Ancora sulla gioia

Ancora sulla gioia
Durante le mie riflessioni sulla gioia della salvezza, mi imbatto su queste parole del Profeta Isaia: “Ecco, io creo nuovi cieli e nuova terra; non si ricorderà più il passato, non verrà più in mente, poiché si godrà e si gioirà sempre di quello che sto per creare, poiché creo Gerusalemme per la gioia, il suo popolo per il gaudio. Io esulterò di Gerusalemme, godrò del mio popolo”. Prendo il testo, come lo leggo nella traduzione CEI della Bibbia.
La creazione e la ri-creazione sono in dirittura della gioia. Gerusalemme è il luogo di Dio (quello che Gesù, nel colloquio con la samaritana, allarga all’universo). Ebbene sono due le collocazioni della gioia: Il popolo è per il gaudio. E Dio godrà per il suo popolo.
Dio gioisce nel far gioire. Dio trasmette la sua stessa gioia. È un turbinio di gioia, quando Dio riconduce gli uomini alla gioia.
Esiste anche il reciproco? Ossia che la gioia dell’uomo accende la gioia nel Padre? L’accenno alla parabola del Figliol prodigo è ovvia: facciamo festa, perché il figlio è ritornato. Anche i piccoli che accolgono la parola di Dio, realizzano il piacere del Padre.
Dio provoca la gioia nell’uomo, a iniziare dal dono della vita. Quando l’uomo gioisce del dono di Dio, rimanda a Dio la stessa gioia.
Quando a causa dei tristi accadimenti provocati a noi dagli uomini, rimane ancora un angolino, dentro di noi, per la nostra gioia?
La nostra gioia è nel Signore, che ha fatto cielo e terra, e il Paradiso!
12.03.18

Il Lui tutti. Di più noi!

In Lui, tutti. Di più noi!
S. Paolo, nella Lettera ai Romani (10,2) riconosce che anche chi evita l’incontro con il Gesù della nostra fede, ha uno zelo, cioè una tensione religiosa, ma non secondo una conoscenza. Infatti, se Gesù non è accolto creduto amato, troviamo uno zelo non secondo Dio, ma secondo i propri criteri.
Questo oggi lo possiamo capire anche nei confronti con l’Islam. Zelo sì, ma non secondo Gesù Uomo-Dio, che è negato, ma secondo il Profeta Maometto. L’Islam, come zelo per Dio, ci è vicino, ma come penetrazione in Gesù resta, per me dolorosamente, distante.
Essi, i non cristiani, ossia gli Ebrei (e per similitudine, i musulmani) ignorano la giustizia prodotta da Dio, cercando di stabilire la “propria”. Ma forse questo avviene per molti cristiani, che tengono in luce il “comportamento da cristiani” e di altri comportamenti religiosi si azzardano a dire: “Sono più cristiani dei cristiani”. Ma il cristiano, per esser tale, è caratterizzato dalla fede in Gesù, non da un comportamento più o meno corretto. Insomma il cristiano paga le tasse come un non cristiano, come un non cristiano paga le tasse come un cristiano, ma ciò non depone sul cristianesimo dei non cristiani.
Per noi il culmine è Cristo, anche il culmine di ogni uomo, credente in Gesù, o non credente.
Il dono, unico nel suo genere, che Dio ci ha elargito è Gesù. Dio ci ha partecipato la propria esistenza e la sua vita. Ma il completamento del dono è il dono di se stesso, Dio, in Gesù.
Io vivo di Dio, con Gesù inoltre Dio vive in me. Io vivo, ma non vivo, in me vive Cristo: è l’esclamazione gioiosa di Paolo, ed è la nostra esclamazione.
13.03.18

Spirito di Dio

Spirito di Dio
Spirito di Dio e spirito demoniaco si oppongono diametralmente. Non esiste una terza possibilità. Chi non è con lui, è contro di lui, e disperde il seme. L’opposizione è netta.
Quanto spirito demoniaco regge l’antagonismo a Gesù, l’indifferenza al lui, la negazione della sua divinità?
Evidentemente non siamo in grado di giudicare quale sia la responsabilità di chi nega Gesù, o le sue qualità essenziali di Dio, unico Salvatore, amante degli uomini. E non possiamo giudicare la pesantezza dell’indifferenza a Gesù. Però sappiamo, e ne siamo dolorosamente convinti, che ogni opposizione a Gesù, è un’alleanza allo spirito demoniaco.
L’opposizione all’Eucarestia, alla messa non può essere causata che dallo spirito demoniaco, quello che si è infiltrato anche dentro le istituzioni. Spirito demoniaco è opposizione a Gesù, presente nei piccoli e nei poveri.
Per non cadere nello spirito demoniaco (spirito del mondo, di quel mondo per il quale neppure Gesù prega, come si trova scritto in san Giovanni) è urgente aggrapparci allo Spirito di Gesù.
È semplice: chi afferma che Gesù è il “Signore”, può farlo soltanto per la forza dello Spirito che è in lui (Paolo). Aggrapparci tenacemente a Gesù, e la sicurezza di stare dalla parte dello Spirito di Dio.
In un mondo “demonizzato” (non dico ossesso), la nostra salvezza è solo “nel nome di Gesù”. Se lui caccia gli spiriti cattivi, allora qui si attua la potenza del “dito di Dio”.
C’è ancora nella maggior parte dei cristiani l’orgoglio di essere con Gesù e con il suo Spirito? Orgoglio per gioire, non per condannare nessuno.
13.03.18

L’Eucarestia poco compresa

L’Eucarestia poco compresa
Vedo un crescente triste movimento, che impone la chiusura delle chiese e l’accentrare di un’unica sede per celebrare (fare, vivere?) l’Eucarestia. L’organizzazione prevale sulla pietà e sul vissuto cristiano.
Eppure nella chiesa delle origini, perfino nei tempi in cui, in Palestina, era attivo il tempio di Gerusalemme frequentato anche dai credenti in Gesù, le famiglie (piccoli gruppi disseminati nel territorio) accoglievano persone per attuare l’Eucarestia. Un solo luogo per l’ufficialità, molti luoghi sparsi nel territorio per vivere Gesù Risorto e Salvatore.
Con il tempo queste case sono diventate “titoli”, che poi si trasformarono in chiese o basiliche. Gli ordini religiosi erigevano le loro chiese (numerose) per vivere nelle “comunità” (famiglie) l’Eucarestia. Attorno a queste chiese religiose si raccoglievano le persone, che sentivano un’attrazione per la spiritualità dei religiosi.
Così ritornava, con modalità e con proporzioni nuove, l’Eucarestia domestica. Perché la presente lotta contro le realtà delle “famiglie” religiose, per far prevalere una organizzazione accentratrice? Dominio? Poco senso della storia? Scarsità di percezione per le scelte spirituali delle “pecore”?
Il papa ricorda l’odore delle pecore, sembra però che alcuni impongano i profumi delle cattedrali. Corre il pericolo che si estingua la pietà, per esaltare la massa. La grande assemblea anonima, contro la liturgia domestica. L’accentramento (unità pastorale?) contro la condivisione dell’Eucarestia.
25.03.18

Saper soffrire

Saper soffrire
Mi ha gradevolmente sorpreso una annotazione, scritta da me in un libro undici anni fa: “La professione di confessore e di psicologo è offrire spazio alla sofferenza degli altri”. Forse oggi aggiungerei: “Anche alla sofferenza propria”.
Noi siamo famelici di godere di maggiori spazi per il nostro e l’altrui divertimento, ma riacquistiamo un fattore della misura di noi e del mondo, se non neghiamo spazio alla sofferenza. Non il gusto masochistico del soffrire, ma il rispetto della sofferenza altrui, e anche nostra. Non con l’aumento di autopunizioni, ma con il semplice “portare la croce per seguirlo”.
Alleviare la sofferenza chiedendo “restate qui e vegliate con me” è naturale e anche liberatorio. Ma questo significa non allontanare la sofferenza, ma portarla assieme. Già prima della sofferenza del Getsemani, dove patì il terrore fino a sudare sangue, Gesù aveva sofferto nel Cenacolo: “Uno di voi mi consegnerà ai nemici” e “tu negherai di conoscermi”.
Eppure nel pieno della sofferenza, Gesù provvede a rinforzare i suoi: “Prendete e mangiate… sarò con voi sempre”. La sofferenza accettata davvero, inocula anche la forza di provvedere agli altri. Infatti la quota di sofferenza stabilita per ogni persona, fa parte dell’integrità della storia di quella persona, rendendola esistenzialmente completa (il testo latino è: perfetta!). La completezza aiuta la persona ad attivare tutte le proprie possibilità.
La inevitabile sofferenza umana, accolta serenamente, perfeziona anche la storia della persona e la rinforza per vivere con Gesù il dono di sé.
27.03.18

Nella diversità la verità

Nella diversità la verità
Ho udito le persone che dubitano della verità del Vangelo, perché i singoli evangelisti riproducono lo stesso avvenimento in modo diverso.
Proprio questa diversità aumenta l’oggettività dell’evento. Se i singoli evangelisti ripetessero l’evento con le stesse parole, ci sarebbe da dubitare come se essi dipendessero da un’unica agenzia inventrice.
Non c’è giornale che non riporti in modo singolo lo stesso fatto. Ognuno lo descrive a modo suo. Ciò depone per l’inconsistenza del fatto, oppure proprio per la sua verità?
I singoli evangelisti riproducono a modo loro, ciò che le singole comunità avevano recepito pure a modo loro dall’annuncio dei propagandisti del “Vangelo”. Proprio la loro differenza, dona un aiuto in più alla nostra fede.
Anche gli storici dell’antichità riferirono lo stesso evento in modo diversi, altrimenti non ci sarebbe motivo per credere allo stesso evento, raccontato da Tito Livio o da Tacito.
Arzigogolare sui Vangeli applicando schemi critici, difficilmente ci aiuta ad assaporare il Vangelo, immettendoci in esso per incontrare Gesù, il nostro Salvatore.
Il Vangelo è luce, e solamente gli occhi limpidi la vedono. Gli occhiali da sole la falsano.
Il Vangelo è luce, che, abbracciato, ci rende luminosi.
È proprio vero e sperimentato, come recita il salmo: nella tua luce, vediamo la luce. Lui è venuto affinché i ciechi vedano, e chi pretende di vedere rimanga cieco.
A noi viene un sole dall’alto, per illuminare quelli che stanno nelle tenebre.
28.03.18

Fidarsi di Dio, pregando

Fidarsi di Dio, pregando
Gesù ci dice di pregare con fiducia, perché il Padre conosce quello di cui abbisogniamo. Se lo sa e ci dice di pregare, la nostra preghiera è facilitata ed è sempre: “Padre, donami ciò, di cui tu sai che ho bisogno”. È qui che si trova quel “sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra”.
Essere disposti, dallo Spirito Santo, a compiere sempre la volontà del Padre, soprattutto quando uomini, anche di chiesa, si arrogano di interpretare e di impersonare la volontà di Dio. Solo Gesù, uno con il Padre, era autorizzato a esprimere nella propria volontà, la stessa volontà di Dio. Fare la volontà di Dio è abbandonarci alla sua volontà diventata Vangelo. Per ricercare quale è la volontà di Dio, è opportuno non cominciare dai manuali di morale cristiana, ma dal Vangelo. Questa è la fonte, quelli sono dei derivati, che possono includere anche elementi, per quanto attraenti, ma non sempre squisitamente evangelici.
Non sempre le riflessioni etiche, anche sublimi, conducono direttamente a Gesù, quel Gesù che spesso bellamente ha trascurato le indicazioni “religiose” degli uomini. Non sempre le religioni collimano con il Vangelo. Anzi le indicazioni di comportamenti etici e di interpretazione delle realtà umane, che escludono Gesù, per noi credenti sono sospette: acque di cisterna, non acque di fonte. Sempre acque, ma non sempre acque salutifere.
La fiducia richiesta nel nostro pregare perché si avveri quel “chiedete e riceverete”, non si avvale delle nostre capacità riflessive o interpellative, ma semplicemente della “potenza” dello Spirito di Dio in noi: a lui è necessario affidarci.
14.03.18

Ti ringraziamo

Ti ringraziamo
Noi cristiani siamo di Gesù, tralci e vite.
Gesù è eucarestia, ringraziamento: la nostra vita è offerta a Dio (Paolo). La nostra vita, il nostro respiro, il nostro mangiare, il nostro dormire, tutto è offerta di ringraziamento. Il vivere bene, moralmente, serenamente, anche penitente, è un continuo purificare il dono del ringraziare.
L’adorazione al Santissimo, pratica una volta consueta sebbene non obbligatoria (e che, purtroppo, per alcuni, anche del clero, sostituiva la messa), è un’espressione di ringraziamento.
Paolo ci ha indicato di offrire a Dio, la nostra vita umana, come “sacrificio” gradito da Dio. Sacrificio, ossia culto. Culto cristiano, ossia Eucarestia. Al mattino, una volta, ci indicavano di ringraziare subito Dio, per la vita e per l’essere cristiani. Era un autentico incipit cristiano. Se l’abitudine a ringraziare una persona che ci fa un piacere, è espressione di gentilezza e di nobiltà d’animo, tanto più il nostro ringraziare il Padre per il dono della vita totale (temporale ed eterna) è indice di gentilezza verso il Padre. Il Padre, pregando noi, non deve esser trattato con richieste, ma deve esser trattato con dolcezza, con gentilezza, quella dolcezza che si prova all’essere al suo fianco, come dice il Salmo.
Gesù chiedeva sì, ma era anche pronto a ringraziare “perché tu mi ascolti sempre”. Una preghiera sicura d’essere esaudita: chiedete e riceverete. Perciò una preghiera basata sul ringraziare. Tutti abbiamo provato a sentire “quanto è bello, che tu mi ascolti sempre”. Ascoltare è anche esaudire, esaudire al modo di Dio, ossia alla provvidenza.
La nostra vita, per il fatto di essere vivi, è pregna di lode ringraziante, perché la lode di Dio è l’essere vivente.
10.03.18

Gesù incompreso

Gesù incompreso
Il Vangelo di Giovanni, descrivendo l’ultima cena (molto meno delicatamente colorita, come quella di Leonardo!) nota l’ostilità di Giuda, e l’incomprensione di Pietro.
È vero che Gesù non è facile comprenderlo. Però noi siamo portati a sottolineare la perfidia di Giuda e la presunzione di Pietro. Di solito non ci si sofferma a meditare sull’incompreso, sulla sua pena, e la sua forza d’animo.
Gesù fu il più grande incompreso. Grande perché fu incompreso su quella qualità enorme (solo sua) di essere Dio. Anzi proprio il suo riconoscersi candidamente Dio, gli procurò la morte. Perfino i più vicini a lui non lo capivano: “Non sapete di quale spirito” voi e io siamo.
Noi ci rattristiamo quando le nostre azioni o i nostri propositi sono incompresi, non dagli avversari, ma da quelli di casa. Quando ciò accade o smaniamo di aggressività verso chi non ci comprende, o cadiamo in quella aggressività contro noi stessi, che sono la tristezza e lo scoramento.
Gesù incompreso non cadeva di solito nella tristezza, perché ricorreva alla preghiera, al Padre, l’unico che conosca il Figlio e là trovava il proprio rifacimento interiore. Dovette provocare sofferenza indicibile a Gesù durante la notte del Getsemani, perché non ebbe la comprensione dei suoi sonnecchianti, e perfino del Padre: “Passi da me questo destino”.
Gesù incompreso, cercò di comprendere perfino il Padre: “Non ciò che voglio io, ma quello che vuoi tu!”.
Quando anche le persone più vicino a noi, quando esprimiamo disagio o tristezza, non ci comprendono, allora si apre a noi una luce, se ci uniamo al Gesù incompreso.
27.03.18

Gesù porta il cielo in terra

Gesù porta il cielo in terra
Sappiamo che Gesù segna molte differenze e novità. I vecchi profeti e anche Giovanni Batteista, parlavano di un regno di Dio, potente eppure futuro. Gesù mostra un regno di Dio presente. Anche quel “venga il tuo Regno” che noi pronunciamo, non è un desiderio per il futuro, ma l’espressione di un’accettazione di una realtà presente.
Il Regno di Dio è un modo per designare la regalità di Dio, la sua potenza, il suo dominio universale. Il Regno di Dio, ossia Iddio Re è qui con noi.
Troppi uomini lo respingono o non se curano. Perché Dio, l’Onnipotente, non li fulmina? Proprio per l’intrinseca qualità di tale Regno e per la sua onnipotenza. Questa è destinata a trasmettere vita, non a estinguerla. La nostra fantasia, più o meno dantesca, per unificare la vita con la “giusta” punizione immagina un inferno, dove si vive ancora, ma puniti.
Insomma l’uomo non può svestirsi della vita, perché la gloria di Dio è l’uomo vivente. E l’uomo è vivente, perché “viene il tuo regno”. La presenza costante e permanente della vita, di questa vita che ora alimenta la mia mente e il mio braccio, mi pone la domanda di “come vivere la vita, affinché rimanga viva”. Gesù non spegne lo stoppino, sebbene questo produca più fumo che luce, se rimane innestato nella candela.
Gesù nel presente produce la salvezza, ossia attua il Regno di Dio, perciò il valorizzare il presente, quand’anche penoso, è vivere il Regno di Dio.
23.03.18