Dolce vittimismo

Dolce vittimismo
Il dolce sapore del vittimismo. È così dolce, che chi lo gusta si guarda bene dall’uscirne … perché non brucia tanto da telefonare ai vigili del fuoco.
Presentarsi vittime a chi si presume non si presta a diventare il consolatore, è situazione da rifuggire. Il vittimista, in realtà, non è vittima, ma torturatore di colui che si presta incautamente ad ascoltare le lagne. E se il torturato si sottrae, allora diventa un incapace se non addirittura un nemico senza cuore.
Il lamentarsi per i nostri guai se non è in vista di come comportarsi per risolverli, è sempre un’ottima occasione per udire parole “dolci” di conforto. La dolcezza di una carezza su una piaga inesistente.
Il marito che si lamenta da anni della moglie bisbetica, che però gli fa comodo (dolcezza!) per continuare con l’amante di turno.
La moglie che si lamenta del marito violento e torturatore, trova però sempre un confessore o uno psicologo presso i quali rifugiarsi. Se poi questi due non sono avveduti si forma una catena tra due consacrati al reciproco dolce vittimismo.
La consolazione che Dio ci offre e che il Vangelo propone, viene non per mantenerci nel soave penare, ma per guarire e rilanciarci nella vita, nella grazia, nell’operare.
Chi si lamenta del proprio soffrire causato da altri, e, per farsi compatire, dice di continuare a patire da anni, è persona che si trova a proprio agio nel patire. Sado-masochismo.
23.02.19