muto posseduto dal demonio” (Mt 9, 32 ss).
Le reazioni attorno a lui: la gente è meravigliata, stupita. Ma c’è anche la reazione degli intelligenti: “Per mezzo del principe dei demoni egli scaccia i demoni”. Il pesce grande mangia i pesci piccoli. E così anche quel montanaro di Galilea è conciato per le feste. Pretende di saper fare anche ciò che nemmeno noi riusciamo a fare! È uno che opera chissà come! Anche Gesù! E talvolta anche noi!
10.07.18

Peccato mortale

Peccato mortale
Non più lontano di quattro ore or sono mi è stato chiesto quale è un peccato mortale.
Di solito si annoverano tre scalini in crescendo, che guardano il peccato, solo con il bilancino della “gravità della materia”; e così troviamo il peccato veniale (cose da poco), quello grave (molto importante) e quello mortale (che provoca la morte). Raffreddore, polmonite, cancro inguaribile.
Però se osserviamo soltanto la “gravità della materia”, senza l’intenzione, possiamo cadere nell’errore. Infatti uccidere un insetto, è cosa leggera. Però se io uccido un insetto per disprezzo di Dio, che ha fatto vivere l’insetto, l’azione riveste una responsabilità diversa.
Ad aiutarci ci sovviene proprio l’aggettivo “mortale”. È un’azione che va contro la vita. Non vorrei ritornare su quanto ho scritto in uno di questi articolini, nel quale partivo da Dio, vivo e vero, che contagia della sua vita tutto il creato, e in modo particolare l’uomo.
Al di là di ogni distinzione, ogni azione contro la vita di Dio e contro quella dell’uomo, rientra poco o tanto nella zona di morte del peccato mortale.
La Scrittura spesso ci parla del nemico di Dio e del Cristo, il diavolo: non può esserci unione tra Cristo e Belial.
Per caratterizzare Satana nel suo operare malefico, l’evangelista Giovanni afferma: “Egli [il diavolo] era omicida fin dall’inizio” (Gv 8, 44). Nella prima lettera di Giovanni è richiamato l’omicidio, che è dentro l’odio, ossia contro la vita del prossimo: “Chi odia il proprio fratello [odio che vuol annientare l’altro], è omicida” (1a Gv 3, 15).
Mortale è ciò che porta alla morte.
28.06.18

Messa e universo

Messa e universo
Il Padre, nel suo amore, concede all’uomo di unirsi al suo Figlio, in maniera particolare nel fare la messa. Anche la messa quotidiana.
Ogni preghiera cristiana, non si confina in colui che prega. Non può confinarsi in chi prega Gesù, e quindi nel Padre. Il sacerdote non si ferma dentro la sua messa, ma compie sempre un’azione cristica, cattolica, mondiale. Nella messa si “concentra” il mondo, in quanto esso per natura, è una continua grazia e dono di Dio, e quindi è ringraziamento a Dio con il suo semplice esistere. Il mondo ha “diritto” della preghiera, nella messa.
Non soltanto il popolo cristiano ha diritto alla messa e non ne può essere privato, ma la stessa creazione abbisogna della preghiera.
Sottrarre la messa alla comunità cristiana, è qualche cosa che assomiglia a una lesa maestà. Già il radunarsi dei credenti per la cena, come scrive S. Paolo, è far chiesa e messa. L’attuale disciplina giuridica, che richiede un “ministro ordinato”, può esser confrontata e interpretata secondo il Vangelo o secondo le lettere degli apostoli.
Le comunità cristiane primitive avevano un anziano autorizzato dall’apostolo, a fare la cena del Signore. Gesù non ha creato i seminari, ma si è circondato di dodici uomini, che imparassero dalla vita e dalla parola di Gesù, a indirizzarsi al Padre. Gli apostoli “imponevano le mani”, per autorizzare a continuare l’opera di Gesù, non a seminaristi, ma a credenti.
20.07.18

Gesù e gli stranieri

Gesù e gli stranieri
Accoglienza sì, accoglienza no. Caritas o rifiuto?
A parte la rozzezza delle frasi a favore del sì o del no, credo che sia necessario che le affermazioni siano sempre accompagnate dai perché e dai come. Per quali motivi si affermano. Soprattutto come realizzare per rispettare la dignità dell’accogliente e dell’accolto, o del rifiutante e del respinto.
Comunque si tratta di uomini, di persone, sia in chi accoglie o rifiuta, sia in chi è accolto o rifiutato. Affinché in tutti sia ridestato il senso umano del vivere.
Gesù si era trovato in una situazione analoga davanti allo “straniero” (per il greco: ksenon). Egli aveva dichiarato beato chi accoglieva lo “straniero” perché nello straniero accolto c’era lui, Gesù. Per un giudeo lo straniero più accanto era il samaritano. Gesù accoglie così bene un samaritano da indicarlo come colui che è “prossimo” vicino, più vicino del sacerdote e del levita.
Eppure i samaritani non mostravano grande simpatia per quelli di Gesù, che a loro volta volevano incenerire le città samaritane, addirittura con un fuoco dall’alto, ossia da Dio. Gesù però richiama i suoi a uno “spirito” di accoglienza, di tolleranza, di non vendetta verso gli stranieri.
Anche per Gesù e per i suoi, il rapporto con gli stranieri samaritani non era liscio. Eppure Gesù parla e benefica la donna samaritana, che egli incontra presso il pozzo. Il risultato della bontà del modo di trattare la straniera lo si vede: “molti samaritani di quella città credettero in lui… e lo pregavano di rimanere presso di loro”: lui, uno straniero!
22.07.18

Pregare nello Spirito 1

Pregare nello spirito 1
Stamani Gesù, durante la Messa, mi è venuto incontro con la lettura di Isaia. Lettura che mi ha toccato il cuore.
Isaia rimprovera l’Assiria, non perché abbia punito Israele, ma perché si è invaghita della propria forza.
Isaia vede nell’Assiria, che dà una buona lezione a Israele, perché aveva abbandonato Jahveh, lo strumento della punizione di Dio. Invece gli Assiri si inorgogliscono del proprio potere. Quindi non strumenti della Provvidenza, ma padroni della propria forza.
Il mio pensiero è volato al P. Kolbe, che si dichiarava “strumento nelle mani dell’Immacolata”. Il termine “strumento” mi stonava, perché sapeva troppo di meccanica.
Ora invece mi accorgo della bellezza commovente di essere “strumenti” di Gesù, di Dio: “Ecco, io vi mando”.
Ho riguardato la mia preghiera. Quando “io” prego, lo Spirito prega in me, e la “mia” preghiera è “sua”. Io mi presto (e cordialmente!) a essere la preghiera di Dio in me. Strumento umile della preghiera divina. Questo mi ha fatto assaporare ciò che Paolo dice sulla preghiera dello Spirito in noi.
Io prego, in quel momento è lo Spirito che prega in me: sono strumento, commosso e cosciente, della preghiera permanente, eterna dello Spirito.
Io opero: in me è lo Spirito di Dio, che opera la mia salvezza e, perfino, in me la salvezza di questo povero e caro mondo.
Io mi diverto, e lo Spirito gioisce in me.
Infatti si fa tutto nel nome di Gesù, e anche il “Padre nostro” acquista più sapore.
18.07.18

Misericordia e sacrificio

Misericordia e sacrificio
Nella messa di stamani (vedere la data in calce, per trovare il giorno esatto), Gesù, il mite e umile di cuore – come si dice – non si lascia mettere i piedi sulla testa.
I farisei criticano i discepoli di Gesù, i quali si presero il lusso di patir fame perfino in giorno di sabato, e per sfamarsi, anziché recarsi in rosticceria, si accontentarono di strappare qualche spiga e di far tacere la fame. Per i farisei le azioni dei discepoli rappresentavano un lavoro, proibito in giorno di festa.
Gesù non si lascia vincere. Difende i suoi, addirittura portando in campo la Bibbia. Pane per focaccia. La bellezza delle parole di Gesù, nelle quali si raggruma la saggezza “divina”, fanno notare che l’uomo non è al servizio della legge sabatica, ma la legge è a servizio dell’uomo. Il figlio dell’uomo (comunque si intenda questa frase) è padrone del sabato.
Il perché è profondo: la misericordia è superiore al sacrificio. La posizione di Gesù è liberante.
Tra le molte cose, in questa frase, noi possiamo collocare anche la domenica cristiana.
La misericordia del Padre la domenica ci chiama a gustare non tanto il “sacrificio” della Messa, ma la misericordia di Dio che si esprime nel parlarci e nell’offrire Gesù. Non precisamente il Gesù sacrificato, ma il Gesù risorto e vivente.
Quando lo Spirito ci colloca nel piano di Dio, incontriamo la misericordia. Quando rasentiamo la terra del dominio dell’uomo, incontriamo il sacrificio.
20.07.18

Sapore infinito di libertà

Sapore infinito di libertà
La nostra vita nel tempo, è preparazione diretta e congiunta alla nostra vita nell’eterno. E perciò, se vissuta secondo la parola di Gesù, produce una gioia, che si svilupperà nella gioia perpetua.
Tutti noi abbiamo gustato la gioia della libertà, quando la libertà è stata scelta “liberamente” di essere utilizzata per attuare il bene. La libertà usata per la verità e per l’amore.
La “volontà di Dio” non è una costrizione a sottometterci, ma un indirizzo offerto alla libertà per gustarla nel vero senso per il quale il Padre l’ha donata ai suoi figli.
La libertà è un dono, affinché il bene abbia il gusto di una felice conquista. La libertà non nasce indifferente verso il bene o verso il male. Questo è sbandierato dai libertari, che vedono la libertà vagante senza meta. Essi non s’accorgono, povera gente illusa, che Dio è infinitamente libero e infinitamente buono, e perciò offre a noi creature, di vivere come in cielo così in terra, tanto da assaporare la verità e la libertà quando aderiscono soltanto al bene.
E questo è “fine” cioè ultimo gradino della felicità nel tempo, e “inizio” della beatitudine nell’eterno, dove libertà e bontà si abbracceranno per sempre, in una situazione fuori del tempo, non definibile dalle nostre capacità.
Il mondo del bene è vastissimo, per ogni sentimento, per ogni idea, per ogni azione. Il bene dell’amare, il bene del conoscere, il bene dell’agire. Ognuno di questi beni, per il credente, è irrorato da Dio.
02.08.18

Tempio e parola

Tempio e parola
Mostrarono a Gesù le costruzioni del tempio di Gerusalemme, e Gesù anziché ammirarle, disse con tristezza: “Di tale costruzione non resterà pietra su pietra che non sarà diroccata”.
Tale previsione era una stilettata al cuore di Ebrei devoti. Lui stesso pianse al pensiero che Gerusalemme sarebbe stata distrutta. E ne accusò la causa: per non aver creduto a lui.
Per gli Ebrei Gerusalemme e il suo tempio rappresentavano la presenza duratura di Dio nel suo popolo. Gesù, comunque aveva detto alla Samaritana che Dio non si adorava più a Gerusalemme, ma lo si doveva adorare in spirito e verità.
Il tempio, creato da mani d’uomo, avrebbe avuto una fine. Come ogni tempio, anche il tempio di San Lorenzo? E allora che cosa poteva perdurare, se i luoghi di culto cadevano o venivano abbandonati?
Cielo e terra passeranno, ma le mie parole dureranno per sempre: disse Gesù a chiare lettere. Anche quando egli volle continuare la sua opera di salvezza, non prescrisse di edificare chiese, ma “andate e predicate”, perché la fede si regge e si alimenta della sua parola. Parola accompagnata dai “miracoli” dei sacramenti (“Battezzate nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”). La forza di Dio non sta nell’esercito o nello stabile di una chiesa (che può anche servire per accogliere un raduno, organizzato per la parola e per il sacramento), ma nella forza salvatrice della Parola.
Possono essere abbandonati gli edifici di culto, ma la parola di Dio non è incatenata.
23.06.18