L’angoscia di Giuseppe

Origine di Gesù 19 (L’angoscia di Giuseppe) 11
Matteo: “Ecco come avvenne l’origine di Gesù” (1, 18).
“Sua madre Maria, moglie di Giuseppe, prima della coabitazione, fu trovata nel ventre da Spirito Santo”.
Giuseppe lo seppe presto o dopo tre mesi, al ritorno di Maria dalla casa di Zaccaria, quando la gravidanza era ormai non celabile? Il tempo non interessa, mentre il fatto era chiaro.
Il problema per Giuseppe si apriva angoscioso: come agire con una moglie, che non era stata ingravidata dal marito? Di che cosa si trattava? Certamente il racconto evangelico svela un concepimento fuori dall’ordinario svolgersi della natura.
Si comprende lo smarrimento di Giuseppe. Ma che cosa poteva fare lui? Come comportarsi?
Il testo matteano sottolinea che Giuseppe era un “giusto”.
Giusto, secondo la mentalità corrente, era la persona totalmente ligia ai precetti della Legge di Mosè. La donna che aspettava un figlio non avuto dal marito, doveva essere accusata pubblicamente di “adulterio”, e quindi doveva essere lapidata.
Questo giusto non sa quale decisione prendere, e ne era scosso, angustiato. Ma perché angustiarsi, se la situazione era quella, davanti agli occhi di tutti? In Giuseppe nasce la lotta interiore tra il perbenismo del giusto, e l’affetto che lo legava alla moglie, da lui scelta.
Poteva tacere, e dire che il figlio era suo: bugia pubblica, che un giusto non era in grado di tollerare.
Tra le soluzioni, che Giuseppe poteva scegliere, scelse un povero espediente, ma quale poteva essere l’esito?

03.01.2016

Origine di Gesù 13: da Elisabetta

Origine di Gesù 13
Maria subito dopo il colloquio con l’angelo e il suo “avvenga” parte. Subito: “en tais emerais tautais” recita il greco. Il latino e l’italiano dicono “in quei giorni”. Però il greco preferisce “in questi giorni”. Vi è quindi continuità tra il concepimento di Maria e il suo cammino non lieve (“andò in una regione montuosa”) per visitare Elisabetta.
È un viaggio di carità verso una vecchia? È un bisogno di costatare la veridicità delle parole dell’angelo? Colpisce il testo: “Si alzò poi e andò in fretta”. Fretta: soccorso o curiosità? O tutti e due?
Comunque il chiaro si fa subito. Infatti Maria entra nella casa di Zaccaria e salutò Elisabetta. Qualche giorno prima anche l’angelo entrò da Maria e “salutò”. Ricordiamo che Maria si chiedeva quale fosse il “saluto” dell’angelo.
Però i due saluti generano due effetti diversi: lì era il turbamento. Qui è l’esplosione di gioia. Lì il Verbo non era ancora incarnato, qui è già incarnato e produce l’effetto della gioia che si manifesterà dopo la nascita di Gesù, e che l’angelo comunica ai pastori come “grande gioia”.
Il primo a percepire questa gioia è “giustamente” il “precursore”.
“E avvenne come udì il saluto di Maria Elisabetta, saltellò il figlio nel grembo di lei!”. Saltellò (da skirtao): è designato come un movimento spontaneo, istintivo sia negli animali indomiti, sia nell’uomo, che istintivamente si agita. Qui è interpretato come gioia.

31.12.2016

Vendetta di Dio

Vendetta di Dio
Dio non sa vendicarsi. È per comodo alla nostra fantasia perversa, che noi crediamo Dio capace di vendetta. Dio non sa vendicarsi, perché non “può” vendicarsi. La vendetta è nemica dell’amore, mentre il nostro caro Dio è solo Amore. Il dono di Gesù è l’apice della misericordia del Padre. Evviva il Natale!
Evidentemente non esiste il castigo di Dio, del quale storie e popoli (e chiese?!) parlano. Il nostro limitatissimo concetto di Dio, vede nella giustizia di Dio i tetri colori della giustizia umana, nel seno della quale regna imperterrita la necessità della punizione.
Dio non è capace di punire. Le immagini mitiche dei popoli, e dell’Antico Testamento, presentano una presenza di Dio, dentro le punizioni degli uomini. Quegli uomini, che reclamano la punizione dei colpevoli, per sentirsi corretti e giusti.
Solo l’uomo, poiché essere limitato, è in grado di punire se stesso e gli altri. Per l’uomo il delitto (male) deve essere punito con un castigo (male). Un male che dovrebbe guarire un altro male, mentre in realtà lo raddoppia. Noi stessi affastelliamo sui nostri mali morali, primi dei quali è sovrastante il peccato, con il male di almeno uno scrupolo, un’autopunizione di qualsiasi genere.
Essere liberati dal male, è possibile solamente con il compiere il bene. Però tra il male e il bene, si incunea la misericordia. La misericordia ha un sapore molto dolce. Fino a che non incontriamo la dolcezza della misericordia, questa la sentiamo aspra, perché la sentiamo “opposta” al castigo, alla “giustizia”. Però, sotto questo riguardo, l’opposizione è sempre corredata di una qualche violenza: infatti è opposizione.
La misericordia non si oppone; essa agisce di suo, proprio perché nasce dal cuore di Dio e si comunica all’uomo. La misericordia non può essere come molte medicine, che combattono un male e creano delle conseguenze fastidiose, per dire un po’. 17.02.16

Tutti i giorni troppo bello?

Tutti i giorni troppo bello?
Il Natale ci ricorda la nostra grandezza nella nostra piccolezza.
Farsi santi o essere santi. La prospettiva diversa è frutto di una educazione diversa. L’educazione crea la mentalità. Quando poi l’educazione è scambiata per catechesi, ossia per dottrina ufficiale oppure consueta della chiesa, il guasto si accentua.
Spesso viene inculcato l’obbligo di farsi santi. L’uomo e la donna devono acquistare alcune virtù, alcuni comportamenti, una tale mentalità, attraverso i loro sforzi personali, per raggiungere le vette della santità, anche imitando (scimmiottando?) le imprese “eroiche” dei santi. Alta carità, alte preghiere, profonda fede, mortificazione crudele, ecc. ecc. Insomma si deve ascendere a forme più o meno mistiche.
Ricordo un mio confratello che esclamava: “Che vita da cani il farsi santo!”.
Sotto sotto si nutre la continua tristezza di non essere mai arrivati. La faccia di chi deve farsi santo, è sempre un grugno insoddisfatto.
L’altro versante è di quelli che sono dolcemente convinti che solo Dio, il Santo, regala la santità ai suoi figli. E questi con splendida meraviglia si accorgono di essere santi. Non perché essi hanno guadagnato la santità, ma perché Dio gliel’ha regalata. La loro vita è un continuo sorriso di lode e di riconoscenza. Fede e battesimo sono la condizione, che noi presentiamo a Dio, affinché – perché così lui ha deciso – egli ci riempia della sua santità.
La gioia di essere già santi, permea la nostra vita. Purtroppo talvolta siamo stanchi di essere felici, e ci buttiamo a fare qualche sciocchezza, dalla quale nostro Padre, se l’ascoltiamo, ci chiama indietro, perché senza i suoi figli non può stare.
La regina di Francia si lamentava dei quotidiani cibi raffinati!
15.11.15

Tutta la vita di Gesù 2

Tutta la vita di Gesù 2
“Ecco l’agnello di Dio”: esclama il Battista nel vedere Gesù. A parte le spiegazioni sul termine greco “Amnos”, che lasciamo ai filologi, il Battista non aveva ancora scoperto il totale mistero di Gesù. Addirittura verso la fine della vita, il Battista manda i suoi scolari perché si informino se Gesù è “quello che deve venire”.
Giustamente il Battista utilizza la mentalità corrente di allora per designare Gesù, indicandolo come “Agnello che solleva il peccato del mondo”. Forse è da notare che l’Agnello “solleva”, e non viene caricato del peccato e abbandonato alla morte nel deserto: solleva solamente.
Battista intravvede, ma non riesce a definire tutto il “mistero” di Gesù, pur essendo convinto che “lui deve crescere, e io scomparire”. Quindi le parole su Gesù, in questo contesto, sono un’intuizione, non una definizione. E chi sa “definire” Gesù, che, in quanto Dio, non può essere definito? È risaputo che le nostre intuizioni sono piuttosto una proiezione delle nostre idee e dei nostri sentimenti, che non un riconoscimento preciso di un oggetto.
Non è sviante l’accostamento con l’agnello dell’Antico Testamento; però è un tentativo di esprimere un’idea con i mezzi linguistici della cultura nella quale si trova chi pronuncia le frasi ricordate.
Il nucleo è sempre quello: Gesù che salva. E di questo nucleo ciascuno vede una sfaccettatura diversa. Certamente dopo la “lezione vitale” di Gesù, noi sappiamo che è l’amore del Padre che salva. Il Padre ha tanto amato il mondo da donare il suo Figlio. Dono di Dio in tutto lo spessore di Gesù. Dono completo. A questo dono, nell’uomo non si può rispondere solamente con l’accettazione passiva, ma con un dono a lui di tutta la nostra esistenza.
22.03.17

Tutta la vita di Gesù 1

Tutta la vita di Gesù 1
Perché una diffusa “diceria sanguinolenta” attribuisce la nostra redenzione al “sangue versato da Gesù”? Sembra che in tutto il resto della sua vita Gesù non sia stato il Salvatore, e ha dovuto aspettare i boia per diventare Redentore e Salvatore.
Certamente sotto questa mentalità si odora tanto ebraismo e tanto paganesimo, i quali “cancellavano” le loro colpe con un sacrificio di animali. Fa rabbrividire l’accostamento di Gesù agli animali, quando di lui si dice “vittima per il nostro riscatto”.
Addirittura un libro di pietà, diffusissimo tra i sacerdoti un tempo non lontano, che durò fino a tutta la mia giovinezza, nel quale si legge il senso di uccisione di Gesù ucciso per il riscatto, e si considerò tutta la vita di Gesù un sacrificio. Vi si leggeva: “Tutta la vita di Gesù fu un sacrificio”. Era un testo molto letto. Perfino nel “Manuale christianorum” che era posto nelle mani di noi, giovani (allora!) sacerdoti, si trovavano preghiere, ma in quel libro (L’imitazione di Cristo), non una sillaba di Vangelo. Ricordo che un sacerdote anziano per correggere il Vangelo o per contraddire al Concilio citava l’autorità di quel libro.
Grazie a Dio, tutta la vita di Gesù fu salvifica, beneficatrice. E Gesù lo dimostrava salvando dalle malattie psichiche e fisiche, indicando la gioia di essere figli amati dal Padre. Gesù fu Salvatore in ogni suo momento di vita, non solo nel “mistero pasquale”: morte e risurrezione.
Si capiscono le penitenze cruente dei santi (e anche dei non santi!) per fruire della redenzione cruenta di Gesù, però il Padre ci ha unito a sé, tramite la vita, la morte e la risurrezione di Gesù.

22.03.17

Conoscere Dio? 2

Conoscere Dio? 2
Leggo una sentita ricerca sul nome di Dio. È una ricerca, che può solo attenersi a tentativi umani, mai totalmente riusciti. La decifrazione nostra del nome di Dio, una specie di battesimo di Dio, è un nobile tentativo, che non può approdare a un nulla di solido.
Se per nome di Dio, intendiamo un attributo, questo può giovare alle nostre intuizioni, ma non si addice a ciò che Dio è davvero. Tutti gli attributi indicanti Dio, non descrivono Dio, ma lo sforzo dell’uomo per sondare l’insondabile.
Dio, per fortuna nostra, non è definibile in sé, secondo le categorie umane, anche quella dell’eternità, perché l’eternità è ciò che noi intendiamo per eternità, ma le categorie umane non possono corrispondere alle categorie di Dio.
Proprio per superare questa impasse Dio si degna di aiutarci. Forse non si degna, ma sviluppa il suo amore anche sotto questo aspetto.
Ritorno su un mio concetto: Gesù è la semplificazione di Dio, una semplificazione che supera ogni profezia, sia precedente sia posteriore a Gesù. S. Giovanni nel Vangelo è categorico: “Dio nessuno l’ha visto”. È ammissione di sconfitta e inizio di adorazione. Poi Giovanni ci rassicura davanti alla nube del mistero. “Il figlio suo che è nel seno del Padre, ce lo ha narrato”. Altra conoscenza di Dio, che prescinda dalle parole luminose di Gesù, è una conoscenza da rispettare, sia che essa si inserisca nelle pieghe di una religione, sia che essa fluisca da una ricerca filosofica; però non è una conoscenza che ci possa rassicurare, come base di un sicuro e consolante rapporto con il Dio vero.
13.01.2016

Conoscere Dio 1

Conoscere Dio? 1
Quando affermiamo che Dio è spirito, come intendiamo il vocabolo “spirito”? Secondo le nostre categorie? Ma le nostre categorie non possono descrivere Colui che è totalmente Altro anche dalle nostre categorie. E allora davanti a Dio non resta che tacere, come vuole una certa corrente filosofica abbastanza recente?
Eppure di Dio non possiamo non parlare. “Non possiamo non dire ciò che abbiamo veduto”: dichiarano gli Apostoli, citati come eretici davanti al Sinedrio ebraico. Ecco allora la possibilità di parlare di Dio: ciò che abbiamo visto, per gli Ebrei era soprattutto la liberazione dalla schiavitù, per noi cristiani la Risurrezione di Gesù, quel punto di partenza, per guardare a ritroso la vita di Gesù, e un avanti la vita della comunità di Gesù, formata da lui dopo la risurrezione. Noi parliamo di Dio, desumendo da ciò che abbiamo visto. Pietro si accorge che “Dio l’ha risuscitato dai morti!”.
La conoscenza di Dio cristiana, per quel minimo che si possa dire di Dio, si basa sulla storia.
Molti dubitano della storicità dei Vangeli. Sono quegli stessi che sono sicuri, per esempio, della storicità del “De bello gallico” scritto da un poco umile autocelebratore. Però, svestendo il “De bello gallico” dalle lodi che lo scrittore si dona, rimangono i fatti. Con il Vangelo, circa la sua storicità, ci troviamo avvantaggiati. In essi del suo protagonista e dei suoi vicini, si ricordano vizi e virtù.
I fatti rimangono e, per esempio, della sua risurrezione, non troviamo spiegazioni umane. Un Altro ha agito.
13.01.2016

Vangelo e obbedienza

Vangelo e obbedienza
Per rinnovare correttamente è necessario ritornare alle fonti. Questo vale per il Vangelo, nel liberarlo dagli orpelli accumulati nella storia, e per il francescanesimo.
Certamente l’Inquisizione e le Crociate sono eventi che hanno rivestito di orpelli il Vangelo. Ricordo che le Crociate erano bandite in nome di Dio, e sotto questo aspetto nulla hanno da invidiare ai terroristi islamici che ammazzano gridando: “Allah è grande!”.
Il Francescanesimo, quando si è richiamato alle origini, quasi sempre, anche nelle sue numerose riforme, ha suscitato un “estratto” dalle situazioni iniziali, non ponendo i testi scritti nel contesto culturale dentro il quale furono scritti, e capendoli nel loro contesto, per poi adeguarli a un diverso contesto, nel quale non possono meramente essere trapiantati, per non seccare ed essere inutilizzati se non addirittura essere deformati.
L’esegesi attenta del Vangelo ricolloca i testi nel loro ambiente culturale, affinché siano vivi anche oggi.
Sto pensando, per esempio, all’obbedienza indicata nella Regola di S. Francesco. Tutti i superiori e i gerarchi esaltano l’obbedienza imposta per loro, e a loro vantaggio; come avviene in tutti i regimi totalitari (non per niente nei vecchi testi di diritto pubblico ecclesiastico si notava che l’organizzazione della chiesa corrispondeva a un regime totalitario).
Nella Regola la prospettiva è diversa: “Vivere il Vangelo,… nell’obbedienza”. Qui l’obbedienza è posta in relazione non con la struttura, ma con il Vangelo. Quanto più si conosce il Vangelo, tanto più si può capire l’obbedienza.
27.03.17

Voi luce

Voi luce
Voi siete la luce del mondo. Questa di Gesù è un’affermazione, che indica un presente. Siamo luce. Brilliamo in modo che vedano gli uomini e glorifichino il Padre, che ci ha costruiti nella luce.
Nel credo noi ci dichiariamo sicuri che il Figlio è Luce da Luce. Sono tentativi di dire l’indicibile: Dio. Però per dare corpo alla nostra fede ogni espressione è utile, e ogni espressione è insufficiente. Quella Luce da Luce è la stessa unica luce, ed è luce nella luce.
Tra i modi poveri di indicare che noi siamo cristiani, è quello di far l’analogia tra la luce di un satellite (luce riflessa) e la luce dell’astro che l’illumina. È un modo quasi parabolico, ma né esauriente né felice. È un aggrapparci sugli specchi. Come il Figlio è la stessa luce del Padre (Io e il Padre siamo una realtà unica), così il cristiano è la stessa luce di Cristo, data la sua connessione profonda con Gesù, espressa, sebbene incompletamente, con il paragone con il Corpo Mistico (mistico ossia reale!): noi membra sue, lui il capo. Anche questo è un commovente sforzo di accennare a una realtà inspiegabile.
Il linguaggio parabolico e analogico, quando tentiamo di accennare alle realtà che riguardano Dio, non può e non deve essere esaustivo, né veramente adatto. Ma non ne abbiamo un altro. E ogni ulteriore sforzo, non produrrà, per la realtà, nulla di nuovo, ma per chi cerca di pronunciare le cose di Dio, può essere una scoperta gradita.
Gesù Luce nella stessa Luce di Dio. Noi luce nella stessa luce di Gesù. Forse il fatto che la Genesi ponga all’inizio della creazione la luce non prodotta da astri, può aiutare la nostra fantasia, quando ci incontriamo con il “Voi siete luce”.
05.02.2016