Opposizione concreta allo Spirito

Opposizione concreta allo Spirito
Riprendo le mie riflessioni sul peccato contro lo Spirito Santo, seguendo il testo della lettera di S. Paolo ai Romani.
Paolo, dopo aver a lungo esposto il suo pensiero su come accade il peccato contro lo Spirito Santo, si ferma a lungo sulla salvezza che viene da Dio, per mezzo di Gesù.
Egli parla che “tutti peccarono e sono privi della gloria di Dio”. Però tutti possono essere “giustificati” attraverso Gesù. Egli si sofferma a lungo nel descrivere il peccato, anche per far emergere, come contrapposto, il dono di Dio, in quel Gesù che tutti può salvare per mezzo della fede. La lettera ai Romani è una lettera piena di speranza e di fede.
Però qui mi torna utile ritornare al capitolo primo della lettera, che può far riflettere sulle legislazioni del presente.
Coloro che non riconoscono Dio, Dio li abbandona “in balia dei desideri sfrenati dei loro cuori, fino all’immondezza, che è consistita nel disonorare il loro corpo tra di loro”, perché Dio li ha dati in balia di passioni ignominiose”. Segue un elenco di vizi, tra i quali il compiere “turpitudini uomini con uomini” (v. 27).
Paolo vede nelle pratiche omosessuali un “castigo di Dio” causato dall’incredulità. Oggi i nostri legislatori lungimiranti vedono nei matrimoni gay un’affermazione del progresso civile. A chi credere? A Dio o al legislatore progressista?
Il contrasto è lampante, esso rispecchia l’endiadi “fede-non fede”, armonia con lo Spirito (e la salvezza e la speranza), oppure opposizione allo Spirito (con la disperazione).
14.06.18

Risurrezione

Risurrezione
Il dubbio è segno di un’attività intellettiva in movimento. Ogni dubbio. Il dubbio non è una stazione di conquista, ma una spinta a cercare, a investigare.
Purtroppo, soprattutto nelle faccende che riguardano Dio, per molti il dubbio è la fermata conclusiva, ed esso si corrompe ripiegandosi su se stesso e diventando affermazione. Tutti conosciamo il più esiziale dei dubbi: “Dubito che Dio esista, quindi Dio non esiste!”. Un dubbio legittimo, che diventa affermazione illegittima. È come costruire un ponte su piloni traballanti. Ho visto che alcuni si fermano sul proprio dubbio circa la Risurrezione per affermare la certezza dell’impossibilità della stessa Risurrezione. Questo fenomeno non è recente. Anche ai tempi di Gesù, c’erano i sadducei “quelli che negano l’esistenza della risurrezione dai morti”. Questa posizione era sostenuta dalla classe dominante e ricca (ci voleva!). I poveri, anche per bocca dei farisei, si fidavano della risurrezione.
Poi arriva un certo Gesù, il quale non solamente afferma ripetutamente l’esistenza della risurrezione, ma anche ne dà un clamoroso esempio, risorgendo lui stesso.
Dopo di lui, c’è anche un Paolo, che è talmente certo di risurrezione, che la vede già operante nei credenti e sfociante per tutti alla fine dei tempi. Per tutti, anche per i non credenti. “Tutti risorgeranno, i credenti per la vita, i non credenti per il giudizio”.
Per i dubbiosi vale una considerazione: anche la fede sicura nella risurrezione non sempre è un lampo improvviso definitivo, ma una conquista quotidiana, come è proprio della fede.
19.06.18

Potere antiunione

Potere anti unione
Sappiamo che le separazioni sono effetto dell’azione del diavolo, ossia di colui che è “dia-ballo”, ossia il divisore, perché allora le divisioni all’interno del Cristianesimo? Che si avveri quel “Egli comanda ai separatori, perché è autorizzato da Belzebù, capo dei diavoli?”.Quasi che la Chiesa di Gesù nasca diabolica?
Fin nelle prime comunità cristiane fermentavano separazioni e divisioni, come desumiamo da una lettera di Paolo: “Vi sono divisioni tra voi… Ma Cristo è diviso?” (1 Cor 1, 11-13).
Poi, nella storia del Cristianesimo, annoveriamo eresie (haeresis=spaccatura) e scismi (scissioni). Ario, Fozio, Orientali, Lutero, Calvino, Anglicani, e via dicendo, Occidentali. È proprio del Cristianesimo le spaccature? In realtà le lotte avvengono sempre dove si difende un potere. L’infiltrazione del potere (disciplinare o dogmatico) è alla radice di lotte e contrapposizioni.
Gesù ha previsto: “I capi delle nazioni esercitano il potere… Non sarà [futuro] così tra voi; ma chi voglia tra voi diventare grande, sarà vostro servo” (Mt 20, 25-27).
Il potere, nella Chiesa, sfigura il volto di Gesù. Uno è il potere che Gesù, il quale ha ogni potere in cielo e in terra, trasmette ai suoi, non per dominare i fratelli, ma per scacciare demoni e guarire malati, altro è il potere, che gli uomini di chiesa attribuiscono a se stessi. Essi devono pascolare, non “dominare tra gli eletti” (Cfr. lettera di Pietro).
L’uso di un potere che non viene da Dio, o l’abuso del potere donato da Dio, creano separazioni, divisioni, ferita al tessuto della Chiesa progettata da Gesù.
Purtroppo anche nel “mio regno” si infiltra il potere di Satana (vedi Bernanos).
21.06.18

La mia vita è Cristo

La mia vita è Cristo
Ricordo, quando da adolescente cantavo: “O Jesu, vita mea es tu, sine te est mors!”. Gesù, tu sei la mia vita, senza di te c’è la morte.
Certamente il testo riandava felicemente alle parole di S. Paolo: “ Per me vivere è Cristo!”. Testo soltanto analogico, ossia per modo di dire, o reale?
Da adolescente, capace di innamorarmi, mi rivolgevo a Gesù, immaginato presente, come l’adolescente si rivolge all’amata: “Tu sei la mia vita!”. La frase era accompagnata da un desiderio di presenza!
Poi lo Spirito, attraverso S. Paolo, mi ha condotto a sapere e a credere, che Gesù non era soltanto l’oggetto per il quale valeva la pena di vivere, ma era lo stesso mio vivere, quasi come se io mi dessi la morte, la affiggerei a Gesù in me. In qualche modo ucciderei in me Gesù, con un’azione di tradimento, tipo Giuda.
Oggi il mio vivere si fa gioioso, appena mi accorgo che Gesù vive in me, e il mio vivere è Gesù! Chissà quale gioia quando unirò il mio Paradiso a quello di Cristo.
Sì: il mio vivere definitivo è Cristo. Il dono di sé, che Gesù largisce a me, lo largisce alla sua Chiesa, e, nella Chiesa, al mondo. La mia gioia di vivere Cristo, è un dono di Dio al mondo, perché “nessun uomo è un’isola” (Merton).
La gioia di essere Cristo, che vive in me, penetra il mio giorno e la mia notte, il mio divertirmi e il mio lavorare, il mio riflettere, il mio scrivere e il mio contemplare. La mia vita di anziano, che attende l’abbraccio definitivo del Padre!
25.06.18

Regno di Dio

Regno di Dio
Nonostante il parere di qualcuno, la Chiesa (“la mia chiesa”: dice Gesù a Pietro) non può identificarsi con il Regno di Dio. La identificazione ha prodotto guai numerosi nel pensiero e nella pratica. Noi, chiesa, facciamo gioiosamente parte del Regno, serviamo al Regno, ma il Regno di Dio resta solo Dio al quale ci rivolgiamo: “Venga il tuo regno”. Riconosciamo la divina Paternità di Dio (“sia santificata la tua Persona”: ossia il Padre è Dio, e questo è a base della nostra felicità).
La Chiesa (noi chiesa!) ha il compito di propugnare il Regno, di introdurre in esso. Una missione magnifica questo servizio per il Regno di Dio , che accoglie tutti: “Oggi sarai con me nel Paradiso”: così Gesù rassicura quel povero disgraziato, che sta morendo insieme con lui.
Noi siamo felici di essere entrati nel suo regno, attraverso le porte della chiesa. Ma non ci si può fermare sulla porta, la quale è invito a entrare.
Gloriarci di essere chiesa, non è ancora gloriarci di essere Regno. Altrimenti la grandezza del Regno, che è Dio, viene passata nel surrettizio della Chiesa.
Inoltre, nella storia, abbiamo visto che cosa può accadere di triste, quando l’apparato Chiesa si presenta come supremo dominio umano (ricordiamo la fase della chiesa gregoriana). Anche oggi infiltrazioni assolutistiche minacciano la conduzione dell’apparato ecclesiastico, che pretende di decidere dall’alto, dimenticando che tutti i fedeli in Cristo sono l’unica chiesa, e che l’unica chiesa non esaurisce il Regno di Dio.
Sarebbe opportuno rileggere in altro modo quella triplice “sezione” di chiesa: chiesa militante, chiesa purgante (!), chiesa trionfante.
19.06.18

Figli

Figli
Un caso del cosiddetto nominativo pendente lo troviamo in S. Giovanni. Però a me non interessa tanto il nominativo pendente quanto ciò che viene detto, e che pone un grosso punto interrogativo sul detto “figli adottivi di Dio”, una frase che da molto tempo mi è tornata del tutto stonata: figli adottivi.
È vero che anche nella traduzione latina del greco “uiothesia” troviamo il vocabolo “adotio” (adozione). Per il termine greco è piuttosto “costituzione di figlio” e non adozione a figlio. Una volta ho lasciato disorientato un biblista quando gli ho chiesto: “Se l’uomo è un figlio adottivo di Dio, allora Dio è un semplice padre adottivo?”.
S. Giovanni, nel prologo del suo Vangelo (I, 12) afferma: “A quanti lo accolsero diede il potere di diventare (essere?) figli di Dio, a coloro che credono nel suo nome [nome è parafrasi di Dio], i quali non da sangue né da volontà di carne [ossia umana!] né da volere d’uomo, ma da Dio sono stati generati”. Altroché adottivi: generati da Dio! Come? Oggi non lo conosciamo, lo capiremo oltre, dopo, quando rientrati nelle braccia del Padre… apprenderemo quasi per “osmosi” il nostro essere di Dio.
Da bambini, ancora incapaci di ragionare, “sentivamo” di essere figli di nostra madre, per quanto ci veniva trasmesso quando eravamo nel suo ventre, e poi nel suo amplesso. Osmosi.
Perché ci sentiamo “in esilio” quando la nostra patria [patria da padre] è nel cielo?
Non è vero che Gesù è il figlio autentico, mentre noi siamo figli spuri. Lui è semplicemente il “primogenito fra molti fratelli”: così ci assicura lo Spirito Santo nella sua Scrittura.
17.06.18

Chiesa e miracoli

Chiesa e miracoli
Chiesa, il luogo dei miracoli.
Siamo talmente abituati a vedere le opere proprie della Chiesa di Gesù, che non ci accorgiamo dell’opera miracolosa, che nella chiesa si attua.
E ciò non solo nella vita di santi ufficialmente tali, e non solo a causa dei loro interventi per guarigioni inusuali, ma per i miracoli che compiamo tutti noi e non stimiamo opportunamente.
Sappiamo che nell’Eucarestia, noi chiesa (e non solo il prete, ma ogni comunità radunata nel nome di Gesù) compiamo un impensato miracolo: pane che si trasforma nel corpo di Gesù, e il vino che si trasforma nel suo sangue! Se non è meraviglioso (=miracoloso) questo, che altra opera è un miracolo? Forse la trasformazione di una massa di marmo nella pietà di Michelangelo?
La cosiddetta “transustanziazione” non è il miracolo dei miracoli, che lo Spirito compie nel mondo attraverso la semplice opera del cristiano?
E che cos’è, se non miracolo, che nella chiesa i delitti siano assolti e cancellati, non solo davanti agli uomini, ma anche davanti a Dio? Il “confessionale” è il luogo dei miracoli.
E che cos’è, se non miracolo, che nella chiesa, composta da noi poveri uomini e povere donne, possano essere generati nuovi “figli di Dio”! Non figli di mamma e di papà (il che è un evento di per sé meraviglioso), ma autentici figli di Dio, genuini, amati da un Padre bellissimo, immenso, caro?
E le benedizioni che “costituiscono” nuove capacità? E le semplici preghiere che richiamano Dio in terra, e il fatto che io, misero, possa parlare di Dio?
23.06.18

Cibo e mistero

Cibo e mistero
Quante volte non ci siamo accorti di Gesù, bello, fresco, presente! È capitato anche agli apostoli e ai discepoli. I due di Emmaus camminano con lui, mangiano con lui, e solo alla fine lo riconoscono, poco prima della sua scomparsa. I discepoli stanno assieme e parlano della stranezza di Gesù morto e poi visto vivo da qualche donna e da qualcuno di loro.
Parlano, Gesù “stette in mezzo a loro”, ed ecco che credevano che si trattasse di un fantasma, proprio come capita ai bimbi piccoli, rimasti orfani, che talvolta credono di rivedere la mamma.
Gesù li sta rassicurando, perfino con il far toccare le sue piaghe. Il testo dice: “Per la gioia non credevano” ai loro occhi!! Che cosa fa Gesù per confermare la sua presenza? Compie uno dei soliti grandi miracoli di conferma? Macché: chiede soltanto di poter mangiare. Ritorna a un’azione consueta.
Il semplice cibarsi come conferma della straordinaria Risurrezione. Il riportare nel quotidiano l’opera di Dio, proprio per riaffermare la onnipotenza divina. È quasi una nuova incarnazione di Gesù. Lui divino nel concepimento, lui divino nella risurrezione.
Questo accadimento di “infima” fattura vince le nostre “sublimi” riflessioni teologiche e filosofiche su Dio. Un Gesù che mangia è conferma dell’opera di Dio. Forse questo è un richiamo a vedere nel quotidiano la presenza dell’eterno, nell’ovvio, la forza del prodigio, nell’umiltà la via al sublime, quella via che è Gesù, via verità vita.
16.04.18

Riconoscneti con gioia

Riconoscenti con gioia
Sappiamo che il Vangelo, o tutta la Scrittura, non sono libri scritti per l’informazione o per la storia, ma essi sono un dono prezioso per la vita, per vivere. Anche in questo caso, non sono una semplice medicina, ma… un medico, ossia una persona che si cura di noi, oltre che curare noi.
La Scrittura è un soccorso del Padre, per superare la nostra cecità, e per appoggiarci nel nostro cammino verso di lui.
Consegue che il Vangelo ci viene donato perché un regalo di amore del Padre.
Regalo!
Solitamente a un bambino piccolo che riceve una caramella, i genitori ben costumati chiedono al bambino: “Come si dice?” per suscitare in lui un senso di riconoscenza. E il bambino, mentre è intento a scartare la caramella dice: “Grazie” senza riflettere.
Grazie è la risposta educata, quando si riceve un dono o un’attenzione cortese. Da adulti il grazie spesso esce dal cuore, che riconosce il beneficio.
Ora mi chiedo: quando Dio esprime la sua parola, e spesso il mistero arcano della propria vita, noi gli siamo riconoscenti?
Ossia: leggiamo e ascoltiamo il Vangelo con riconoscenza, con il cuore commosso per aver ricevuto un tesoro incalcolabile, infinito, come naturalmente sono i regali fatti da un Infinito?
Quel “Rendiamo grazie a Dio” da me ripetuto in ogni messa, rimane una semplice formula di rito, oppure sta diventando un movimento del cuore?
11.06.18

Gioia inusitata,reale

Gioia inusitata, reale
Il vivere ci dona gioia. Il vivere, pensando, amando, divertendoci, mangiando, dormendo, lavorando. Nulla può pagare la gioia del dono della vita, nell’età e nelle condizioni, nelle quali, per dono di Dio e per l’affetto di chi ci è vicino, noi ci troviamo.
Inoltre, almeno talvolta, sperimentiamo una gioia maggiore, quando ci scopriamo di essere figli di Dio, compartecipi della vita di Gesù.
Quelle rare volte che accogliamo lo stimolo dello Spirito Santo, che ci persuade di fermarci un po’ per cogliere il nostro essere tuffati nel Padre, e il suo penetrare in noi (come? Lo sa lui, e questo è tutto!), allora sentiamo come un distenderci nella vita in una situazione indicibile, commovente, tranquillizzante. Cogliamo la nostra realtà di essere figli di Dio, fratelli di Gesù, come ci assicura la fede.
Sentiamo che ogni nostra azione, ogni nostro respiro cambiano colore e suono. Non si sa come, ma si sa che avviene. La fede nella persona di Gesù, presente nel Padre, nel Vangelo, nell’Eucarestia, ci ha preparato a questa gioia. Solo la fede in Lui. Non la fede in noi, nelle nostre capacità di sentire o di pregare. La fede, che può perfino iniziarsi con uno sforzo, ma che, o prima o poi, ci fa volare. Una fede in ogni azione dello Spirito di Dio in noi, quasi a cominciare dal nostro chiedere misericordia. Misericordia sia per le mancanze e per i peccati, dei quali siamo consapevoli, sia per le innumerevoli storture egoistiche, che lentamente, giorno per giorno, stiamo scoprendo. Ormai siamo così vicini a Dio che il nostro peccato non ci umilia, ma ci colma di riconoscenza al Padre, il quale, appena gli abbiamo confidato le nostre storture, ci abbraccia nella gioia! Gioia di vivere Dio!
04.04.18