Luce di speranza

Luce di speranza
Leggendo, durante questa settimana il documento conciliare “Gaudium et spes”, è consolante trovare la corrispondenza tra le nostre intuizioni stimolate dalla lettura del Vangelo, e il testo conciliare.
È anche bello vedere come le idee e le azioni di papa Francesco collimano con il dettato conciliare.
La titolazione stessa del documento “Gioia e speranza” è indice dello scopo: recare serenità, nel vivere Gesù dentro la società odierna. Gesù presente, per quanto non decifrabile dalla nostra povera mente. È un documento “ottimista”, profondamente ottimista, perché non basato su cose più o meno romantiche, ma sulla roccia eterna di Gesù risorto.
Sembra essere un documento-eco di papa Giovanni, che disapprovava i “profeti di sventura”, ossia i lamentosi sulle condizioni tristi della società e della Chiesa.
Oggi abbiamo bisogno di serenità, quando il papa avverte che siamo entrati nella terza guerra mondiale, guerra, che se allargata con i mezzi atomici, potrebbe essere l’ultima davvero. Orbene proprio all’interno dei diversi sfaceli, politici e religiosi, deve nascere la speranza in quel Gesù, che è risorto da morte e che salva ogni uomo, proprio perché ha realizzato in sé la possibilità e l’attuazione del risorgere.
Ogni creatura umana, porta in sé l’impronta dell’eternità. Una eternità futura, ma già iniziata nel presente, se il presente è materiato di fede e di amore. La scintilla di Dio è dentro ogni cuore, sebbene solo noi cristiani siamo capaci di vederla con la fede.
27.01.18

Perfetti sì, ma con criterio

Perfetti sì, ma con criterio
I perfezionismi tormentano molte persone. Essere belli, bravi, buoni, intelligenti, esteti, ecc. Ciascuna persona nutre il proprio perfezionismo, o addirittura i propri perfezionismi.
L’unico modo per non sentirci in pace è l’essere perfezionista o sentire le nostre colpe (che sono frutto del nostro perfezionismo).
Il perfezionista è il torturatore de se stesso, lo scontento per professione. Egli tende a ciò che una persona umana non può raggiungere.
L’educazione al perfezionismo si inizia a casa: il bravo bambino è… io voglio essere come mio padre, o mia madre, o lo zio Augusto, o la zia Rosalia… poi la scuola aiuta: il bravo scolaro è… fino ai sogni liceali di voler essere come Einstein. Segue la società, con la pubblicità o con l’esempio del cittadino integrale e con la conclamata star del cinema. C’è poi la suggestiva aggiunta della religione, che propone esempi di santi, e che perfino nella liturgia sollecita a seguire l’esempio del santo tale o della santa tal’ altra.
E noi dove siamo? Chi siamo, perché non siamo nessuno se non siamo come gli esempi proposti? Ci spronano in tutti i modi a non essere noi stessi, ma l’altro da noi. E così viene coltivata la scontentezza, se non l’infelicità, perché non siamo quello là, e non questo qui.
Bellamente si dice: “educhiamo i bambini a essere felici, non a essere perfetti!”. Fino a che tendiamo a diventare l’altro, ci dimentichiamo di scoprire e di sviluppare le doti nostre. Educhiamoci a esser “completi” in noi, vivendo il dono di Dio che noi siamo. Cioè a essere “perfetti” secondo le indicazioni della natura e del Vangelo.
26.01.18

Pregare, dono dello Spirito

Pregare, dono dello Spirito
Evidentemente il credere, il vivere, il sentire la nostra preghiera piena di Trinità, non è una trovata nostra, né si attua con i nostri sforzi. Essa è un gioioso dono dello Spirito. Da noi, probabilmente, dipende l’atteggiamento con il quale entriamo nel pregare. È un atteggiamento calmo, nel quale anche le parole che esprimiamo o che ci vengono indicate dalle formule, più o meno conclamate ed usuali, sono lentamente assaporate e piene di gioia.
Mi lasciano perplesso le persone che continuano a recitare parole o formule in fretta, senza dolcemente inciampare e assaporare la presenza del Padre, insita anche nelle formule, presenza attuata dallo Spirito che prega in noi.
Per poter pregare correttamente, nella semplice fiducia al Padre, è necessario nutrire fiducia nello Spirito che prega in noi.
Per viverci in questa atmosfera di preghiera non è necessario per nulla, come taluni potrebbero dire, fare “esercizi di preghiera”, pari agli esercizi preparatori alle esecuzioni di pianoforte. La preghiera in Dio, non è conquista nostra, ma semplice dono dello Spirito.
Se ancora non siamo penetrati in questa situazione del pregare, basta “tentare o provare” una sola volta, e già ci si trova immersi.
I “maestri” nella scuola di preghiera non sono uomini, anche di grande spessore ascetico, ma l’unico maestro è lo Spirito Santo, colui che Gesù ha incaricato di “spiegarci tutto”. A questa introduzione siamo preparati da sempre, perché da sempre abbiamo bisogno di confidenza e di appoggio, bisogno, per rispondere al quale, Dio si è obbligato.
21.01.18

Figli che pregano

Figli che pregano
Una differenza non meramente nominale (anzi!) corre tra pregare Dio Trinità, ossia la Trinità, e pregare nella Trinità. La prima è una posizione “esterna” a Dio, l’altra è interna a Dio. Sudditi dell’Onnipotente, o familiari del Padre. Dio lontano da noi, oppure noi “in” Dio. Anche affettivamente la “sensazione” è assai diversa. È la capacità, con nostro Padre, di passare dal Lei, rivolto all’Onnipotente, al tu, rivolto al Padre.
Noi siamo abilitati al tu intradivino, intratrinitario, perché la nostra vita è connessa radicalmente con Gesù. Lui la vite, noi i tralci innestati alla sua persona, alla sua concreta realtà di uomo-Dio. La preghiera è “divinamente” facilitata. Conseguenza: non riusciamo più porci “in preghiera” senza viverci nella gioia del “caldo amoroso” del Padre. La preghiera, vissuta dal cristiano, è certamente anticipo della nuova vita che ci attende dopo la “morte corporale” come la definisce S. Francesco.
La preghiera “intratrinitaria” non ci immette nella realtà di Dio, ma ci rende consci, gioiosamente consci, del nostro essere in Dio, del nostro percepirci preghiera in Gesù.
Il nostro pregare è come un viverci dilatati nell’Immenso, un Immenso di Amore. Dio infatti ci ama davvero infinitamente, ed essere abbracciati dall’infinito è condividere l’infinito di Dio, che ci abbraccia.
La grande preghiera di Gesù, riportata nel Vangelo di Giovanni (17, 1-26) è semplice sicurezza di una realtà che esiste e che Gesù vive e manifesta.
21.01.18

Dio e il denaro

Dio e il denaro
Forse è chiara una corrispondenza: i paesi ricchi notano una diminuzione della frequenza religiosa e una diminuzione degli “addetti al culto”, che noi diciamo “clero”. I paesi poveri mostrano crescita di preti, di frati, di suore.
Una battuta, che ho udito abbastanza frequentemente: “I poveri si fanno frati, per assicurarsi un benessere, non presente tra la popolazione”. “Pane e sacramenti in tutti i conventi”: si diceva, per indicare la “sicurezza sociale” a chi si faceva frate.
Se non che un personaggio medievale, che camminava ad Assisi, personaggio benestante si fa povero e frate, non per sbarcare il lunario, ma per qualche altro arcano motivo. Io, nel periodo di formazione, avevo qualche nobile titolato e ricco, tra i miei compagni.
La società del benessere non evita il convento, perché ha la pancia piena, ma perché ha dimenticato quel particolare della vita che siamo soliti chiamare preghiera. Il benestante spesso ha smesso di pregare, o prega un po’ maluccio. Il ricco si concentra su se stesso e non sull’aumento di preghiera. La preghiera non gli serve per aumentare la ricchezza… anzi gli servirebbe per diminuirla.
La preghiera educa all’apertura. Se una persona prega davvero, si “apre” a Dio. La preghiera è uscita da noi, verso l’Altro. Altro è centro e si oppone al centro costituito dal denaro. Gesù ci aveva avvertito: non si può servire a Dio e al mammona, ossia all’Altro e a se stessi. La ricchezza è chiusura al dialogo. Boito l’aveva ben individuato nel suo Mefistofele.
La ricchezza, che distoglie dalla preghiera è causa della diminuzione delle persone che si vogliono dedicare all’Altro e agli altri.
30.01.18

Dio commosso

Dio commosso
Assalonne, figlio mio; Assalonne, figlio mio! È lo strazio di Davide, all’udire la morte del figlio. Un figlio ribelle, che aveva organizzato un esercito per detronizzare il padre, anzi addirittura per sopprimerlo. I fedeli a Davide re, con a capo Joab, combattono l’esercito di Assalonne, lo sconfiggono, e lo stesso Joab trafigge e uccide Assalonne inerme e impigliato nei rami di un albero. La notizia della vittoria è recata a Davide. Questi non tripudia, ma cade nel dolore.
I due piani: Joab guarda la vittoria politica. Davide piange l’uccisione del figlio, lato negativo della vittoria. La politica esulta, il cuore si affligge. La chiesa ufficiale esulta per la sconfitta delle eresie, per il valore negativo delle scomuniche, per l’affermarsi del potere. Il cuore di Dio e i santi di Dio, piangono sui fratelli devianti. Sì, la politica ecclesiale gioisce, Dio Padre è afflitto, chiaramente come si affligge Dio, modalità che non ci è concesso di conoscere.
Noi, che sentiamo l’immensa gioia di essere figli di Dio, davanti al peccatore punito, ci abbandoniamo alla gioia dell’Antico Testamento per i nemici sconfitti, o alla tenerezza del pianto per i fratelli perduti, come indica il Nuovo Testamento? Quel Testamento, che narra di un pastore che cerca la pecora disorientata.
Se, al leggere l’afflizione di Davide alla morte di Assalonne, ci si intenerisce, quale è la nostra commozione per milioni di fratelli scomunicati, di islamici combattuti?
Che lo Spirito ci apra alla commovente afflizione del Padre!
30.01.18

In Gesù, l’amore che libera

In Gesù, l’amore che libera
Nostro Padre può essere visto sotto l’aspetto del Legislatore severo, oppure sotto l’aspetto di Padre liberatore. Gesù, che pure conosceva Dio Legislatore, ha optato decisamente sul Padre che libera; addirittura l’onnipotenza di Dio, Gesù l’ha sottomessa all’amore. Siccome Dio è Amore, all’Amore serve l’onnipotenza.
Ci viene detto, giustamente, che alla fine saremo giudicati sull’amore. Da qui nasce la domanda, talvolta angosciosa: “Io so ancora amare? Come e quanto amo?”. In realtà è più facile chiederci: “Lui che ci giudica, con quanto amore ci giudica?”. Io credo che in realtà non saremo giudicati sulla quantità di quando noi avremo amato, da come noi ci siamo liberamente “esposti” al Suo Amore. Esposti al Padre, che ci ama, Egli in noi inietta il suo Spirito, che è Spirito d’Amore.
La ricerca si capovolge da “io devo amare”, a “come ho accettato l’amore di Dio, che in maniera sublime si è manifestato in Gesù. Come ho accolto Gesù, la sua Parola, la sua presenza nei fratelli e nell’Eucarestia?”. Noi non sappiamo amare correttamente: basta ricordare che il rapporto prezzolato con una prostituta o con un prostituto lo mascheriamo in un scombinato “fare l’amore”.
Dio ci obbliga, come ripetuto ritroviamo nell’Antico Testamento? Oppure il Padre ci libera, come leggiamo nel Nuovo Testamento, nel quale anche gli obblighi sono riassunti nell’amore, e questo procrea la vera libertà?
Cristo ci ha liberati per la libertà, come avverte Paolo scrivendo ai Galati.
22.01.18

L’incontro

L’incontro
Moviamo da una osservazione molto terra terra. L’ovulo femminile e lo sperma maschile, di per sé, sono infecondi. Diventano fecondi nell’incontro: l’uno rende fecondo l’altro e si fa fecondare dall’altro solamente nell’incontro. Dio maschio e femmina li fece e gli comandò di crescere, di moltiplicarsi, di riempire e dominare la terra. Dopo l’incontro diventano i dominatori, prima, nel Paradiso terrestre restavano infecondi, la gioia del piacere di vivere era ancora da compiersi.
Purtroppo Adamo ed Eva, anziché pensare e provvedere a essere creature feconde, presumevano di staccarsi dall’umanità per diventare “come Dio”. La trasgressione però li riportò alla semplice misura umana, destinata a produrre cose grandi, questa volta però nella sofferenza.
Fino a che l’uomo non incontra la sua donna, rimane infecondo.
E i celibi? Sono infecondi? Oppure essi sono destinati alla fecondità, proprio grazie all’incontro? Evidentemente esiste un incontro non necessariamente genitale. “Non conosco uomo!” dice Maria, che pure era “fidanzata a un uomo di nome Giuseppe”. I due sono fecondi sia per il dono divino di un figlio, sia per un accordo su quel figlio: “Tuo padre e io eravamo angosciati”. Fecondi anche nella sofferenza condivisa. Sofferenza che segue l’accordo nella preghiera: tutti e due s’erano recati al tempio.
È necessario lasciarsi completare dall’altro sesso per diventare produttivi e vivi. Quale completamento? Il più importante completamento accade per opera dello Spirito, nella fede e nella preghiera.
E se la Quaresima fosse un invito all’incontro secondo Dio? Incontro di perdono e di gioia in Dio?
05.01.18

L’ultimo spazio

L’ultimo spazio
Quando si entra nel rush finale della vita, l’attività più redditizia e più continua che si possa svolgere è la preghiera.
La preghiera è sotto la luce di quanto indica il Vangelo: “Il vostro Padre dal cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono” (Lc 11, 13). Il testo latino preferisce Spirito Buono a Spirito Santo. In qualche modo Dio si è impegnato a esaudire la nostra richiesta. L’esempio chiaro, e forse massimo, di questo Dio che si china alla preghiera dei figli, è nell’Eucarestia. Infatti, invocato dalla sua comunità, Dio, in Gesù, “entra” nel pane e nel vino. Pregato, non si fa attendere, ed ecco Gesù con noi; siccome Gesù è sempre con il Padre e con lo Spirito Santo, ecco la Trinità (semplicemente: Dio!) con noi.
La preghiera, per allargare il cuore e per sostenerci, deve chiedere lo Spirito Santo, con i suoi doni, con i suoi frutti. Ossia si chiede solo ciò che a nostro Padre piace, gli ci affidiamo noi stessi e così siamo sicuri che “ci pensa lui” a tempo opportuno e in modo congruo. E il nostro cuore entra in una grande pace.
Quest’ultima fase della vita è fase di serenità e di distensione, che non si consegna al bar, ma è ovunque anche quando siamo a letto o al bagno.
Quando molte attività consuete lentamente si abbandonano, si allarga lo spazio della preghiera, della riconoscenza, del perdono ai nostri offensori, all’attesa più pronunciata del momento dell’abbraccio finale con nostro Padre.
19.01.18

La falsa bella figura

La falsa bella figura
La diminuzione di intelligenza, che si trova in una parte, immagina che ci sia scarsa intelligenza nell’altra.
Ora mi spiego.
Quando siamo nel periodo natalizio per i cristiani, avviene qualche cosa di strano. Noi sappiamo rispettare il ramadan o l’inizio dell’anno buddhista, anche quando ci troviamo in Arabia o in Cina. Ci sono alcune, tra le maestre elementari, le quali anziché educare al rispetto reciproco cristiani-musulmani, cancellano il Natale cristiano, per rispetto, dicono, degli islamici. L’ultima perla che ho conosciuto è la sostituzione del nome di Gesù con la parola Perù, nei tradizionali canti natalizi della nostra gente.
Ammettiamo: un simile cambio non poteva uscire che da una mente altamente geniale! Di questa genialità le asine sono sempre incinte. – Rispetto non è lo stesso della prostituzione. E la propria identità non può essere nascosta senza diventare davvero bugiardi.
Il Natale – che del resto non pochi islamici considerano, quando parlano di Gesù, pur a modo loro – è una delle cifre caratteristiche della fede di ogni tradizione cristiana: cattolica, ortodossa, riformata. Il vergognarci del Natale, davanti a quegli islamici che sono ritenuti ignoranti perché non in grado di cogliere la differenza tra le fedi, è simile alle signore di buona famiglia che nascondono nel cassettone crocifissi e immagini sacre, per non offendere l’ospite miscredente, presentandosi così bugiarde per “dovere di cortesia”, una evidente cortesia farisaica.
Noi celebriamo i nostri antenati martiri, che preferirono la morte al nascondere la propria fede, e poi temiamo un miscredente o un islamico, per “dovere” falso di ospitalità.
La revisione quaresimale potrebbe liberarci da questa piaga?
31.12.17