Dolce pregare
In quanto figli, davvero figli, di Dio, siamo cari al Padre, e il Padre ci è così vicino e caro, da dirgli sinceramente col cuore: “Caro Padre”?
Con il Padre siamo distanti (Lui sulle nuvole e noi sulla terra), oppure vicini, tanto vicini da essere uniti a Lui, poiché siamo “in” Gesù?
Se il Padre è “di casa” come dovrebbe essere, allora, per quanto piccini e goffi, anche noi siamo “di casa” con lui. Quindi nasce in noi la necessità di una vera confidenza, non un fasullo atteggiamento paraconfidente.
Questo atteggiamento confidenziale con nostro Padre (“papà” o “babbo” lo chiamava Gesù) genera in noi il soave piacere di trattare con Lui, anche per fargli piacere.
Troppo si è incistata in noi la pesantezza della preghiera come un dovere di fronte a Dio. Invece di vivere la preghiera con quel sorriso, che nasce dal sapere che la preghiera unisce il Padre a noi, mentre ci uniamo al Padre, e che essa è un “piacere” per tutti e due.
Come la mettiamo con le tanto denigrate distrazioni durante il pregare, quelle distrazioni che sono la sentina di scrupoli per le persone pie?
Anche quando siamo assieme con un familiare o con un amico, non sempre testardamente pensiamo a lui, ma la dolcezza della sua presenza non sparisce, se il pensiero fugge verso il “che cosa devo preparare per il pranzo?”.
La presenza del Padre (che è sempre) assicura la dolcezza del nostro pregare.
17.05.19