L’oscuro della parabole

L’oscuro delle parabole
Le parabole sono degli stimoli, non delle lezioni da prendere alla lettera.
Sono stimoli adatti alla mentalità e alla sensibilità degli ascoltatori.
Giovanni e Paolo non usano parabole, perché scrivono a un certo tipo di nuovi ascoltatori.
Certamente che, se prendiamo le parabole alla lettera, Dio è presentato come giustiziere vendicativo, che non ha nulla da vedere con il Padre svelato da Gesù.
Mi lasciano perplesso certi commenti alla lettera delle parabole. Però tutti sanno che la lettera uccide. Perciò dobbiamo accorgerci dello stimolo, e poi inquadrarlo sul Dio-Amore di Gesù, e del Vangelo di Giovanni.
Perciò per inquadrare con più intelligenza gli evangelisti sinottici, non sarebbe errato leggere per primo il Vangelo di Giovanni. Esso è il meno lontano da noi nel tempo e anche nello stile, e potrebbe far quasi da ponte a ritroso per incontrare Luca, Matteo e Marco.
Comunque l’applicazione alla lettera delle parabole di Matteo e di Marco non rendono giustizia al pensiero di Gesù. Gesù era bravissimo nel raccontare, eppure poi, quando i vicini a Gesù si trovavano soli con lui gli chiedevano: “Spiegaci la parabola”. Anche per loro le parabole erano misteriose. Soltanto verso la fine della vita di Gesù, esclamano: “Ora finalmente ci parli chiaro!”.
Le parabole erano così misteriose che i suoi discepoli se le ricordarono, però solo Giovanni, da vecchio a quanto sembra, espresse con chiarezza il pensiero di Gesù.
09.06.17

Prendete e mangiate

Prendete e mangiate
Gesù adopera un linguaggio cannibalesco: “Mangia la mia carne”. Il testo non alleggerisce l’espressione, anzi la ripete.
Sì, carne è la condizione umana povera e limitata, di fronte alla quale si trova lo “Spirito”, la condizione perfetta, che è “in Dio” e che Dio partecipa all’uomo che crede.
Il progetto di Dio è che Gesù sia carne per attuare la volontà del Padre, che lui attua sempre.
Tutto ciò non toglie l’asprezza della stessa frase, che si incentra sul mangiare. Dice “mangiare”, non accettare solamente, ma assimilare per vivere. Chi mangia la carne di Gesù ha la vita eterna.
Lo Spirito di Dio, donato da Gesù, si trasferisce nell’uomo, mediante la sua carne mangiata. Nella frase di Gesù si può notare un bisogno di intimità inscindibile, dato che la carne, entrata come cibo, si disintegra per essere assorbita.
Gesù, alla fine della vita costruisce il senso del dono di sé, e la nuova inedita modalità del dono: questo è il mio corpo: e indica il pane. Così rende possibile il mangiare di lui. Questo è il mio corpo dato a voi. Un corpo che non solo accompagna, ma penetra. Lo specifica anche Paolo, nello scrivere ai santi di Corinto. Un corpo consegnato ai suoi, non un corpo tolto, un corpo sottratto, ma un corpo donato, donato appunto in modo non restituibile, ma dato a fondo perso, ossia mangiato.
Il senso cannibalistico della frase, si trasforma in un dono permanente, non ricuperabile.
19.06.17